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12.09.2022
MILLE PENSIERI PER GIANNI
Antologia Critica
CHI WHO
Paolo Badini - Paolo Ricci - Pierre Restany - Raffaella Barbato - Renata Caragliano
Riccardo Notte - Rosario Pinto
O/R
Paolo Badini
TESTO CRITICO SU GIANNI DE TORA SCRITTO NEL 1998 DA PAOLO BADINI MA MAI PUBBLICATO
L'Utopia necessaria
Ricordo civiltà che produssero immagini unicamente per soddisfare quanto è di necessario, ragionamenti astratti, alberi antropomorfi, rituali complessi per ogni aspetto dell'alimentazione, scimmie ammaestrate, uccelli parlanti, animali da cortile, arredi urbani, riferimenti sessuali semplicemente per quanto riguarda le esigenze immediate, macchine per scrutare ed esplorare il cielo, navi che salpavano su mari con concentrazioni saline molto differenti rispetto alle nostre acque e da cui salivano in cieli, striati dai raggi ultravioletti, dense nubi di vapore, strade sopraelevate che si stagliavano sopra gli alberi della foresta, tanta immaginazione e lievi crudeltà inserite in una Weltanshaung, molto prevedibili e poiché essi non possedevano il concetto della persuasione, erano stemperate in una serie infinita di simboli, di racconti e di saghe.
In una piega dei ricordi della mia adolescenza appare anche spesso una delle immagini che per buona parte della mia esistenza ho cercato di rimuovere. E' il libretto delle giustificazioni per le assenze scolastiche, che soprattutto nei periodi della primavera inoltrata in cui avvertivo potente l'esplodere della mia giovinezza e la meraviglia della natura in fiore, utilizzavo con frequenza. Collegata al ricordo del libretto appare anche la rimembranza di una parola taumaturgica necessaria per aspirare ad ottenere l'agognata mattina di libertà, era l' "Indisposizione". Lemma che lasciava intendere numerose impossibilità: dal malessere psicofisico, alla semplice nevralgia o al disordine intestinale, ma che poteva essere anche interpretato come una sorta d'impossibilità dell'animo a recepire ciò che in quel giorno poteva venire insegnato.
Poi, nel corso della mia variegata carriera artistica mi sono spesso dovuto confrontare con la parola "Spleen" esalante sfumature malinconiche e con la sua variante francofona "I'ennui", la cui traduzione italiana più esatta sarebbe "tedio" parola che non riesce a travalicare l'inizio del Novecento.
Osservando alcuni film di Blasetti ed anche leggendo i primi romanzi di Moravia comprendiamo che anche tutto il periodo tra le due guerre mondiali soffrisse di una sorta di malessere che comprendeva anche qualche categoria di ciò che intendiamo come "psicologico" e che sembrava corrodere tutti i rapporti personali del ceto medio. Non è che sia fondamentale assegnare sempre un nome alle cose, ma di quel malessere ben pochi sono riusciti a parlare. A livello figurativo ancora meno è affiorato, non solo per il fatto che il malessere non faccia notizia o mercato, ma per la ragione che esso proprio usciva da ogni possibilità di rappresentazione o concettualizzazione.
Oggi possiamo comprendere invece con facilità l'attenzione prestata da Benjamin e dal suo commentatore Michael Lowy, autori forse anche troppo canonici, ma che è sempre necessario rileggere, per il termine ''medioevale" "accedia" o "taedius animi", fonte di tristezza ma anche di possibile saggezza e di nuove intense possibilità.
Credo che, ancora oggi, nonostante l'enorme quantità di studi che sono stati compilati, non riusciamo ancora a renderci conto del perché si metta tuttora insieme un'opera d'arte ed anche di quale sia esattamente la sua funzione, forse oggi ancora meno di un tempo. Nonostante ciò esiste una compito, un'abitudine e un'aspettativa nei confonti di essa. Attesa che De Tora ha molto ben compreso, nel senso che egli riesce a rappresentare ciò che, in effetti, ci attendiamo dal primo "perceptum" dell'opera. Potremmo dire, quindi, con parole più semplici, che, dalla prima occhiata, nel senso che dal primo momento che cominciamo ad osservarle, quasi tutte le sue opere si manifestano in modo coerente a se stesse. Non c'è soluzione di continuità tra tutti i momenti
dell'approfondimento, dal primo all'ultimo istante.
De Tora ci fa comprendere che, della Scuola di Pitagora, non possediamo che immagini sfocate mentre, in realtà, essa era qualchecosa d'emergente e di vitale e che la sua forma d'arte, e il ricorso alle forme geometriche non deve corrispondere esattamente ad un impoverimento dei concetti e del patrimonio della fantasia. Le sue opere contribuiscono a formare delle raccolte, delle collezioni di pensieri, ed è ciò quanto egli ci propone sempre con maggiore insistenza, dopo aver già sperimentato un' evoluzione ed aver maturato, con il confronto, tutte le numerose scuole e correnti artistiche con cui egli è stato in contatto.
Dobbiamo anche comprendere che la pittura è anche uno specchio fatato in cui appaiono le immagini del mondo e non solo di questo mondo, e quando l'itinerario dell'arte di De Tora sia profondamente sofferto e meditato.
Ogni opera corrisponde ad un preciso momento d'introspezione e d'evoluzione, dall'esperienza di De Tora possiamo arrivare a pensare qualcosa d'impossibile fino ad ora: che possa venire rappresentata un'immaginazione, per alcuni aspetti, ''Vichiana" imbevuta dei principi del Cartesianesimo, rappresentazione talmente sottile e nello stesso tempo incisiva, da apparire quasi scollegata da qualsiasi riferimento immediato, per giungere fino a proiettarci in un futturo denso di possibili avvenimenti.
Paolo Ricci
ARTICOLO DI PAOLO RICCI SU “L'UNITA' “ DEL 2 NOVEMBRE 1971 PER LA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA “LA SIRENELLA” DI SORRENTO (NA) 1971
GIANNI DE TORA ALLA " SIRENELLA"
« La Sirenella» è una galleria situata nel cuore della vecchia Sorrento e diretta da Biagio Russo, studioso d'arte e pittore egli stesso. Aperta da alcuni mesi, la galleria ha finora ospitato mostre piuttosto casuali, anche se, recentemente, vi furono esposte alcune acquaforti originali di Dalì.
L'ultima e, secondo noi più interessante mostra allestita dalla galleria sorrentina, è stata quella del giovane pittore casertano Gianni De Tora, un artista impegnato su un piano di ricerche assai vive e problematiche, di vago orientamento pop, che mirano alla utilizzazione dei segni e delle forme emblematiche della realtà urbana di oggi, resi con allucinante ed ossessiva puntualizzazione.
Un pittore che allarga i temi ispirativi ai problemi più drammatici della realtà contemporanea: la guerra, la vìolenza e l'oppressione, il razzismo e tutte quelle forme che mirano a schiacciare l' uomo e ad annullarne l'intelligenza.
Pierre Restany
ODE A DE TORA
testo di Pierre Restany presentato nel catalogo della mostra personale
Antichi Arsenali della Repubblica Amalfitana - Amalfi -1984
ODE A DE TORA
NON SARA’ MAI TOTALE
IL RECUPERO DELLA GEOMETRIA
UNA DOLCE ANGOSCIA ESISTENZIALE
SPALMA DI MIELE
LE PROSPETTIVE ESTESE ALLA ROTHKO
LA DIMENSIONE ONIRICA
ANIMA SOTTO FONDO LE STRUTTURE PALESEMENTE
ELEMENTARI
GLI SPETTRI GESTUALI
INCRINANO LA GRAVIDA MAESTÀ’
DEI TRIANGOLI INVERSATI
STRANA ALCHIMIA DELLE PAROLE SUSSURRATE
SEMINANDO IL VIRUS DELL’IRONIA
ANTI-CORPO DELLA LOGICA DISCORSIVA
IL GIOCO DE TORA
E’ UN GIOCO SENZA H
SULLA TORAH DI MOSE’
IL GIOCO SULLA PAROLA
ESSENZA DEL MONDO
E COSI’ NASCE IL DIALOGO
IN CODICE...
DA VIRTUOSO
DELL’INTUIZIONE CRITICO-VISIVA
L’ARTISTA
NE SPINGE IL CONTENUTO
SEMPRE AL DI LÀ’ DELL’IMMAGINE
SI TRATTA SÌ, DI PITTURA
MA COME PURA COSCIENZA:
ESSERE L’AGIRE SENZA FINE
PER VIVERE IL VISIVO SENZA FONDO.
TESTO DI PIERRE RESTANY SULLA CARTOLINA-INVITO E SUL MANIFESTO DELLA MOSTRA PERSONALE AL MUSEO MUNICIPALE DI SAINT PAUL DE VENCE-FRANCIA- 1991
PITTURA.TEATRO DELLE EMOZIONI
L'universo di Gianni De Tora è di natura scenografica e teatrale, questo significa che i protagonisti dei suoi quadri-teatri sono il colore e lo spazio generato dalla pittura. Le strutture similari a quelle architettoniche che rappresentano il confine delle sua tele creano uno spazio che genera una comunicazione visiva. I segni visuali che sono ripartiti in questo spazio privilegiato non rappresentano nient'altro che delle manifestazioni di grande tensione emotiva. L'emozione è significativamente l'elemento fondamentale di ogni drammaturgia. Le opere di Gianni De Tora sono l'illustrazione diretta del fluire emotivo dell' artista. Questa pittura dai colori decisi, dalla vitalità esplosiva, è anche un segno di grande purezza e sensibilità. Il teatro delle emozioni di Gianni De Tora attore-autore, poeta-pittore.
Ho già sottolineato nel passato la predestinazione racchiusa nel nome che porta Gianni De Tora: Tora è la " Thora" senza la h , il luogo in cui si svela l'illuminazione, la rivelazione. Ogni cosa, come ciascun quadro di Gianni De Tora, rappresenta un piccolo miracolo che si offre alla vista e all'emozione. Così la pittura può ancora oggi offrirci qualche raro istante di felicità sentimentale e intellettuale.
DALLA CONFERENZA INAUGURALE PRESSO LA GALLERIA CIVICA DI ARTE MODERNA DI GALLARATE (VA) DURANTE IL VERNISSAGE DELLA ANTOLOGICA DI GIANNI DE TORA IL 21. 2. 1993
'' Devo ringraziare le Autorità e i presenti perchè le parole che sono state dette, al di là del formalismo ufficiale, dimostrano una buona volontà, un desiderio di comunicazione attiva, e vorrei dire che questo spirito di comunicazione, di umanesimo, a livello proprio dell'arte, corrisponde ad una dimensione del pensiero umano sempre più alta nella nostra epoca, ed è bello in un periodo in cui l’Italia attraversa un momento difficile, che ci siano ancora queste isole di libertà del pensiero creativo. Io ritengo che questo felice incontro abbia proprio questo significato. La storia ci ricorda momenti di repressione della cultura. Ecco perché è importante poter parlare di questo tipo di libertà oggi ed essere in un ambiente democratico a discutere d’arte. Questa è la temperatura mentale e sentimentale del mio amico De Tora e delle sue opere. Sono venuto qui non solo per fargli i complimenti, ma soprattutto per testimoniare la mia amicizia nei suoi confronti, una vecchia amicizia che dura da più di vent’anni, è stato per me come un modo per ritrovarlo. Qual è il messaggio della pittura di De Tora? Credo che il Sindaco abbia detto una parola giusta, alludendo a questa geometria umanista, che potrebbe proprio definire bene lo stile e soprattutto lo sviluppo interno dell’opera del nostro artista e credo che questa analisi sia molto importante e precisa. È vero che la Magna Grecia abbia, per molti aspetti, continuato una tradizione di vero Umanesimo Razionale, ed il sud, che incarna De Tora, è un sud razionale e nello stesso tempo irrazionale, tra ordine e disordine e comunque di grande spessore umano. È vero che lo sviluppo interno della sua opera parte da un certo lirismo espressionista, per arrivare molto presto ad una codificazione semiotica veicolata da un impianto geometrico minimale. Da questa semiotica geometrica emerge il ritmo melodico del cromatismo mediterraneo. Credo che in questo senso la sobrietà operativa in cui De Tora sta sviluppando questo incontro sintetico tra pittura e segno, è la realizzazione di un sogno poetico e di passione umanistica. La pittura di De Tora ha dunque un chiaro schema di lettura che corrisponde ad una vocazione alla libertà di pensiero di cui parlavo prima. Insomma, nell’osservare questa pittura mi sento davanti ad un’iconografia,non sacra, ma di deontologia laica. Non voglio fare del sacralismo abusivo, ma non voglio rendere metafisico il linguaggio che non lo è, però questo modo di intendere la pittura è come una lezione morale. Mi sento dematerializzato e più ricco di emozioni davanti alla pittura di De Tora. È con questa osservazione di tipo etico che vorrei concludere riaffermando il senso di stima ed amicizia che mi lega a questo artista di talento. Sono felice di essere con voi a dialogare, in un Museo che ospita cultura visiva.''
Raffaella Barbato
ARTICOLO DI RAFFAELLA BARBATO SU RIVISTA “SEGNO” N, 248 DI APR/MAG 2014 X MOSTRA “TERRITORIO INDETERMINATO” SVOLTASI TRA 2013 e 2014
Territorio Indeterminato,
Napoli, Caserta, Benevento, Roma
GIANNI DE TORA
''Questo disegno avrà un'importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l'embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente. E' il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporterà un contributo culturale fondamentale alla pittura [...]" - da una lettera di K. S. Malevic a Matyushin. Queste le profetiche parole di Malevic, le cui intuizioni e conclusioni costituiranno gli assiomi basici di successivi percorsi di conoscenza dal M.A.C. (Movimento Arte Concreta) del secondo dopo- guerra al gruppo di Geometria e Ricerca della metà degli anni '70, di cui Gianni De Tora (Napoli 1941 -2007) fu cofondatore ed animatore. Quello di Gianni De Tora (quarant'anni di ricerca omaggiati della retrospettiva, “Territorio Indeterminato” antologica itinerante che attraversa tutta l'evoluzione introspettiva/estetica del maestro dagli anni '70 alle ultime produzioni - voluta da Stefania e Tiziana De Tora, moglie e figlia dell'artista -, che inaugurata a Napoli il 3 ottobre 2013 negli spazi espositivi dell'Università Suor Orsola Benincasa, dopo gli intermezzi casertani e beneventani troverà conclusione a Roma il 19 marzo, nella galleria della biblioteca Angelica) è un percorso che ha inizio nella giovanile sperimentazione artistica di derivazione pop, alle cui icone di massa l'artista sostituisce, con sempre maggiore incisione, scansioni geometriche, che gradualmente stavano catalizzando la sua attenzione.
Il matrimonio intellettivo e sensibile tra l'artista e l'astrattisrno geometrico, strumento con il quale creare una geografia immaginaria del mondo - non pedestre sistema di decodificazione e destrutturazione della realtà -, si celebra intorno agli anni '70, quando De Tora, poco più che trentenne, riconosce nelle potenzialità dell'arte concreta, sorretta dalla geometria e dall'astrattisrno. le capacità immaginifiche di uno strumento di interrogazione analitica del reale; il tutto in un momento storico - d'urgenza evolutiva - in cui non era possibile esimersi dal manifestare la propria adesione ideologica alle istanze di libertà e di pace che animavano le manifestazioni di protesta di quegli anni.
La ricerca di De Tora è stata sempre improntata ad un'impegno etico, verso e dell'arte stessa, in primis, di cui professa il diritto di intelligenza - intelligens -, quale capacità di leggere tra le cose, tra le manifestazioni del comprensibile - o del conoscibile - al fine di dimostrare la possibilità di "essere astrattisti e impegnati civilmente", attraverso un linguaggio che problematizzava - come ebbe a dire Crispolti - la "questione dialettica di dibattito intimo, fra volontà di analogia lirica e volontà di geometria costruttiva". Negli anni '80, prese definitivamente le distanze dalle ricerche del decennio precedente - concettuale e minimalismo -, Gianni De Tora intensifica il flusso vitale ed emozionale della sua pittura, attraverso un corredo segnico ricco, in cui ha luogo la ierofania visionaria di una geometria popolata da segni in libertà, da cancellazioni, annotazioni, scritte e stratificazioni; un viaggio districato attraverso una esigenza astrattiva che è sempre più confessione silenziosa ed emozionale - spazio esperienziale - dove dar luogo a quella che Pierre Restany definiva "natura scenografica dell'universo".
Una cosmogonia fenomenologica dell'immagine in cui la pittura si frammenta in simboli esoterici di protezione e simboli alchemici (Ziggurat '88, Elementi all'origine acqua aria terra fuoco, '86, Triangulum '84) quali triangoli - modulo spesso replicato -, cerchi, elementi spiraliformi e cruciformi.
Grammatica generativa fatta di continue mutazioni, la poetica di De Tora è quindi esigenza che muove dall'interno il sostrato figurale dell'immagine, operando una progressiva depurazione del dato iconico, al fine di sviscerare la natura dalla sua criticità ermetica e generare cartografie in germinazione, di quel "Territorio - qui preso in considerazione - Indeterminato", che fuggendo ogni determinazione - o assumendone di diverse - non diviene corpus di/del sistema, ma resta mente in evoluzione; status accrescitivo di esperienze collettive.
Esigenza aggregativa, sinonimo di una processualità aperta ed in divenire dell'opera d'arte, che trova riscontro nella retrospettiva dedicatagli, attraverso il porre a confronto il lavoro del maestro - diviso per decenni - con quello di quattro artisti campani di più giovane generazione: Vincenzo Frattini (Salerno, 1978). che parla alle rigorose e razionali composizioni degli anni '70 attraverso i suoi policromi lavori plastico pittorici; Salvatore Manzi (Napoli, 1975). che si mette in comunione, con il lavoro fluido e vibrante degli anni '80 attraverso le sue tavole a fondo oro ricche di segniche dal gusto neocionoscalsta; Nunzio Figliolini (Napoli 1965), che, assorbito un vis à vis con gli imprevedibili rimescolamenti e riletture del De Tora degli anni '90, risponde con una istallazione che approda al segno digitale; ed infine Neal Peruffo (Procida- Na, 1980), che dialoga con le complesse intersezioni geometriche degli ultimi anni dell'artista, attraverso un'installazione - a soffitto - di pannelli costellati di elementi grafici che echeggiano tavole pitagoriche e matematiche.
Sono coinvolti inoltre con i loro contributi critici - in catalogo, ed. Paparo -, nonché come curatori Mariantonietta Picone Petrusa - per la sezione inaugurale della mostra, quella in esposizione nei locali dell'Uni.S.O.B. -, Enzo Baratta e Gaia Salvatori, per la sezione in mostra a Caserta -, Elio Galasso - per la sezione beneventana -, Enrico Crispolti - per la sezione romana - e Stefano Taccone, cui si deve la scelta dei quattro artisti messi in relazione con il maestro napoletano.
Renata Caragliano
STRALCIO DALL'ARTICOLO DI RENATA CARAGLIANO E STELLA CERVASIO APPARSO SU REPUBBLICA DEL 13 GIUGNO 2007 X RECENSIONE ARTISTI NAPOLETANI PRESENTI ALLA 52° BIENNALE DI VENEZIA- 2007
A Venezia un curatore partenopeo per il Brasile....
Sangue e choc sulla Laguna -Napoli incanta la Biennale
…..........Napoli era presente anche, oltre che con Vettor Pisani e Shimamoto portati dalla Fondazione Morra, con il Pan che in trasferta a bordo della barca "Fusina", ancorata in laguna davanti all'ingresso dei pa- diglioni della Biennale a Giardini, ha avuto ospiti illustri come Matthèw Barney, Marina Abramovic e Luigi Ontani che sono stati intervistati e trasmessi in diretta su una serie di frequenze radio e in streaming al computer. Ai visitatori sono state distribuite radioline per ascoltare la voce degli artisti. A un'altra delle tappe in giro per Venezia satura d'arte, ha partecipato Gianni De Tora, che con altri artisti, è stato invitato a ri- cordare il critico Pierre Restany nell'installazione "Camera 312", che ricostruisce la stanza d'albergo mi- lanese in cui visse. La scoperta è che la cura di uno dei padiglioni nazionali, quello del Brasile, è stata affida- ta a un giovane napoletano, Jacopo Crivelli Visconti.......
ARTICOLO DI RENATA CARAGLIANO APPARSO SUL QUOTIDIANO ''LA REPUBBLICA'' DEL 4 DICEMBRE 2011 X RECENSIRE LA MOSTRA CON ASTA DI BENEFICENZA ''SOLIDARTE'' PRESSO IL CASTEL DELL'OVO DI NAPOLI DAL 1° AL 10 DICEMBRE 2011 ORGANIZZAZIONE DELLA GUARDIA DI FINANZA DI NAPOLI
Castel dell'Ovo - Duecento artisti per la solidarietà
L' arte si fa testimonial di una campagna di solidarietà. Ritorna l'appuntamento con "Solidarte" anche per il 2011, la mostra di beneficenza organizzata dal Comando Regionale Campania della Guardia di Finanza. A questa terza edizione hanno aderito più di duecento artisti, tra cui anche cento allievi dei licei e istituti d'arte della Campania, che hanno tutti donato gratuitamente le loro opere per sostenere una raccolta fondi a sostegno della fondazione "Il meglio di Te", presieduta dall' avvocato Fulvia Russo. Una campagna di raccolta fondi siglata con il mondo dell' arte per dare vita ad una serie di progetti per l'inserimento nel mondo del lavoro dei giovani detenuti ospiti dell'istituto penitenziario minorile di Nisida. L'esposizione - corredata di un catalogo di circa duecentocinquanta pagine con un testo critico di Rosario Pinto - è ospitata nelle sale del primo e secondo piano di Castel dell'Ovo e rimarrà aperta fino al prossimo 10 dicembre. A fine mostra, le opere vendute saranno ritirate presso il Comando regionale Campania della Guardia di Finanza, che provvederà così a devolvere l'intero ricavato delle vendite delle opere alla fondazione "Il meglio di Te", festeggiando il risultato raggiunto nel corso di una cerimonia, alla presenza del generale delle Fiamme Gialle, Giuseppe Mango. I tanti artisti campani di diverse generazioni che hanno aderito all'iniziativa di quest'anno di "Solidarte" vengono rappresentati da un catalogo visivo di oltre trecento opere realizzate in tecniche diverse - disegni, dipinti, sculture, incisioni -, tutte donate per questa sorta di maratona della beneficenza. Eccone alcune. Lello Esposito è rappresentato da una bella "Testa di Pulcinella" su tela (2011), mentre Sergio Fermariello ha offerto uno dei suoi lavori con i noti "guerrieri". Roberta Basile è presente con una delle sue tele neo-concettuali, con iscrizioni tra misticismo e spiritualità, mentre Danilo Ambrosino con un dipinto dalle forme astratte. Il maestro Rosario Mazzella ha dato in dono una tecnica mista su carta, "Guerriero" (2009), mentre Gianni De Tora un dipinto, "Vesuvio" del 1996 e Ilia Tufano un dittico dal titolo "Mare" (2011).
Riccardo Notte
ESTRATTO DAL TESTO DI RICCARDO NOTTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA '' GENER-AZIONI'' A VILLA CAMPOLIETO AD ERCOLANO (NAPOLI) DAL 23 AL 30 MAGGIO 1999
GENERAZIONI
Il termine "generazione" deriva, com' è noto, dal verbo gènero-are, anche se l'origine della parola, come sovente accade per il latino di un qualche contenuto, affonda nel terreno della cultura e della lingua greche. Così è anche per generatio, che appunto mutua il suo significato da génesis (genesiV): vocabolo che richiama alla mente la celebre opposizione che il sommo Aristotele poneva fra la "generazione" e la "corruzione", in quanto manifestazioni visibili dell'invisibile potenza manifesta in tutte le espressioni della natura.
I membri della cultura cattolica ricavano per la verità anche altre e non meno intense suggestioni. La memoria di costoro non può sottrarsi al richiamo degli echi biblici mediati dal catechismo memorizzato in forza di arcaici ritmi formulaici. In quelle parentesi dell'infanzia si impone al bambino una dimensione sacrale che risulta sempre incomprensibile agli occhi e ai sensi di una vita che sboccia. E così "generazione" assume ben presto il significato di un'oscura (e ancorché affascinante) differenza ontologica fra il Padre e il Figlio, quest'ultimo, per l'appunto, "generato"
e non "creato", quantunque (e ancor più oscuramente) composto "della stessa sostanza del Padre".
Certo, il bambino non sa nulla di teologia razionale o di filosofia dogmatica, e perciò non può e non sa apprezzare la finezza delle tautologie. La vergine infanzia non si pone il problema della sostanza, anche se a parere di molti in ogni bimbo si cela uno spinoziano in potenza. È anche vero che i misteri trinitari e affini formano l'inconscio substrato di un'identità culturale che si estende nei millenni. C'è dunque da chiedersi se il senso della storia non sia anche, almeno in parte, un attributo del duro legame con il passato che si instaura all'interno di ciascuna confessione. E forse, vista in quest' ottica, l'era della dissoluzione del significato ultimo delle cose (ma sarà poi vero?) deve necessariamente coincidere con l'epoca della fine della storia. E ora un piccolo salto dalla psicologia dell' età evolutiva alla sociologia: esiste infatti una nota teoria secondo la quale le idee filosofiche, artistiche- sociali, politiche economiche e loro ramificazioni seguono un andamento generazionale e in definitiva esauriscono la loro parabola durante l'arco temporale che segna l'avvicendarsi di una generazione all'altra. Ipotesi interessante, e in parte vera, ma che ben poco dice circa l'altra faccia della medaglia, e cioè che ogni generazione, non soltanto dal punto di vista biologico, ma soprattutto sul terreno delle culture, crea sempre istituzioni e strutture cognitive il cui scopo si giustifica nel tentativo di "passare il testimone" alle generazioni future.
Questo fenomeno viene definito in senso stretto "tradizione", ed è oggetto di studio tanto dello storico delle idee quanto dell' antropologo, del sociologo, del filosofo: poiché è appunto l'insieme di queste istituzioni e di queste pratiche che stabilisce lo statuto e la validità delle credenze, delle attitudini e delle conoscenze più varie, tutte denotate dallo sfumatissimo e problematicissimo termine di "cultura". Quando il processo di trasmissione o di diffusione culturale si inceppa, e soprattutto quando il salto generazionale si manifesta in forme totalmente estranee a una determinata tradizione (ed è questa una caratteristica peculiare del nostro secolo) allora l'intero sistema sociale collassa, e al suo interno si moltiplicano le manifestazioni di disagio e le espressioni di una violenza non ritualizzata, disgregante o implosiva. Scenario segnalato a chiare lettere dalle cronache. E ora veniamo finalmente allo scopo di questo scritto. A Napoli, alcuni anni fa, è sorta un' aggregazione di artisti che si è data il nome di "Generazioni". Non è un fatto senza significato. Intanto la scelta del plurale, dettata dall'ovvia circostanza che questo insieme abbraccia personalità separate dalle rispettive classi di età. In qualche misura il tema della divisione per generazioni sembra coincidere con la chiusura del secolo (e del millennio), tant'è che in Italia, tanto per citare alcuni esempi, lo storico dell'arte Giorgio Di Genova ha dedicato una sua monumentale opera in vari volumi alla storia dell'arte italiana di questo secolo dividendo i protagonisti per generazioni. A questa impresa editoriale seguirà la prossima apertura del Museo Bargellini a Pieve di Cento, ove gli artisti saranno appunto divisi per generazioni. Ma a ben riflettere, in quest'ultimo scorcio di secolo, e non certo soltanto in Italia, una parte considerevole della storiografia, della critica d'arte, della storia del costume ha seguito più o meno volontariamente un criterio sottinteso e analogo, preferendo le strutture diacroniche alle visioni sincroniche. Insomma, la fine del secolo ventesimo, nonché del secondo millennio dell' era volgare, è costellata da un ampio desiderio di ripensare il passato, e soprattutto di riflettere sull'arco di tempo che va dai primi accenni di un'esplosiva modernità che travolgeva ogni ostacolo alle soglie di un nuovo millennio gravido di segnali discordanti e in ogni caso di prospettive che promettono mutamenti senza precedenti. In questo desiderio di plurimi ripassi si può forse scorgere anche una inquietudine che abbraccia la realtà stessa della forma umana, tesa in questo momento fra esperienze esplorate, codificate e stratificate fino all' ossessione e voli di cui non si immaginano neanche le prospettive. Da qui forse, il desiderio di compattezza, di fermezza, di comunione anche al di là e al di sopra delle differenza culturali e generazionali.
A questo punto occorre subito chiarire che "Generazioni" non è un movimento, e che non è neanche una formazione che insegue o programma una poetica unitaria. "Generazioni" non intende stabilire un canone, non si oppone ad altre tendenze, né tanto meno è un club esclusivo. Ciò nondimeno questa aggregazione costituisce un interessante nucleo di identità disparate e anche fra loro opposte, unite, certo, da un dato comune: il ricorso a una poetica visiva tendenzialmente aniconica, originata da scelte personali o, nel caso degli artisti più anziani, da analisi e da vicende teoriche che affondano le loro radici in alcuni momenti salienti e ben noti del dibattito estetico di questo secolo; ed è importante rilevare questa differenza fin dalle prime battute del presente scritto.
Leggendo le biografie di ciascun membro di "Generazioni" si apprenderà che alcuni sono stati in gioventù allievi dei più anziani. Un dato che indurrebbe a concludere che siamo in presenza, almeno in alcuni casi, di una vera e propria "scuola". Ma non è così. Scrivo queste riflessioni non per salvare l'autonomia estetica di questo o di quello, fatto che notoriamente preme ad ogni artista. Piuttosto, sono mosso dal desiderio di rilevare che la distanza si può probabilmente apprezzare più nella differente visione dei tempi storici da parte di ciascuna classe di età che non all'interno delle singole poetiche. Detto questo, si deve poi ricordare che in Italia, fra le grandi metropoli, non esiste forse realtà artistica più conflittuale e oppressa dagli eventi di quella partenopea, che malgrado la sua effervescenza, e a dispetto del suo desiderio di collegarsi al movimenti internazionali, specialmente nell 'ultima metà del secolo, ha scontato e sconta ancor oggi gli effetti di un problematico rapporto con la città, ma anche di una mancata compiuta saldatura con le altre realtà artistiche presenti sul territorio nazionale. Tema, quest'ultimo che richiederebbe ben altre analisi.
Mi limiterò dunque ad affermare che una formazione che riunisce più generazioni costituisce nel contesto artistico partenopeo un caso molto speciale. Da ciò alcune preliminari osservazioni riguardanti il taglio che ho inteso dare alle presenti note. Mi sono infatti chiesto di quale utilità potesse essere esaminare l'opera di ciascun artista dal punto di vista storico-critico, e la conclusione è stata ovvia: non c'è utilità alcuna. Ciò, infatti, è stato assolto da critici di professione, e in più casi anche da grandi personalità della critica d'arte nazionale e internazionale. Ma potrei fornire egualmente un contributo tentando un'analisi delle poetiche che affiorano dalle opere recenti di ciascun artista di "Generazioni" partendo da un ideale osservatorio filosofico: una chiave di lettura della forma mentis, e un minimo suggerimento sulle relazioni che ogni artista instaura di necessità con il proprio vissuto e con la somma specifica degli eventi che riempiono la vita.
Soltanto da questo punto di vista ritengo che si possa salvare l'unità delle singole poetiche all'interno di una aggregazione che si connota con un attributo che implica una distanza intraspecifica: la differenza generazionale è infatti il primo dispositivo di distanziazione che l'essere umano abbia inventato[......]
L'apocalittica razionalità di De Tora
Vorrei perciò estendere il tema del limite, ma visto in una prospettiva direi quasi complementare, trattando delle suggestioni filosofiche suggerite dall'opera di Gianni De Tora, artista che all'interno del gruppo rappresenta una generazione molto particolare: quella che ha vissuto la sua infanzia e prima giovinezza negli anni del dopoguerra, due decenni che incubarono, e che in tutti i sensi prepararono, i vari sommovimenti strutturali, economici, tecnologici e politici che connotarono gli anni '60. Non c'è dubbio che il senso del limite (e dei limiti definiti nei vari ambiti della realtà intersoggettiva) visto nell'ottica della generazione di De Tora, assume aspetti conturbanti e decisamente intramondani. Fu l'epoca in cui, in Europa e negli Usa, una serie di eventi sembrò favorire l'abbattimento delle barriere, sicché l'azione umana (e artistica) si trovò presto coinvolta in un turbine che sembrava quasi suggerire l'avvenuto attraversamento di ogni orizzonte. Una forza dinamica i cui sviluppi hanno al giorno d'oggi assunto il volto inquietante di un universo umano senza punti di riferimento e senza traguardi, se non quello, forse, e paradossalmente, di un lucido progetto di un suicidio collettivo. Intanto, al contrario della civiltà greca, l'universo occidentale sembra reggersi sulla costante sfida dei limiti umani. Per esempio, l'idea sportiva del "record", estranea all'atleta antico che partecipava ai giochi olimpici, è al contrario contenuta, fino all'aberrazione, negli statuti non scritti del nostro "civilizzato" mondo sportivo.
L'umanità, e non solo l'umanità occidentale, grazie all'impressionante evoluzione scientifica a cui si assiste da oltre un secolo e mezzo ha dovuto costantemente ritoccare il senso dei limiti del proprio mondo, dei propri confini, delle proprie certezze. E questo è senza dubbio un dato antropologico complessivo che merita una approfondita riflessione. De Tora ha vissuto da artista le varie fasi della distruzione dei limiti imposti all'uomo. E così, non a caso, in alcune sue prime e robustissime opere comparivano figure totemiche di cosmonauti: elementi simbolici di un inconscio culto degli eroi che dalla distanza di una dimenticata età dell' oro riemergevano sotto forma di archetipi della modernità. E tuttavia il mondo - si diceva e non a torto - già negli anni '60 è diventato piccolo anche a causa dei sempre più avanzati mezzi di comunicazione, problematica che De Tora affrontò in vario modo secondo i dettami di una ideologia che il tempo avrebbe poi dissolto, ma che all'epoca formava il milieu di una generazione attenta e partecipe. E uno dei motivi di un tale superamento risiede forse nel fatto che questa "piccolezza", questa raggiunta marginalità del limite che separa individui, religioni, caste, culture e lingue differenti, se non antitetiche fra loro, contrasta enormemente con l'immensa espansione del senso dei limiti dello spazio e del tempo. Anche in ciò l'evoluzione tecnologica sembra essere la vera responsabile di una percezione tanto mutata quanto radicata e diffusa. L'idea che l'astronauta John H. Glenn, il primo statunitense che varcò i confini della stratosfera, alla veneranda età di settantasette anni sia stato ancora una volta protagonista di un'impresa spaziale a bordo dello Space Shuttle dimostra che il limite dello spazio interplanetario non è più un limite. Si può anzi affermare che fra la Terra e la Luna si stenda un territorio un po' fuori mano, ma all'interno dei nostri confini, tant'è che esso può essere tranquillamente visitato da un arzillo pensionato dello spazio.
Ma è anche vero che allora come oggi, accanto a questi esaltanti risultati del potenziale umano si affiancano le tremende ingiustizie sociali ed epocali della fame nel mondo, dell'oppressione di interi popoli, dello sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta; ecco che i moderni mezzi di comunicazione, capaci di rendere "prossimo" ciò che è distante, ci consentono di prendere coscienza dell'altro lato della medaglia dell' evoluzione culturale in corso. Tocchiamo così con mano i limiti inferiori e anzi infimi in cui è costretta un'enorme fetta dell' umanità. E qui torno alle suggestioni che mi procurano le ultime opere di De Tora, apparentemente distaccate e astratte, solo a prima vista chiuse all'interno dei canoni di una ricerca geometrica estremamente controllata e formale. In realtà metafore visive di una condizione esistenziale connotata dall' eroismo del limite dei limiti, in altre parole della fine della storia, del termine ultimo di ogni narrazione, come suggeriscono le sue croci disarticolate, quantunque composte da forme geometriche perfette. Come mostrano i suoi colori cupi, squarciati a volte da segnali incomprensibili e babelici, o da inserti materici che richiamano culti spenti, disciolti, definitivamente dimenticati [.....]
TESTO DI RICCARDO NOTTE X CATALOGO DELLA MOSTRA ANTOLOGICA “THE WORLD OF SIGNS” AL MASCHIO ANGIOINO A NAPOLI - 2004
L'estasi della razionalità
Le ragioni delle geometrie e delle matematiche sono penetrate così a fondo nelle menti e nei sensi di ogni essere umano, e hanno poi modificato in misura così rilevante le culture dell’intero pianeta da costruire nel tempo le fondazioni di una seconda natura, e si direbbe, anzi, quasi di una seconda pelle. Non è però necessario essere in prima persona geometri o matematici – come si richiedeva agli antichi discepoli dell’Accademia platonica – per varcare con pieno diritto questa soglia della percezione. Geometrie e matematiche sono nascoste nei prodotti e nei processi del nostro quotidiano divenire, ne costruiscono le autentiche ragioni d’essere, i modelli di organizzazione e le strutture portanti, cosicché davvero nessuno sfugge all’impero della logica e alle sue ricadute.
L’arte, com’è noto, ha intuito il valore psicodinamico di questo dominio del pensiero e dell’esperienza fin dagli albori della scienza prospettica, ma è il secolo appena trascorso che ha assunto nell’arte l’astrazione geometrico-matematica come sua naturale ossatura.
De Tora si inserisce in questa tradizione ormai più che secolare. Il suo ragionare intorno alle infinite combinazioni fra punti, linee, superfici e il suo sperimentare i valori cromatici concepiti come relazioni fra variabili affiorò molto presto, perfino in una giovanile produzione figurativa influenzata dal discorso, all’epoca imperante, sui segni dell’industrializzazione, della metropoli e dei media. Eppure, a ben vedere, anche in quelle esperienze si riconosceva il sostrato di una riflessione sugli equilibri, sulle simmetrie e sulle strutture topologiche. Una persistenza di intenti che attendeva soltanto un pretesto per giungere in superficie, per farsi fonte primaria di ricerca visuale. Questo passo è definitivamente compiuto già nei primi anni ’70, e prosegue in intensità e profondità quando De Tora partecipa alla fondazione del gruppo “Geometria e Ricerca”.
Le innumerevoli opere sul tema delle strutture riflesse o quelle sulle forme ricorsive ne costituiscono un esempio illuminante e di grande pregnanza estetica e teoretica.
Si ragiona sul fatto che le trasformazioni geometriche permettono quantomeno di erodere quelle abitudini definitorie, o per meglio dire quegli schemi di pensiero che sono il frutto di un’epistemologia ingenua ma ancora molto diffusa, anche fra gli artisti. Le operazioni formali di De Tora sono dunque, senza esclusione alcuna e senza tentennamenti, interamente guidate dall’intenzione di sollecitare meditazioni sull’essenza stessa della forma, di qualsiasi forma. Nelle opere di più recente conio la semplicità schematica dei solidi platonici e delle proiezioni si innerva nella complessità delle geometrie non euclidee e degli insiemi frattali, come è evidente, ad esempio, in “Labirinto 2002”, in cui De Tora, stabilendo nello spazio una struttura che è anche un emblema, lo fa però utilizzando vari registri. Si parte quindi dal cubo, e dal bianco, intesi come primitive della vista intellettuale e della visione fisica. Ma si tratta di un cubo già implicato in una geometria di ordine differente, poiché in esso si fa strada una convessità che esprime la potenzialità della curvatura, il passaggio alla magia proiettiva delle coniche. Ma l’impianto complessivo dell’installazione si sviluppa in modalità che illustrano i rapporti fra la dimensione topologica e la dimensione frattale. La struttura, nel complesso, ricorda i primi passi dello sviluppo di una curva di Peano, e la sua sconcertante progressione infinita verso un numero finito di dimensioni. Però, è anche vero che nelle invenzioni di De Tora si riconosce sempre un saggio lavoro di mediazione fra il formalismo e la forma. Per ottenere ciò è necessario bloccare il processo di analisi a un livello in cui sia ancora possibile gettare un ponte segnico sul consueto e normale “insieme delle cose”, cioè sugli oggetti riconoscibili, posti, per così dire alla scala dell’umano. Così l’opera della ragione astratta può ancora intessere un dialogo con il mondo della vita, e farsi anche oggetto di commento, se non di aperta contemplazione. Un dialogo di varie complessità che è anche metafora, in questo caso la metafora dell’alto castello, del luogo inaccessibile e segreto per rarefazione semantica e per scopo.
Rosario Pinto
ARTICOLO DI ROSARIO PINTO APPARSO SUL QUOTIDIANO ''LO SPETTRO'' SEZ CULTURE DEL 25 LUGLIO 1999 X RECENSIONE DELLA MOSTRA DEL GRUPPO '' GENER-AZIONI'' PRESSO LA CASINA POMPEIANA NELLA VILLA COMUNALE DI NAPOLI DAL 20 LUGLIO AL 1° SETTEMBRE 1999
“[…..]GIOVANNI DE TORA (1941) che muovendo da un’iniziale ricerca sulle implicazioni delle scoperte scientifiche nell’arte (Gli Astronauti,1962), procede per affinamento, fino alle compitazioni geometriche degli anni ’70, appunto proiettandosi, successivamente, nel corso degli ’80 e oltre ad una costruzione d’efflorescenze espansive che nascono dall’esplosione delle forme pure geometriche nell’ansito d’acquisizione d’una dimensione di più calda comunicazione (De Charta picta,1985), poi sciolte in ulteriori implicanze significanti nella serie de I segni della pittura o nella Ouverture vert del 1989, fino a Ouverture del 1992 e Libro d’artista [……]
DAL TESTO DI ROSARIO PINTO NEL VOLUME “LA PITTURA NAPOLETANA, STORIA DELLE OPERE E DEI MAESTRI DALL'ETA' ANTICA AI NOSTRI GIORNI”-LIGUORI EDITORE-1998
Esposte alla Casina pompeiana, le opere di sei artisti partenopei - Generazioni dell'arte
La rassegna d'arte inaugurata alla Casina pompeiana il 20 luglio, prosegue alla villa comunale di Napoli fino ai primi di settembre. Generazioni della pittura campana a confronto. Barisani, De Tora, Spinosa, Di Ruggiero, Lanzione e Manfredi
Inaugurata da un intervento di Guido D'Agostino, assessore alla cultura del Comune di Napoli, s'è aperta la mostra "Gener-azioni" negli ambienti della Casina Pompeiana all'interno della Villa Comunale di Napoli.
All'indirizzo di saluto di D'Agostino, che ha assicurato una più aperta attenzione da parte dell' Amministrazione verso i problemi e le esigenze dell'arte contemporanea, promettendo che lo stesso ruolo della Casina Pompeiana sarà potenziato nel prossimo futuro, hanno fatto seguito gli interventi dei critici Ela Caroli, Marco Meneguzzo e Giorgio Segato, che hanno presentato la rassegna e che hanno curato il bel catalogo edito dall'Istituto Grafico Editoriale di Napoli.
La Caroli ha messo a fuoco il senso d'una rassegna d'artisti tutta napoletana che premia il rilievo che la cultura artistica partenopea ha saputo conquistarsi, Meneguzzo ha cercato di definire le ragioni dello stare insieme di questi artisti che non hanno in comune un 'manifesto', Segato, infine, ha riepilogato le ragioni d'una persistenza d'una formula, quella appunto di "Gener-azioni", di cui la mostra di Napoli costituisce, in pratica la quinta edizione.
Questa edizione partenopea segue, infatti, la prima che si tenne a Casoria e poi le altre a Nocera, a Bari, ad Ercolano. Al di là di alcuni inevitabili aggiustamenti, questa edizione si presenta sostanzialmente immutata nella formula come nel messaggio che continua a proporre, il titolo stesso indica subito i contenuti della mostra: presentare una sorta di campionatura, cioè, dell'arte napoletana attraverso tre generazioni d'artisti. L'obiettivo è senz'altro ambizioso, aprendo al-l'aspettativa di un quadro di restituzione storica, più articolato e complesso, più ricco di componenti e di personalità. Certamente, nella rassegna presentata emergono la straordinaria bellezza e la pre- gnanza delle opere di due dei grandi 'padri' dell'arte napoletana contemporanea, Barisani e Spinosa, figure di riconosciuto spessore, personalità grandeggianti e consegnate già alla storia con tutto il carico del proprio protagonismo. Nè mancano d'interesse sia la presenza preziosa dell'intervento di Carmine Di Ruggiero, artista raffinato e poliedrico, ricercatore silenzioso e discreto nella sua ricerca di alta caratura formale e di profondo èmpito contenutistico, sia quella di Giovanni De Tora attento analista della forma, pazientemente volto ad una distillazione alchemica del segno che va facendosi, col tempo, progressivamente etereo ed essenziale, pur senza perdere, tuttavia, la carica semantica che di proprio gli appartiene. A queste figure si connettono le altre, più giovani (ma sono comunque quarantenni anch'essi!) di Manfredi e Lanzione, che dovrebbero apparire nel contesto d'un'articolazione generazionale così pronunciata quasi come dei 'ragazzi di bottega', e che pre- sentano motivi di interesse per le proprie ricerche che, pur legate ineludibilrnente all'opera dei 'padri', dai quali prendono le mosse, non rinunciano tuttavia a ritagliare spazi personali di intervento. Un percorso "generazionale" della creatività artistica napoletana contemporanea avrebbe dovuto, forse, tener conto anche d'altri problemi che la scena artistica partenopea pone: il rapporto con la tradizione, ad esempio, il senso storico e l'incidenza d'una linea figurativa non confinabile troppo semplicisticamente nei cascami d'un passatismo senza ragioni, ma anche le aperture verso motivi di ricerca di grande spessore civile (pensiamo, ad esempio, alla stagione negli anni '70 del movimento dell' "Arte nel Sociale''). Anche a non tener conto di ciò, comunque, una articolazione diacronica, capace di farsi rivelativa del divenire soprattutto dell'opera dei maestri più anziani, avrebbe fornito non solo motivazioni maggiormente convincenti del titolo di "Gener-azioni", ma anche una ragionevole giustificazione della ripetizione della rassegna per tre anni in cinque edizioni.
ARTICOLO DI ROSARIO PINTO APPARSO SUL QUOTIDIANO ''IL DENARO'' DEL 22 FEBBRAIO 2003 PER RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA PRESSO LA GALLERIA ''MA-MOVIMENTO APERTO'' DI NAPOLI DAL 28 FEBBRAIO AL 21 MARZO 2003
Movimento Aperto- La Gallerista Ilia Tufano chiama a raccolta numerosi artisti napoletani
Sotto il segno di un quadrato
''In Quadrato" non è solo il titolo di una mostra, che si apre venerdì 28 febbraio presso la sede di "MA - Movimento Aperto" in via Duomo 290/c, né costituisce il semplice suggerimento di un te- ma, ma è, soprattutto, l'indicazione di un metodo di lavoro e di un orientamento contenutistico.
Ilia Tufano, che è l'organizzatrice dell' evento espositivo, ha chiamato a raccolta gli artisti napoletani per coinvolgerli in un'impresa che mettesse a confronto la più ampia gamma di espressioni, avendo a misura d'ordine e di definizione modulare la forma del "quadrato" da considerare come riferimento normativo e come luogo definito entro il quale ciascun artista potesse disporre con libertà espressiva le determinazioni creative della sua ricerca. Non sfugge, naturalmente, che le prospettive che si aprono, a muovere da tali indicazioni fornite da Ilia Tufano. siano di grande respiro. Si capisce bene, insomma, che la formula suggerita dalla gallerista di "MA" innesca una vivace dialettica forma contenuto, dal momento che al rigore indefettibile della forma "quadrata", che costituisce il limite circoscrittivo entro il quale deve operare l'artista, non fa riscontro alcun'altra prescrizione su ciò che all'interno del "quadrato" l'artista può disporre, ri- manendo assolutamente libero di scegliere tecniche, linguaggi, temi. Alla costrizione della forma, insomma, corrisponde la massima libertà contenutistica. E qui ci interroghiamo per tentare di capire se l'artista avrà avvertito l'esigenza di assecondare anche nei contenuti l'impostazione logica che suggerisce l'ordito formale o se avrà ritagliato il suo spazio di libertà, fino, magari, alla trasgressione ed alla sottolineatura insistita della propria indipendenza immaginativa. L'arte dei secoli passati ci aveva abituato ad una corrispondenza bilanciata tra forma e contenuto, ad un equilibrio che traeva le sue motivazioni da un rapporto organico alla cui determinazione concor- revano molteplici fattori, non esclusa, ovviamente, la stessa indicazione puntuale fornita dalla committenza. All' artista dei nostri tempi sembrerebbe riservato, invece, il massimo grado di libertà espressiva che si manifesta molto spesso anche attraverso sortite di cui sfuggono talvolta la logica ispirativa e la coerenza interna. Alla luce di tali considerazioni ed in funzione di una prospettiva di intendimento della formula stessa di "in quadrato" che variamente si presta a molteplici (e, tal- volta, maliziose) letture, secondo che "in quadrato" lo si legga di tutt'un fiato o ben staccando le parole o immaginandovi intermesso un trattino, osserviamo che l'idea di Ilia Tufano di chiamare a raccolta gli artisti napoletani a riflettere ed a confrontarsi con un dato oggettivo appare come un'idea forte e vincente. I risultati, d'altra parte, confermano tale nostra valutazione: basterà appena dare una scorsa ai nomi dei partecipanti a questa mostra per comprendere lo spessore dell'iniziativa. Hanno aderito, infatti: E Alamaro, G. Altamura, V. Aulitto, M. Balatresi, A. Barbagallo, A. Bertoldo, M.L. Casertano, S. Cecere, M. Ciardiello, P. Coppola, S. De Curtis, G. De Tora, A. Della Rossa, B. Del Monaco, L. Dell'Anno, C. De Falco, G. Di Fiore, M. Di Giulio, C. Di Ruggiero, G. Duro, C. Esposito, G. Ferrenti, E. Fiore, V. Fortunati, F. Gallo, A. Giuffredi, A. Iavarone, F. Lanni, G. Lizio, A. Lombardi, G. Longobardo, F. Lucrezi, S. Maglione, Niobe, G. Marino, R. Matarese, M. Mautone, R. Mazzella, R. Milo, G. Monda, C.Palermo, R. Panaro, P. Pappa, G. Pirozzi, R. Petti, Cl. Rez zuti, G. Ricciardi, M. Ricciardi, M. Roccasalva, E. Ruotolo, M. Sangiovanni, S. Spataro, B. Starita, T. Stefanucci, P. Truppo, I. Tufano, F. Verio, D. Zagaria. E' un elenco di nomi, questo, ma si comprende bene che entro il perimetro di queste personalità si racchiude parte rilevante non solo del personale artistico del momento creativo attuale, ma dell'intero arco della produzione artistica della seconda metà del '900 a Napoli. Il confronto è generazionale, di tecniche, di linguaggi ed è un confronto tutt'altro che selvaggio, anzi "in ... quadrato". Dalla dimensione geometrica, alle logiche "madi" alle scansioni plurime dell'informale, alla analisi variamente condotta di una figurazione che cerca un suo assetto di proposta ragionevole e spendibile, fino agli echi estremi di un pop reinterpretato secondo sensibilità tutte europee e fino a proposte di una creatività eccedente gli ambiti definiti di compartimentazioni stilistiche obiettivamente codificate, il panorama della risposta degli artisti alla chiamata di "MA - Movimento Aperto" si presenta ampio e dilatato, capace di fornire spunti di riflessione e di confronto, proprio perché quell' omogeneità acquisita nel segno della forma "in quadrato" garantisce l'opportunità di ragionare sulle differenze, che si qualificano come specificità e non come separatezze incomunicanti.
DAL TESTO CRITICO DI ROSARIO PINTO SUL CATALOGO DELLA MOSTRA COLLETTIVA DI SCULTURA “STRUTTURA-OGGETTO” ED. SPRING PRESSO IL BELVEDERE DI S.LEUCIO (CASERTA) DAL 30 MARZO AL 26 APRILE 2005
[…]Un'attenzione particolare merita il già citato De Tora per la particolare evoluzione che segue il suo percorso creativo che della dimensione geometrica ha sempre intessuto l'ordito della sue trame compositive.
Nella stessa pratica d'una pittura di denuncia, che, intorno alla fine degli anni Sessanta, lo porta addirittura in prossimità della temperie internazionale di cui «Equipo Cronica» costituisce uno dei punti di massima coscienza creativa, con un'adesione ad una sorta di figurazione intenzionalmente giocata sul filo della bidimensionalità disegnativa e della timbricità cromatica, De Tora mostra una sorta di pulsione interna al geometrismo, che costituisce in lui un'esigenza intimamente avvertita, una scansione dell'animo, piuttosto che un abbrivio meramente stilistico. Non a caso tali refluenze di pensiero s'avvertono anche quando la pratica dell'informale viene a costituire il suo centro d'interesse creativo.
Penseremo, in proposito, a cose come II sole blu (1985), o anche a Laboratorio di segni (1986), ma anche, e più specificamente in ordine alla capacità di interpretare lo spazio, con una sorta di accostamento alla logica delle superfici nello spazio, già inaugurata da Di Ruggiero negli anni Sessanta, a Sequenza ambientale, proposta nel 1981 a Mestre. Si tratta, in questo caso, di una serie di sei triangoli posti in successione dichiaratamente vettoriale a definire con la propria allusività di pedane un percorso da compiere verso il progresso nel tempo[…]
ARTICOLO DI ROSARIO PINTO APPARSO SUL QUOTIDIANO ''ROMA'' DEL 22 GENNAIO 2009 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA ''TRACCE SEGNICHE'' A CASTEL DELL'OVO DI NAPOLI NEL GENN FEBBR 2009
Tracce segniche, l'arte del Novecento
E' stata inaugurata martedì, nelle sale del Castel dell'Ovo a Napoli una mostra che intende tracciare un primo bilancio d'una prassi artistica imperniata intorno all'irrinunciabilità del "segno" ed alla pregnanza materica. Il suo titolo è "Tracce Segniche" e propone quattro personalità di artisti napoletani, che hanno svolto - lungo tutto l'arco della seconda metà del Novecento - una ricerca creativa di taglio informale, porgendo attenzione - e sempre all'interno d'un intervento aniconico - anche ad esigenze più dilatatamente astratto-oniriche, Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti sono gli artisti intorno ai quali questa rassegna si impernia: sono personalità notissime anche a livello internazionale e si presentano al pubblico partenopeo con una proposta espositiva che non ha soltanto il pregio di additare alcune cose della loro più recente produzione, ma anche quello di gettare uno sguardo su di una temperie produttiva che non ha mai dismesso, unitamente con l'impegno contenutistico, una progettazione creativa significativamente imperniata sul dato materico. In tale senso, insomma, Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti possono essere considerati degli archetipi modulari alla cui stregua è possibile avere uno spaccato paradigmatico d'un intero cinquantennio vissuto artisticamente nel segno dell'informale. "Tracce Segniche" è, perciò, il titolo che sintetizza proprio tali ragioni. E il fruitore ha l'opportunità di confrontarsi con un processo artistico che non rifiuta - proprio nel nome d'una convinta scelta "non-oggettuale" - il pieno coinvolgimento sul piano dell' "oggettività". Per effetto di ciò avviene che la prospettiva non figurativa non sia affatto slegata dalla realtà delle cose, delle quali fornisce, piuttosto, una rappresentazione inusuale ed apolide, spaziata entro le logiche d'un ragionamento che è innanzitutto d'ordine morale, e che, poi, si diffonde come chiave di comprensione dell'esistente e della storia. Il volume di saggi che accompagna la rassegna suggerisce con ampiezza di documenti e di rimandi storici gli ancoraggi di questa arte alle più significative espressioni di marca "informale", fornendo indicazione delle specificità individuali dei singoli artisti: così degli afflati lirici di Auriemma, come del controllo bilanciato di De Tora, nonché della straordinaria e pienamente matura forza espressiva di Di Ruggiero e, infine, degli spessori e dei volumi della scultura di Ferrenti.
DAL TESTO CRITICO DI ROSARIO PINTO SUL CATALOGO DELLA MOSTRA “TRACCE SEGNICHE” ED. LER DI MARIGLIANO (NAPOLI) AL CASTEL DELL’OVO DI NAPOLI DAL 20 GENNAIO AL 20 FEBBRAIO 2009
Tracce segniche
[……]Più giovane è De Tora, che non disdegna, ai suoi esordi, una sorta di rimeditazione figurativa secondo fluenze di tonalismo addolcito - in cui, però, nulla è concesso alla leggerezza decorativa - (Paese al tramonto, 1961, o Industria dello stesso anno). Attraverserà tutte le fasi più ricche e significative delle dinamiche post-belliche, approdando nel corso del decennio dei Sessanta ed all' esordio ancora del decennio successivo, alle declinazioni 'paracinquantottine' dapprima e poi a quelle del cosiddetto 'Realismo di Denuncia' così prossimo, ad esempio, alle istanze di "Equipo Cronica" e di altri similari ''gruppi europei".
Col tempo, De Tora non ha ceduto alle lusinghe d'un più facile abbrivio creativo, e dalle istanze fertilmente esemplaristiche della ricerca più originale che si svolgeva a Napoli negli anni del secondo lustro dei Cinquanta, ha tratto principalmente le ragioni d'un impegno costruttivo, disponendosi a dare corpo ad una lettura dello spazio che fosse certamente more geometrico, ma non per questo avulsa da una necessità di volgersi a reinterpretare con occhio analitico le pieghe del vissuto ambientale e della storia. E' per ciò che può affermarsi che la dinamica delle sue sintesi geometriche si iscrive a chiare lettere nel novero dell' 'astrazione', non certo dell' 'astrattezza'.
In queste ricerche che più che essere 'di sperimentazione', sono 'sperimentali', si manifesta ciò che vorremmo definire la pregnanza organica della produzione piùmatura di De Tora che consiste non soltanto nell'abbracciare la via 'geometrica', ma nel coniugare questa con un'istanza materica che veniva perimetrandosi come distillazione delle esperienze condotte negli anni di formazione e in quelli d'esordio. Su queste basi, d'altronde, poteva maturare - come è avvenuto - un incontro di De Tora con le logiche di Di Ruggiero, ma anche con quelle di quegli artisti che si sarebbero dati più d'un appuntamento espositivo sotto l'egida della formula di "Generazioni?", che fu, piuttosto che un programma, la registrazione d'un dato, quello, in particolare, dello stemperarsi e dello svolgersi d'un'esperienza logico-materica in un pugno d'artisti che erano portatori di istanze pregresse che andavano dalle decli- nazioni 'concretiste' fino alle declinazioni 'informali' attraversate da richiami di rigore 'geometrico'.
Ancora una volta, insomma, la felice sintesi delle varie esperienze creative ha animato, a Napoli, un 'crogiuolo' produttivo all'insegna di 'Generazioni' che ha costituito un riferimento esemplaristico. E tale riferimento esemplaristico ha avuto grande valore per le leve subentranti di giovani in via di formazione, un valore esteso e producente, evidentemente di più dilatata portata rispetto all' occasionalità definita delle specifiche date d'appuntamento espositivo......
Antologia critica ragionata
GIANNI DE TORA
La dimensione della coscienza storica e della vita costituiscono, nella prospettiva critica di Arcangelo Izzo, il riferimento ineludibile per la dimensione normativa che presiede l'equibrio formale.
"Gianni De Tora, come tutti gli artisti meridionali, ha l'occhio educato a forme sicure e abituato ai rapporti. Ma egli sa che questa formula goethiana, per quanto affascinante ed esaltante, induce il rischio di fratture e di opposizioni dialettiche inconciliabili e pericolose per la cultura. Egli, invece, sente o mostra di sentire che la forma, quasi membrana della vita, nasce dalla vita stessa senza comprometterne la fluidità e, contemporaneamente, senza restarle estranea.
L'unità organica della 'vita' non esclude per nessuno la molteplicità delle sensazioni, delle percezioni e delle esperienze. Ma nessuna creatura vive completamente: e, come in ciascuno c'è sempre qualcosa di oscuro, di enigmatico, di non ancora vissuto appieno e compenetrato dal movimento reale della vita, così nell'artista - dice De Tora - c'è la coscienza dell' 'inerzia' della sostanza, del semplice essere dei materiali. Un' 'inerzia' che non è mai totalmente vinta e superata, perché mai toccata, radicalmente, dall'individualizzazione.
Pertanto la sua 'conscientia', vibrante e frastagliata di artista, cogliendo la transmutabilità delle esperienze, risponde alle domande imperiose della 'forma' con l'indecisione che oscilla fino alla contemporaneità del sì e del no, proprio perché tesa a cogliere tutte le vibrazioni della natura e del corpo, per il quale la totalità della vita è presente in ogni singolo attimo. In questo processo di maturazione, anche la pittura di De Tora, da tecnica indiziaria per il particolare più insignificante, diventa traccia di qualcosa di più ampio e vasto, cui il pensiero si rivolge con uno schema generale, liberamente scelto, sentito e mai tradito, ma non più rigorosamente geometrico.
Questi passaggi sono stati già segnalati dalla critica più attenta, che sin dal 1970 individuava il primo affiorare di una 'lirica semplicità dell'immagine' tesa a condensare 'in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena, il proprio valore conflittuale' (Antonio Del Guercio); cui seguiva il riconoscimento di un riscatto da 'certi indugi che sembravano legarlo a irresolutezze formative'. Riscatto che avveniva per la nuova qualità della pittura e per la differente capacità di dipingere le mutazioni del sole e della luce, che consentiva a De Tora di ''prendere coscienza anche di realtà sensibili e naturali proprio attraverso l'orditura nitidamente geometrica (Sandra Orienti 1975)".
(Dal testo di Arcangelo Izzo, Gianni De Tora homo pictoricus, in catalogo della mostra presso le Logge Vasari di Arezzo nel 1985).
Il rapporto di De Tora con la realtà della vita non si propone nei modi di una pedissequa trascri- zione del dato) ma come progressiva maturazione d'un processo astrattivo in cui la forma geometrica assume il ruolo di evidenziatore epistemico del telaio logico dell'esistente.
In tale prospettiva possono essere letti i contributi che qui proponiamo di Gino Grassi che fornisce un utile spaccato diacronico dell'artista e di Corrado Marsan che inquadra il rapporto geometria-realtà in De Tora.
"De Tora compie un'operazione sulle forme geometriche, con particolare interesse per la sfera. L'impegnato artista ha compiuto tutta intera la propria evoluzione. Partito, infatti, da posizioni tardo-realistiche, De Tora, dopo un breve intervallo espressionistico, ha iniziato un discorso sulla forma e sull'idea della forma. Il punto focale dell'indagine di De Tora è, come ho detto, la sfera. Che è il punto di arrivo di elementi spesso contrapposti. Per la sua circolarità, infatti, la sfera è legata al naturale, ma, per la segmentazione in triangoli o in altri poligoni, la sfera è legata al razionale. Insomma, essa è il punto di incontro fra elementi 'a priori' ed elementi 'a posteriori', fra lirismo e ragione, fra regola e fantasia: De Tora con i suoi affascinanti teoremi ci dimostra di aver saputo cavare la poesia dalla forma obbligata e d'aver cominciato ad approfondire la 'filosofia della forma'. Come a dire che una ricerca può trasformarsi talvolta in una indagine concettuale".
(da un intervento critico di Gino Grassi nel "Roma" maggio 1975).
"Il suo [di Gianni De Tora] è un racconto in chiave geometrica (una geometria assai vicina all"oggetto ansioso' che ha contaminato buona parte della linea della ricerca contemporanea), che sembra voler mettere a fuoco, in un abilissimo gioco di scomposizione ricostruzione dello 'spazio nell'immagine', le metamorfosi e le tensioni del flusso e riflusso della 'realtà' (una realtà metafisica e tecnologica insieme) come per prolungarla nel suo atto poetico e drammatico. E proprio il senso di 'concretezza' che deriva da questo ininterrotto e allusivo viaggio esplorativo di De Tora, da questo minuzioso rapporto oggettivo con le 'cose' più disparate, è il termine che maggiormente ricorre nelle sue 'mutazioni' e nei suoi 'cerchi riflessi' più recenti: di qui una mozione di ricerca alla quale, in un secondo tempo, si possono aggiungere - grazie ad un segno che si scinde o si rassoda a seconda della necessità dei vari filtri del procedimento linguistico - anche le notazioni estetiche di liricità".
(da un intervento critico di Corrado Marsan ne "La Nazione" gennaio 1975).
La dimensione strutturale dell'impegno geometrico di Gianni De Tora viene analizzata da Enrico Crispolti e da Luigi Paolo Finizio che ne svelano le articolazioni minute.
"Dal geometrismo quasi onirico, fantastico certo, in una sorta di apertura visionaria, quasi d'intenzione cosmica, in forme minuziose, si direbbe scritte piuttosto che architettonicamente strutturate, praticato nel 1972-73, De Tora è approdato nel '74, e lo ha approfondito nel '75, ad un diverso e nuovo tipo di ordine fondato su strutturazioni precise, geometriche, entro le quali è assunto il principio della mutazione, cioè della sequenza, come gamma di eventualità di trasformazione strutturale. In questo senso De Tora non smentisce i suoi precedenti interessi di visione (e persino appunto d'un certo visionarismo dinamico), ma li ripropone in termini più controllati concettualmente e formalmente più chiari e definiti. Tali sequenze, mutative e non meramente iterative sono ordite entro un'impalcatura generalmente fatta di quadrati e di cerchi: cioè una struttura elementare in funzione di telaio (ma in qualche caso saranno anche triangoli acutissimi). Mentre molto più varia e articolata è la struttura minore, in mutazione che compare entro tali inquadrature, nel cerchio soprattutto (così che in fondo l'intero dipinto è una sorta di presentazione di mutazioni strutturali continue, come fermate in una tavola d'orientamento, di indice di tali mutazioni). [ ... ]
E dunque l'intenzione lirica di De Tora nel geometrismo costruttivo trova il suo veicolo, il suo strumento valorizzante, non tanto il suo fine. Ecco perché il lavoro di De Tora ha un tratto molto personale, che direi persino si può intendere quale tentativo di proporre un'accezione propria, 'meridionale' se volete, a certe scadenze di cultura geometrica seriale, d'origine invece tecnologica".
(dall'intervento di Enrico Crispolti in catalogo della mostra di Gianni De Tora alla galleria 'Artecom' di Roma nel novembre del 1975)
"Il reticolo che fa da supporto alle scomposizioni, alle minute decostruzioni delle tipologie geometriche non solo è esigenza di metodo che non si cela e diventa parte costitutiva dell'individuazione d'immagine, ma ribadisce nondimeno, in modo primario, la volontà di chiarezza comunicativa cui tende l'esperienza in corso. Questo rendere direi quasi trasparente l'enunciato e i modi di costruzione dell'enunciato stesso diventa, dunque, un bisogno concettuale ed emotivo ad un tempo. . [ ... ] L'iride, l'arcobaleno, lo spettro cromatico sono in fondo schemi di riferimento sia naturali che mentali che alludono o segnalano come il fumo al fuoco o le nubi alla pioggia. E il referente è sempre la luminosità solare come la chiarezza concettuale. [ ... ]
Resta d'altro canto costante in De Tora il riferimento all'ambiente naturale quasi si perpetuasse nel suo linguaggio il suggerimento da cui egli muove e che in realtà trova in quel linguaggio soltanto uno strumento di conoscenza. Sta appunto all'interno di questo dato consapevole la condizione di rendere esplicito senza equivoci il bisogno di risonanza interiore che governa l'artificio delle sue scomposizioni cromatiche".
(da Luigi Paolo Finizio, L'immaginario geometrico, Napoli 1979).
Pierre Restany definisce nella dimensione del 'segno' l'ancoraggio etico della pittura di De Tora confermandone l'irrinunciato legame con la datità delle cose.
"Qual è il messaggio della pittura di De Tora? Credo che il sindaco abbia detto una parola giusta, alludendo a questa geometria umanista che potrebbe proprio definire bene lo stile e soprattutto lo sviluppo interno dell'opera del nostro artista e credo che questa analisi sia molto importante e precisa. E' vero che la Magna Graecia abbia, per molti aspetti, continuato una tradizione di vero Umanesiimo razionale, ed il Sud, che incarna De Tora, è un Sud razionale e nello stesso tempo irrazionale, tra ordine e disordine e comunque di grande spessore umano. E' vero che lo sviluppo interno della sua opera parte da un certo lirismo espressionista, per arrivare molto presto ad una codificazione semiotica veicolata da un impianto geometrico minimale. Da questa semiotica geometrica emerge il ritmo melodico del cromatismo mediterraneo".
(Dall'intervento di Pierre Restany nel contesto dell'inaugurazione di una mostra di Gianni De Tora alla Galleria Civica di arte moderna di Gallarate nel febbraio del 1993).
ARTICOLO DI ROSARIO PINTO PER LA RUBRICA IL CALABRONE DIPINTO APPARSO SUL ROMA DI NAPOLI DEL 24 MARZO 2014 PER LA MOSTRA TERRITORIO INDETERMINATO
GIANNI DE TORA : territorio indeterminato
Si è appena conclusa alla "Galleria Angelica" di Roma la mostra dal titolo di "Territorio indeterminato" in cui sono state presentate opere di Gianni De Tora, artista napoletano, scomparso qualche anno fa.
Nel contesto del secondo cinquantennio del '900, periodo in cui il Nostro ha prevalentemente operato, la sua personalità è stata significativamente impegnata nel dibattito sull'Astrattismo Geometrico.
Può essere utile osservare che l'occasione di questa mostra romana giunge, inoltre, opportuna per aprire un dibattito di approfondimento su una stagione creativa che vide alcuni artisti napoletani come riconosciuti protagonisti, dai tempi della esperienza "concretista" dell'immediato dopoguerra, fino a quelli dell'impegno nel raggruppamento di "Geometria e Ricerca".
Nel dire di queste cose, non possiamo tacere i nomi di altre figure di primo piano, come almeno quelle di Renato Barisani e di Carmine Di Ruggiero, che additiamo anche perché hanno condiviso con Gianni De Tora molte cose all'interno dei propri percorsi artistici e, tra l'altro, anche la sede dei rispettivi studi nella settecentesca Villa Faggella a San Rocco di Capodimonte.
Non avremo detto tutto, però - e per quanto in estrema sintesi - della personalità di De Tora, se non ne segnalassimo anche la disponibilità ad espandere la sua sensibilità d'impegno astratto-geometrico verso le regioni di una pratica spiccatamente gestuale, all'interno della quale il Nostro definisce un intrigante sperimentazione astratto-informale, che non manca, inoltre, di arricchirsi di un sottile fascino "concettuale" (nella foto un'opera che dà testimonianza di questo avanzato e generoso orizzonte creativo di De Tora).
Un bilancio positivo, insomma, quello che ci consegna questa mostra romana, da cui la personalità di De Tora emerge con il carico criticamente convincente di artista aperto alla sperimentazione, difficilmente comprimibile entro gli schematismi di una formula predittiva.
ARTICOLO DI ROSARIO PINTO APPARSO SUL QUOTIDIANO ''ROMA'' DELL' 8 DICEMBRE 2014 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA '' ASTRATTISMO ECUMENICO'' PRESSO IL COMPLESSO CONVENTUALE DI ''S.ANTONIO'' A NOCERA INFERIORE (SA) DAL 4 ALL' 8 DICEMBRE 2014
Astrattismo ecumenico
Negli spazi del Salone medievale del complesso conventuale di Sant'Antonio a Nocera Inferiore è stata inaugurata la rassegna espositiva di arte astratta dal titolo di "Astrattismo Ecumenico ". Si tratta, in vero, come il titolo della rassegna lascia chiaramente presagire, di un' occasione espositiva in cui trovano accoglienza le varie famiglie dell' Astrattismo geometrico, nelle varie componenti "storiche'' del "Costruttivismo ", del "Concretismo ", del "MADI", di "Geometria e Ricerca", di "Astractura" e con la partecipazione di molte personalità "indipendenti", che, dagli anni Cinquanta ad oggi, hanno animato ed animano tuttora la ricerca astrattista. La rassegna è stata organizzata da "UTE-Nuceria" presieduta da Mario Pepe e vede presenti artisti di vane regioni italiane, tra cui Francesco Gallo, Lauro Lessio, Michele Marzo, Romualdo Schiano, Saverio Cecere, Aldo Fulchignoni, Alberto Lombardi, Enea Mancino, Renato Milo, Antonio Perrottelli, Marta Pilone, Giovanni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Giuseppe Testa, Libero Galdo, Guglielmo Roehrssen, Carmen Novaco (nella foto una sua opera), Mario Stoccuto, Lorenzo Bocca, Carlo Palermo, Ilia Tufano. L'intento della manifestazione espositiva è quello di mettere a confronto le varie “anime” della ricerca astrattista, dimostrandone la comune riconducibilità al progetto di messa a punto di una prospettiva analitica del dato fenomenico, estrapolandone le ragioni formali nel segno imprimente della matrice logico-matematica dei rispettivi percorsi creativi. Un intento, questo, che ispira, peraltro, l'azione anche dell'ISA, l'Istituto di Studi sull'Astrattismo, che, in filigrana, lascia discretamente trasparire il proprio impegno di intervento. Nella ricchezza degli accenti creativi, si afferma la sapienza costruttiva di una puntuale e robusta formulazione progettuale che, senza pretendere di farsi disvelamento scientifico, e rimanendo nei confini dell'arte, non manca di proporsi come identità della matrice di netta profilatura epistemologica.
TESTO DI ROSARIO PINTO SU PICCOLO DEPLIANT DELLA MOSTRA COLLETTIVA “ASTRATTISMO ECUMENICO” PRESSO COMPLESSO CONVENTUALE DI ''S. ANTONIO'' A NOCERA INFERIORE (SA) DAL 4 -8 DICEMBRE 2014
VOCAZIONI ECUMENICHE DELL'ASTRATTISMO GEOMETRICO
All'intemo della grande area dell'Astrattismo Geometrico è possibile individuare le peculiarità distintive di alcune grandi famiglie, di cui si possono definire le dirimenti specifiche, osservando che è comunque possibile riconoscere, al loro interno, la condizione della centralità irrinunciata dei 'fondamentali' euclidei. Aderendo alla prospettiva decisamente 'inclusiva' che appartiene, per vocazione e per scelta, nel segno del 'linearismo', alla componente 'astracturista' della temperie 'astratto-geometrica', si rende praticabile un approccio 'ecumenico' al tema e si possono valorizzare gli aspetti logici ed epistemologici che costituiscono l'ancoraggio comune di tutte le delibazioni geometriche. L'istanza razionalistica che si manifesta da Malevic a De Stijl, le scansioni 'costruttiviste' e 'concretiste', le declinazioni che muovono dalle consapevolezze di 'Cercle et Carrè', attraversando la stagione di 'Abstraction-Création', fino a giungere ad una prospettiva di 'Abstraction-Invencion', scalando le regioni della simmetria nelle proprietà dirimenti della singolarità obliqua, sono tutte cose che scandiscono i tempi dei decenni della prima metà del secolo ventesimo. S'aggiungono, quindi, le peculiarità cinetiche e cinestetiche, ma anche gli sviluppi delle prammatiche MADI ed il linearismo minimalista ed essenziale fortemente invocato da 'Astractura' .
E siamo, con queste ultime cose, nei decenni, oramai, della seconda metà del Novecento e giungiamo fino ad oggi, avendo conto, peraltro, che, al di là ed oltre di quanto hanno professato i movimenti ed i gruppi, molte altre personalità individuali hanno incardinato processi di ricerca autonomi, sperimentando, talvolta, e con intelligente fertilità, opportunità di soluzioni astrattive, capaci di lambire la consistenza eidetica stessa della dimensione 'concettuale'. Di tutto ciò vorremmo poter ragionare, laicamente ed ecumenicamente, inaugurando una capacità di dialogo tra i vari modi di essere astrattisti. Il panorama su cui suggeriamo di gettare un cono di luce - per muovere da un ancoraggio storico oggettivamente sperimentabile - è quello della temperie astrattista che si srotola in Italia (ma con uno sguardo evidentemente allargato) dalla seconda metà del Novecento in poi, arricchendosi dei contributi 'concretisti', 'costruttivisti', di 'Geometria e Ricerca', 'MADI', 'astracturisti' e di varie personalità indipendenti, grazie agli apporti di figure come quella di Libero Galdo, di Guglielmo Roehrssen (che ci riconduce, peraltro, al rapporto tra Astrattismo e Futurismo in Italia), e, poi, di Testa, di De Tora e di Di Ruggiero, protagonisti della stagione di 'Geometria e Ricerca', per non dire di Lessio, Marzo, Gallo, Fatigati e Schiano di area 'astracturista', di Milo, Pilone, Cecere, Perrottelli, Lombardi, Fulchignoni e Mancino, di area MADI, di Stoccuto e Novaco, di area 'costruttivista' e di Tufano, Bocca, Palermo ed altri che definiremo, complessivamente, ricercatori indipendenti. Si tratta di cogliere l'opportunità di sviluppare una chiamata a raccolta che possa giovare ad una messa a fuoco delle ragioni di un fare artistico - la prospettiva astrattista nella sua dimensione 'astrazionistica' - che si propone come una Weltanschauung, la quale - al netto della storicizzazione 'stilistica' che assume a partire dai primi del Novecento - può vantare il merito di costituire, in punto 'categoriale', una delle prime formulazioni di linguaggio artistico che l'umanità ha saputo precocemente darsi - già dall'età neolitica - con la consapevolezza di poter inglobare nel dato creativo una componente epistemologica di assoluto rilievo. Può essere utile, giunti a questo punto, interrogarsi sulla reale portata del contributo 'astrattista' nella storia dell'arte nel corso dei secoli e nel periodo di tempo, in particolare, che corre dai primissimi anni del Novecento fino ad oggi. Nel lungo corso della storia, dall'età neolitica in poi, la componente geometrica' ha avuto un valore decisivo nella storia dell'arte emergendo, talvolta, con pregnanza autonoma di assoluto rilievo e rimanendo, in altri momenti, compressa, ma non denegata, in una dimensione ancillare e subordinata. Si è anche accreditata una malintesa vocazione 'decorativa' ed 'artigianale' della ricerca 'astratto-geometrica', ma anche in queste condizioni diminutive, la ricerca astratto-geometrica non ha mai perduto il rilievo di una centralità permeante, andando a collocarsi - e proprio addirittura nella sua stessa utilizzazione 'artigianale' - nel vivo della quotidianità d'impiego d'una utensileria domestica 'solo' apparentemente priva, in punto vocazionale, di una sua consistenza di spiccato rimando eidetico. Con il Novecento, la ricerca 'astrattista' esce dal mondo del subordine 'decorativo' e fa il suo ingresso trionfale nel mondo delle arti, conquistandosi uno spazio di primo piano; e, contro il valore di pensiero che l'Astrattismo esprime, insorgeranno, ad esempio, i poteri autoritari cercando di conculcame il richiamo razionalistico che in quelle pagine di ricerca artistica inquietantemente (a danno delle determinazioni di poteri prevaricatori, come il Nazismo) insidiosamente s'annidano. È l'Astrattismo - quello che si afferma con i primi del Novecento - più propriamente definibile di ordine 'stilistico' che non 'categoriale' ed intende affermare un punto di vista sostanzialmente antitetico rispetto alle posizioni che aveva assunto un altro grande movimento che si afferma in quegli anni: il Cubismo.
Mentre questo, infatti, celebra una concezione 'scompositiva' della dimensione oggettuale delle cose, l'Astrattismo punta a definirne la calettatura 'analitica' e, così come - occorre ancora osservare - il Futurismo provvede a promuovere la dinamizzazione dei processi, l'Astrattismo, invece, ne invoca la 'ferma' statica, per poter procedere con più puntuale attenzione alla disamina avvertita, consapevole e normativa del reale fenomenico e delle sue ragioni, ragioni da considerarsi non come aprioristicamente già date, quanto, piuttosto, emergenti da una conoscenza da intendersi come attività 'creativa' e non meramente 'disvelativa'. La natura, insomma, non come semplice libro in cui 'leggere' quanto vi è scritto con linguaggio matematico, secondo quanto aveva additato il pensiero rinascimentale, ma come libro 'da scrivere', valorizzando opportunamente la conoscenza come atto 'creativo' e non 'disvelativo'. Un ruolo fondamentale, quindi, viene svolto dall'azione normativa. E la cosa si spiega soprattutto se assumiamo il punto di vista della capacità di rifiuto di ogni eterodirezione prescrittiva che l'Astrattismo intende affermare. L'Astrattismo, infatti, va a rivendicare, nei processi del suo sviluppo, che l'atto conoscitivo non procede a un disvelamento delle ragioni 'preesistenti' delle cose, ma alla loro definizione come atti creativi ed autonomi della mente, così che le cose stesse acquistano senso e spessore more geometrico nel momento in cui il pensiero 'normativo' procede a definirne dovutamente la perimetrazione logica. Sono questi gli assi di pensiero che giustificano e promuovono l'istanza astrattista come un momento fortemente dirimente non solo nel mondo delle arti visive, ma nella coscienza stessa dell'uomo, guadagnando al pensiero umano un ulteriore argomento di convincimento e di affermazione della propria dignità e del proprio potere. Un potere che è, evidentemente, razionale e, per questo, responsabile e controllabile, suscettibile di essere messo costantemente in discussione e di trarre la sua forza dalla adesione per convincimento e non ex cathedra.
TESTO DI ROSARIO PINTO TRATTO DAL VOLUME '' GLI ORIENTAMENTI ARTISTICI ASTRATTO-INFORMALI'' 2015
ED. PRINT ART
[...]Il gruppo 'Generazioni' ha avuto un suo percorso abbastanza intenso e vivace: formato da Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Mario Lanzione, Antonio Manfredi e Domenico Spinosa, ha prodotto alcune mostre espositive che sono subito apparse caratterizzate da un’avvertita spinta alla produzione di una sensibilità astratto-geometrica, che avesse conto di assumere al proprio interno anche istanze di ordine infomale al netto della capacità di lasciar presiedere lo sviluppo creativo da una non irrinunciata delibazione progettuale.
Potrà giovare osservare oggi — alla distanza storica di molti anni dalle esposizioni che il gruppo di 'Generazioni' produsse — che i contributi più stringentemente versati alla integrazione tra dimensione astratto-geometrica e dimensione informale furono quelli di Carmine Di Ruggiero e di Mario Lanzione.
La disamina delle opere degli altri componenti il gruppo suggerisce, iufatti, che gli artisti abbiano durato qualche fatica nel processo di integrazione ‘astratto-informale’, fatica che porta Barisani e Spinosa, ad esempio, a privilegiare — sia pure con diverse sensibilità — le istanze informali, istanze che si sfibrano, invece, in quegli anni, nella più marcata propensione di De Tora, ed ancor più in quella di Manfredi, ad una asciutta tensione geometrica.
Osserveremo, in aggiunta, che, mentre in Di Ruggiero l’abbrivio astrattista sposa la pregnanza informale stabilendo nette scansioni di linearismo geometrico a profilatura perimetrale degli spazi planari, in Lanzione la costruzione geometrica si afferma come processo nascente dall’interno stesso delle stesure materiche che si producono in forme’ geometricamente leggibili.
In filigrana, dietro l’esperienza di ‘Generazioni’ — occorre ancora osservare — si può scorgere l’azione di 'Geometria e Ricerca’, un gruppo in cui troviamo implicate alcune delle personalità che animano anche il successivo raggruppamento di 'Generazioni' su cui ci siamo appena soffermati.
Di 'Geometria e Ricerca’ occorre subito dire che, negli anni dal ‘75 all’ ‘80, aveva già inteso proporre il tema dell’accostamento — non particolarmente insistito, in verità — alle dinamiche informali, facendo un uso più massiccio, però, del linguaggio asciuttamente geometrico.
E potrebbe essere, però, più giusta anche una prospettiva diversa, per una miglior comprensione di quelle che furono le disposizioni creative di ‘Geometria e Ricerca’: tener conto, cioè, del fatto che sia stato il linguaggio ‘informale ad intridere, con la sua pervasività, una intelaiatura geometrica.
L’ inversione di prospettiva non è, evidentemente, del tutto ininfluente.
Hanno operato all’interno di questo gruppo di ‘Geometria e Ricerca’ le personalità di Barisani, De Tora, Di Ruggiero, poi, come abbiamo già detto, attive in seguito nel raggruppamento di 'Generazioni’, ma anche quelle di Riccardo Riccini, Guido Tatafiore, Giuseppe Testa, Riccardo Trapani, artisti che potevano vantare un retroterra nutrito non solo di robuste consapevolezze astratto-geometriche, ma anche di una sensibilità materico-informale di assoluto rilievo.
Ci limiteremo a citare, a mo' d'esempio, la comune appartenenza al gruppo ‘concretista’ di Barisani e di Tatafìore, nell’immediato secondo dopoguerra, ma sarà bene sottolineare che, come opportunamente annota Marinetta Picone Petrusa, “la geometria, dunque, per loro si configura, non già e non solo, come un insieme di regole e postulati , bensì come un immenso campo virtualein cui giocano un ruolo fondamentale i concetti di eccentricità, modularitaà, illusionismo, analisi concettuale”. […]
ARTICOLO DI ROSARIO PINTO SUL QUOTIDIANO ROMA DI NAPOLI DEL 14.5.2018 PER RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE SU GIANNI DE TORA “SPAZIO, GEOMETRIE DEL TEMPO” SVOLTASI AL PALAZZO DELLE ARTI DI CAPODRISE (CASERTA) DAL 10.3.2018 AL 14.4.2018
L' occasione della mostra inaugurata a Capodrise, nel Palazzo delle Arti, dal titolo di "Spazio, Geometrie del tempo ", consente di ragionare della personalità di un artista napoletano, Gianni De Tora, da qualche anno scomparso, che ha avuto il pregio di mettere a confronto una concezione geometrica della pittura, con ciò che può definirsi l'istanza ineludibile del legame con la realtà effettuale ed esigenziale del portato della storia.
La conoscenza personale e la frequentazione praticamente quotidiana che, per molti anni, abbiamo avuto di questo artista ci consente, peraltro, di poter offrire anche una testimonianza diretta sulle qualità umane e sullo spessore morale della sua personalità: ci piace ricordarne, tra l'altro, lo spirito arguto, la visione disincantata delle cose, la sensibilità partecipativa, il distacco dalle contingenze e dalle minuzie ininfluenti.
Il contributo offerto da Gianni De Tora alle dinamiche dell 'Astrattismo è stato di notevolissimo spessore, avendo egli saputo creare una determinazione dei "contenuti" geometrici particolarmente puntuale, dando corpo a figurazioni di particolare pregnanza perché capaci di rendere esplicito e di comunicare efficacemente, nel darsi complessivo dell'esperienza fruitiva, il significato profondo delle istanze fondative, di "telaio ", degli assetti prescelti come fattori strutturanti dell 'immagine.
L'attenzione alla puntualità esecutiva, la politezza formale del suo gesto produttivo, non hanno impedito all 'artista di saper cogliere anche la intrinsichezza "materica" delle referenze oggettuali che presiedono il darsi storico e sensorialmente esperibile delle cose e, proprio per effetto di ciò, la pittura di Gianni De Tora assume spesso anche cadenze nettamente "materiche" che - occorre dirlo con convinzione - non contrastano mai, in radice, la consistenza obiettiva della strutturazione astratto geometrica che costituisce l'abbrivio essenziale della sua delibazione creativa.