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12.09.2022
MILLE PENSIERI PER GIANNI
Antologia Critica
CHI WHO
Andrea Viliani - Angela Tecce - Angelo De Falco - Angelo Trimarco - Anita Pepe - Antonio Del Guercio
Antonio Filippetti - Arcangelo Izzo - Bruno D'Amore - Carlo Roberto Sciascia - Carmine Benincasa
Ciro Ruju - Clorinda Irace - Corrado Marsan
A/C
Andrea Viliani
TESTO CRITICO (LUGLIO 2019) DI ANDREA VILIANI IN OCCASIONE DELLA MOSTRA COLLETTIVA “ PARCO DELL'ARTE CONTEMPORANEA NEL VALLO DI DIANO, OPERE, IDEE, PROGETTI, PERSONE DALLA COLLEZIONE DEL MADRE “ - PRESSO IL CASTELLO MACCHIAROLI A TEGGIANO (SA) DAL 10 LUGLIO 2019 AL 15 FEBBRAIO 2020
Una tendenza geometrizzante, già ravvisabile nelle prime opere a soggetto paesaggistico degli anni '50, è alla base della pratica di Gianni De Tora (Caserta, 1941 – Napoli, 2007), nella sua investigazione dei concetti di materia-colore-luce in cui progressivamente si afferma il rigore di un'architettura spaziale basata sulla scansione dello spazio-tempo pittorico. Dall'inizio degli anni '70 – rispetto ai precedenti gesti di ascendenza informale o icone di matrice pop – si succedono variazioni e possibilità combinatorie di figure geometriche elementari (quali cerchi, triangoli e quadrati) dipinti in colori primari stesi in campiture piatte sulla tela. Nell'opera Le diagonali asimmetriche (1979) l’astrazione formale e cromatica sembra conferire uno schema preciso e oggettivo a fenomeni fluidi, a riflessioni mentali fuggevoli, a risonanze emotive indistinte o, al contrario, sembra rendere soggettivo un linguaggio rigoroso e modulare, di ascendenza concettuale.
Angela Tecce
DAL TESTO DI ANGELA TECCE NEL CATALOGO DEL ''MUSEO DEL NOVECENTO''- CASTEL S.ELMO NAPOLI- GENNAIO 2010
[…….]A contrastare questo venir meno dell’interesse per il problema della ‘forma’, era nato nel 1976 un gruppo che sotto il nome di Geometria e Ricerca univa artisti di diverse generazioni e anche provenienti da esperienze diverse, Renato Barisani , Gianni De Tora, Carmine di Ruggiero, Riccardo Alfredo Riccini, Guido Tatafiore, Giuseppe Testa, Riccardo Trapani. Renato Barisani proseguì, riprendendo alcuni assunti della poetica del MAC, la sua ricerca di una pittura del tutto autonoma da interferenze autobiografiche, basata su elementi primari, la forma, il colore, ma sottilmente variata, anche attraverso l’adozione di tele sagomate (come nell’arte Hard Edge americana), e le modulazioni tridimensionali e oggettuali degli stessi principi geometrici. Coetaneo di Barisani, anche Guido Tatafiore si rivolse allo stesso immaginario geometrico, arricchito di un ulteriore livello ‘linguistico’ che lo pone per certi aspetti in collegamento con l’arte concettuale. Carmine Di Ruggiero si attestò nella sua personale declinazione di un informale sempre più placato e geometrizzante, che lo portò infine a far parte del gruppo con opere caratterizzate da un cromatismo ricco e vibrante. Di una generazione più giovane era Gianni De Tora, che nel gruppo introduce un esprit de géometrié da cui nascono elaborate griglie geometriche e dissezioni di figure semplici continuamente ripetute e variate nel colore e nella partizione del bianco e nero, alla ricerca di una impossibile completezza di combinazioni impossibili[…….]
GIANNI DE TORA (Caserta 1941 – Napoli 2007)
La sua formazione si svolge nel solco della tradizione figurativa, esordendo con paesaggi di stampo morandiano. Inizia a dipingere vedute di anonimi borghi in cui le linee geometriche quadrate e cilindriche definiscono i profili degli edifici in un impasto cromatico fortemente materico, grazie all'uso del colore ad olio misto alla sabbia. All'inizio degli anni Sessanta volge il suo interesse verso l'espressionismo e l'informale, rappresentando soggetti vagamente scientifici, come le spedizioni spaziali. In questo decennio partecipa attivamente al dibattito politico frequentando le accese discussioni sull'arte presso la libreria Guida di Napoli. Alla metà degli anni Sessanta realizza grandi tele legate alle tematiche sociali e politiche in atto, come la guerra in Vietnam. In questi lavori De Tora sovrappone al linguaggio mediatico della Pop Art, le linee diagonali e le forme cilindriche che preludono alla tappa successiva rigorosamente geometrica.
L'approccio avviene inizialmente in chiave astratta e concettuale prelevando dalla natura forme reali (Il sole risplende in lndocina, 1970) (Il Mondo,1972). Dal '75, con le Sequenze e Strutture Riflesse, il procedimento assume sempre più la dimensione del concretismo. De Tora muta il proprio punto di partenza: la matrice prima è la forma geometrica elementare (triangolo, quadrato. cerchio. sfera) analizzata in ogni possibile variante. Sequenza del triangolo è esemplare di questa operazione artistica in cui De Tora studia con calcoli matematici i rapporti spaziali. come si evince dallo studio preliminare in carta millimetrata. I colori primari e secondari, altri protagonisti nella sua produzione artistica, sono stesi in maniera perfettamente liscia sulla tela creando con i triangoli un effetto quasi caleidoscopico. Fase fondamentale del suo percorso artistico è il ruolo primario che ebbe nel Gruppo Geometria e Ricerca che si formò nel 1975 con la partecipazione anche di Barisani, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore,Testa e Trapani. Il movimento nasce con un riferimento con la precedente tradizione astratta napoletana del MAC (Movimento d'Arte Concreta) del secondo dopoguerra. Dagli anni Ottanta De Tora apre l'impianto rigorosamente geometrico con l'inserto di nuovi segni dinamici e dì annotazioni personali di matrice concettuale. Oltre la consueta tela, sperimenta nuovi supporti, estendendo la sua arte all'ambiente, come nelle pitto-sculture. La personale America del 2008 raccoglie i suoi ultimi lavori dedicati agli States e in particolare a New York che l'artista ha visitato dopo il crollo delle Twin Towers. [G.S.]
BIBLIOGRAFIA:
Napoli: catalogo mostra Geometria e Ricerca 1975-1980, a cura di M. Picone Petrusa. pp. 7-8, La Buona Stampa, Ercolano 1996;
Napoli: catalogo mostra, Gianni De Tora The world of signs. a cura di V. Corbi, Altrastampa Edizioni Napoli 2004:
M. Picone Petrusa: La pittura napoletana nel '900, Franco di Mauro Editore, Sorrento 2005, pp. 482-483-190
Angelo De Falco
ARTICOLO DI ANGELO DE FALCO APPARSO SUL SETTIMANALE INDIPENDENTE '' IL CAFFE' '' DEL 5 GIUGNO 1999 X RECENSIRE LA MOSTRA '' GENER-AZIONI '' PRESSO VILLA CAMPOLIETO AD ERCOLANO ( NAPOLI ) DAL 23 AL 30 MAGGIO 1999
Segni ed eventi
I critici Riccardo Notte e Giorgio Segato, su invito del Centro Studi "La Fayette" hanno presentato dal 23 al 30 Maggio, nella suggestiva cornice di VILLA CAMPOLIETO, la mostra-evento "GENER-AZIONI" curando nel contempo una splendida monografia stampata dalle edizioni IGEI di Rodolfo Rubino. La mostra ha avuto successo di critica e pubblico nonché i patrocini dell'Assessorato alla Cultura della Regione Campania, del Comune di Napoli, del Comune di Ercolano, dell'Ente Ville Vesuviane.
Carmine Di Ruggiero, direttore dell'Accademia delle Belle Arti di Napoli, il casertano Gianni De Tora, i napoletani Renato Barisani, Mario Lanzione, Antonio Manfredi, Domenico Spinosa hanno ripreso un confronto, che nel marzo 1998, alla 19 /ma Fiera Internazionale di Arte Contemporanea, ha tenuto vivo l'interesse della critica e del pubblico altamente selezionato.
Scrive nella monografia Riccardo Notte "A Napoli, alcuni anni fa, è sorta una aggregazione di artisti che si è data il nome di GENERAZIONI ... a questo punto occorre subito chiarire che GENERAZIONI non è un movimento, e che non è neanche una formazione che insegue o programma una poetica unitaria ... non intende stabilire un canone, non si oppone ad altre tendenze, né tantomeno è un club esclusivo ''. Il critico Giorgio Segato continua, nella monografla .. ''Il senso, è dato, a mio avviso, proprio dall'idea dell'arte come ''generazione" cioè come espressione di un movimento temporale e culturale, ma anche come una attività generante nuovi spazi, nuove idee ... così l'opera può spaziare indifferentemente da un astratto informale, lirico (Domenico Spinosa) oppure materializzare lo spazio in andamenti e ritmi plastici (Renato Barisani) ... strutturarsi in percorsi mentali con intermittenze cromospaziali inquiete (Carmine Di Ruggiero) ... fino alla rimessa in gioco aperta degli elementi segnici del fare pittura (Gianni De Tora)... o può sciogliersi in modulazioni espansive di segno, colore, strutture (Mario Lonzione), .. oppure l'opera può dilatarsi ad essere ambiente - non semplicemente ad occuparlo (Antonio Manfredi) .. ''.
La monografia "Gener-azioni" riporta anche i contributi critici di Vitaliano Corbi, Manuela Crescentini, Nicola Scontrino, le fotografie sono di Luciano Basagni, Fortunato Celentino, Enrico Grieco, Rocco Pedicini, Luigi Senatore......
ARTICOLO DI ANGELO DE FALCO DEL 26.11.2003 APPARSO SU ''ARTE MODERNA ON LINE'' X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA IL PILASTRO DI SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE) 2003
La "finestra" sull'arte di Gianni De Tora
"The window" (la finestra) è il titolo della mostra che Gianni De Tora ha attivato in questi giorni presso "Il Pilastro" centro culturale di Santa Maria Capua Vetere diretto da Gennaro Stanislao. Com'è questa finestra da cui l'artista napoletano si affaccia per vedere il mondo? È un filtro che rende geometriche le figure tridimensionali ed i paesaggi creando immagini da sogno essenziali e bidimensionali. Nelle sue opere il colore netto è la forza trainante della narrazione, lo scenario in cui le forme geometriche hanno la funzione di creare dialoghi ora sbarazzini ora seri, ora liturgicamente sacri. In ogni caso, da questi spazi dinamici si sprigiona una energia intensa. Scrive, nel catalogo, Giorgio Agnisola "Una volta entrati, lo spazio è sonoro, di una sonorità sommessa, indefinita, ampia che determina una condizione emotiva e psicologica di concentrazione ed armonia."
Gianni De Tora, artista attivissimo, è stato tra i fondatori del gruppo Geometria e Ricerca ed ha esposto, tra l'altro, alla X Quadriennale di Roma e alla XXXVIII Biennale di Venezia.
ARTICOLO DI ANGELO DE FALCO APPARSO SU ''L'AGORA' '' DEL MARZO 2004 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ANTOLOGICA AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI GENN/MARZO 2004
al Maschio Angioino l'astrattismo di De Tora
La sala della Loggia del Maschio Angioino ospita in questi giorni l'interessante mostra antologica "The World of signs" di Gianni De Tora. Il catalogo, edito da "altrastampa edizioni", contiene contributi critici di Mario Costa, Riccardo Notte, Pierre Restany e di Vitaliano Corbi che ha curato la mostra tutta.
Nello spazio espositivo sono state raccolte le più significative opere realizzate dal 1961 in poi: opere di grande respiro artistico realizzate da questo artista che è stato uno dei protagonisti della ricerca astratta a Napoli.
La geometria ha rappresentato per secoli la struttura nascosta dell'immagine e del sapere letterario e scientifico. Essa viene tradita dalla cultura barocca prima, dalla ricerca espressiva sensoriale dell'età dei Lumi, ed infine dall'espressionismo e dal naturalismo romantico. La sua rinascita vigorosa avviene nel Novecento con le Avanguardie Artistiche. Gianni De Tora è andato incontro alla geometria e la ha attraversata in una ricerca a tutto campo. Intitola mostre ed opere all'avventura dell'uomo nello Spazio.
Dal macrocosmo riflette la sua attenzione ai microcosmi con ricerche che effettua tra "Materia, Colore, Luce". Interroga lo spazio sacro del Teatro realizzando scenografie, e quello urbano per cui partecipa alla Biennale di Venezia 1976-77.
Lo attira lo specchio, per cui partecipa con grande successo con le sue "Strutture riflesse" alla X Quadriennale d'Arte a Roma.
La geometria e i segni nascosti nella parola lo incantano, per cui partecipa attivamente agli incontri mitici che la libreria Guida organizzò con Ungaretti, Moravia, Ginsberg, Eco, Barthes, Argan.
Artista solare, riservato, partecipa al dibattito artistico contribuendo fra l'altro alla fondazione e alla vita di due storici gruppi "Gener-azione" con Barisani, Di Ruggero, Spinosa, Manfredi, Lanzione e "Mutandis" con Panaro, Mautone, Di Giulio, Ricciardi, Puntillo, che
ancora oggi sono presenti nel dibattito artistico italiano.
Angelo Trimarco
TESTO DI ANGELO TRIMARCO PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA
''GEOMETRIA E RICERCA 1975-1980'' RICOGNIZIONE DEL GRUPPO A CURA DI MARIANTONIETTA PICONE PRESSO L'ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA DI NAPOLI DALL'8 AL 28 GENNAIO 1996
Geometria e Ricerca
Dalla nostra distanza - sul finire del secolo- è possibile, spero, ragionare di "Geometria e Ricerca" con animo rasserenato. Del resto, dei Magnifici Sette Guido Tatafiore, Giuseppe Testa e Riccardo Riccini ci hanno lasciato per sempre, mentre altri artisti continuano a sperimentare, appartati dal rumore del mondo, i loro rapporti con l'arte, pittura o scultura che sia. Fra di loro c'è, però, Renato Barisani, il Grande Vecchio, che, mai domo, lavora ancora con il fervore e l'inventiva degli anni passati. Una condizione di pace per tutti (per quanto possibile, si capisce): per gli artisti e per i critici. Per dire (o tornare a dire) cosa? Anzitutto, che Geometria e Ricerca, al di là di ogni celebrazione, non è l'estremo filo di voce di una tradizione ormai stanca. Ma, nella linea della migliore cultura artistica napoletana, è un'esperienza dignitosa al passo con la storia. Con quella trama fittissima (e diversamente orientata) che, in Europa e negli States negli anni Settanta, ha attraversato la via lunga del teorico e della riflessione, dell'analisi degli strumenti della pratica pittorica. Di questa via, alla metà (e poco oltre) del decennio, Geometria e Ricerca - il lavoro, dunque, di Barisani , De Tora, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore, Testa, Trapani, per metterli in fila tutti - è un momento credibile, come ha notato Menna, anche se meno risplendente di altri. Dell'arte concettuale e di Art & Language, di Supports/Surfaces e della stessa Pittura italiana, dell'Iperrealismo o della Narrative Art. Tuttavia, uno spazio in cui lavora sulla costruzione dell'opera e sul suo funzionamento, sui rapporti che ne fanno una struttura. Anche se questa parola viene usata con cautela. Il filo che lega Geometria e Ricerca al MAC - alla ricerca di Barisani, De Fusco, Tatafìore e Venditti - , ai primi anni Cinquanta, è proprio l'idea che l'esperienza artistica è un fare e il fare è un formare. Un formare, si legge in quell'intensa dichiarazione di poetica del '54 Perché arte concreta, che è "impegno morale", "coscienza d'essere nella realtà'' , ''agire'': ''I nostri pannelli e strutture sono delle forme nelle reali dimensioni, nel loro colore, realizzate nella loro materia". Dunque, è ancora il formare, l'eredità del MAC, a divenire, dopo le avventure dell'lnformale nel teatro perturbante della vita e i movimenti più recenti dell'arte di comportamento lungo e dentro i bordi del corpo e delle sue estenuazioni, il taglio per tornare a pensare l'arte come ricerca. A difendere la bandiera del Mac ci sono nuovamente, arricchiti da tante altre esperienze, Barisani e Tatafìore, che ha preferito ad un certo punto dedicarsi alla costruzione di barche piuttosto che al lavoro dell'arte. Fra di loro e i più giovani (De Tora, Riccini, Testa, Trapani) fa da ponte Car- mine Di Ruggiero che, nel '73, con la personale al Centro Arte Europa, svolge un discorso che conduce direttamente a Geometria e Ricerca. Per quella mostra ho scritto (e mi scuso per il ricordo) che i suoi lavori "costituiscono una sequenza articolata e strettamente in relazione, un continuum spaziale, all'interno del quale ciascuna operazione avvia uno scarto minimo (ma tuttavia decisivo)". E ho aggiunto - circostanza che mi pare ancora condivisibile - che i "triangoli di Di Ruggiero non rinviano a una memoria teosofica o mistica, a un ordine di verità rarefatte e inafferrabili". Così come il "colore, luminoso, non rimanda alla biografia dell'artista, alle sue mosse interiori, ma vale per la sua presenza, la sua fisicità, la sua struttura".
Questo passo su Di Ruggiero collega il "formare" del Mac alla costruzione dell'opera per via della geometria; una geometria, comunque, temperata nella sua assolutezza dall'esercizio del fare e dall'esperienza, svincolata da qualsiasi tensione utopica. La geometria è, così, soltanto il luogo della costruzione dell'opera, la trama di elementi primari con i quali articolare la superficie, l'insieme di modalità per regolare il ritmo dei colori, il gioco infinito del punto e della linea.
Intorno a queste figure - il formare e la geometria - si gioca l'intero destino di questo gruppo che, ricollegandosi al Mac, aspira però ad incontrare altre situazioni, in Italia e in Europa, orientate a pensare l'arte come analisi e tessitura semiotica. Non è proprio un caso, credo, se Riccini, che è anche stato un bravo critico, abbia dedicato insieme a Mariantonietta Picone una lunga riflessione sul Il 'ritorno' della pittura. Su uno di quei confini che hanno segnato la "linea analitica dell'arte moderna". Ma la riflessione di Geometria e Ricerca sull'arte come esperienza del formare e lavoro sulla geometria è stata – pur nella sua esemplarità - una vicenda destinata a consumarsi fra le opposte radicalità dell'arte di comportamento e delle ricerche analitiche. Adesso, negli anni Settanta, la questione ruota intorno alle esigenze opposte (ma radicali) dell'opera che sconfina, disseminandosi, nello spazio del vivere o si concentra sulla convenzionalità del proprio linguaggio. Fra queste radicalità c'è, così, poco spazio per soluzioni temperate: per il formare e il costruire more geometrico. Di questo schiacciamenlo (e mi rendo conto che è una brutta parola) sono testimonianza i luoghi stessi dove sono avvenute le mostre del Gruppo: lo Studio Ganzerli nel '76 e l'anno successivo l'American Studies Ceruer, a Napoli, e, poi, Il Salotto, a Como, la Galleria 2B a Bergamo. Perché questo sia accaduto non può essere imputato soltanto al Mercato che è sempre neocapitalista, al destino che è crudele, alla critica che, accecata dai bagliori newyorkesi, scambia lucciole per lanterne. Con chiarezza bisognerà riconoscere che il gruppo Geometria e Ricerca ha recato allo svolgimento dell'arte - segnatamente dell'arte a Napoli- un contributo onesto e serio. Sottolineando che la pittura è conoscenza: un formare e un costruire attraverso le forme primarie della geometria, un lavoro in bilico fra esercizio sapiente delle mani e tensione analitica. Solo che questo progetto, per quanto rigoroso, resta ancora legato a modelli che non riescono a dare conto pienamente della complessità delle domande che l'arte pone in quegli anni. Anzitutto, della domanda sulla convenzionalità del suo sistema semiotico. Così, la stessa proposta di Menna, distante dalle letture di Crispolti e di Finizio, di interpretare più esattamente Geometria e Ricerca come "una indagine analitica interessata soprattutto a una riflessione sull'arte e sul linguaggio dell'arte" indica, piuttosto, un'esigenza e un rovello che un esito compiuto. Soltanto Renato De Fusco, della radice antica del MAC, si è spinto oltre il formare, verso l'analisi strutturale e la semiotica. Ma questo spostamento lo ha compiuto - lo sappiamo - non come artista (giacché presto ha smesso questo lavoro), ma come critico e storico della pittura e dell'architettura
TESTO DI ANGELO TRIMARCO PRESENTE SUL VOLUME ''NAPOLI UN RACCONTO D'ARTE 1954/2000 '' - EDITORI RIUNITI - 2002
Geometria e Ricerca
1975-1980
E' possibile, credo , riflettere ora su Geometria e Ricerca con animo rasserenato.
Del resto, dei Magnifici Sette Guido Tatafiore, Riccardo Riccini e Giuseppe Testa e ci hanno lasciato da tempo, mentre gli altri artisti continuano a sperimentare, appartati dal rumore del mondo, i loro rapporti con l'arte, pittura o scultura che sia. Fra di loro c'è, lo sappiamo, Renato Barisani, che, mai domo, lavora ancora con il fervore e l'inventiva degli anni passati.
Geometria e Ricerca, al di là di ogni altra considerazione, non si pone come l'estremo filo di voce di una tradizione stanca. Ma, in linea con la più attenta cultura dell'arte a Napoli, è, piuttosto, un'esperienza al passo con quella trama fittissima (e diversamente orientata) che , in Europa e negli States, negli anni settanta, attraversa la via lunga del teorico e della riflessione, dell'analisi degli strumenti della pratica pittorica.
Di questa via, alla metà (e poco oltre) del decennio, Geometria e Ricerca - il lavoro, dunque, di Barisani , De Tora, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore, Testa, Trapani, per metterli in fila insieme- è un passaggio credibile anche se meno risplendente di altri: dell'arte concettuale e di Art & Language, di Supports/Surfaces o della stessa Pittura italiana.
Uno spazio in cui si lavora con lucidità sulla costruzione dell'opera e sul suo funzionamento, sui rapporti che ne fanno una struttura. Anche se questa parola (questa nozione) viene usata con cautela, senza gli abusi che segnano in questi anni i percorsi dell'arte.
Il filo che lega Geometria e Ricerca al MAC – dunque al lavoro di Barisani, De Fusco, Tatafìore e Venditti - , ai primi anni Cinquanta, è, appunto, l'idea che la pratica dell'arte è un fare e il fare è un formare. Un formare, si legge in quell'intensa pagina di poetica, perché arte concreta, che è, si è ricordato, "impegno morale", "coscienza d'essere nella realtà'' , ''agire''.
Dunque, è ancora il formare, l'eredità del MAC, a divenire, dopo le avventure dell'Informale nel teatro perturbante della vita e i movimenti più recenti dell'arte lungo e dentro i bordi del corpo e delle sue estenuazioni, il taglio per tornare a pensare l'arte come ricerca.
A sostenere, del resto, gli ideali del MAC ci sono nuovamente, arricchiti da tante altre prove, Barisani e Tatafìore, che ad un certo punto della sua vita ha preferito dedicarsi alla costruzione di barche piuttosto che al lavoro dell'arte. Tra di loro e i più giovani - De Tora, Riccini, Testa, Trapani- fa da ponte Carmine Di Ruggiero che, nel '73, con la personale al 'Centro Arte Europa', svolge un discorso che conduce a Geometria e Ricerca. Per questa mostra ho scritto che i suoi lavori "costituiscono una sequenza articolata e strettamente in relazione, un continuum spaziale, all'interno del quale ciascuna operazione compie uno scarto minimo (ma tuttavia decisivo)". E ho aggiunto - circostanza ancora condivisibile - che i suoi “ triangoli non rinviano a una memoria teosofica o mistica, a un ordine di verità rarefatte e inafferrabili". Così come il "colore, luminoso, non rimanda alla biografia dell'artista, alle sue mosse interiori, ma vale per la sua presenza, la sua fisicità, la sua struttura".
Questo passo di Di Ruggiero collega il formare tematizzato dal Mac alla costruzione dell'opera per via della geometria: una geometria, comunque, temperata nella sua assolutezza dall'esercizio del fare e dall'esperienza, e come liberata da qualsiasi tensione utopica. La geometria è, così, soltanto il luogo della costruzione dell'opera, la trama degli elementi primari con i quali articolare la superficie, la modalità per regolare il ritmo dei colori, il gioco infinito del punto e della linea.
Intorno a queste figure - il formare e la geometria - si svolge il destino di questo gruppo che, ricollegandosi al Mac, aspira però ad incontrare altre situazioni, in Italia e in Europa, orientate, si è detto, a pensare l'arte come analisi del linguaggio dell'arte. Non è un caso, credo, se Riccini, che è stato anche un critico attento a cogliere gli alittamenti che hanno segnato in questo decennio il corpo dell'arte, abbia dedicato insieme a Mariantonietta Picone un'ampia riflessione sul 'ritorno' della pittura: dunque, proprio su uno dei transiti che abitano la cartografia della "linea analitica dell'arte moderna".
C'è da osservare, però, che il pensiero dell'arte come esperienza del formare e lavoro sulla geometria è stato – pur nella sua esemplarità - una tessitura concettuale e una pratica destinate a consumarsi tra le opposte radicalità della Body art e delle ricerche analitiche. Negli anni settanta - lo ricordiamo - la questione ruota intorno alle esigenze opposte (ma radicali) dell'arte che assume il corpo come spazio di linguaggio o si concentra sulla convenzionalità del proprio sistema semiotico. Tra queste radicalità resta, così, poco spazio per soluzioni temperate: per il formare e il costruire amore geometrico.
Non c'è dubbio che il gruppo Geometria e Ricerca ha recato allo svolgimento dell'arte – in particolare dei percorsi dell'arte a Napoli – un contributo onesto e puntuale.
Sottolineando che la pittura è conoscenza: un formare e un costruire attraverso le forme primarie della geometria, un lavoro sempre in bilico tra l'esercizio sapiente delle mani e la tensione analitica. Solo che questo progetto, per quanto rigoroso, resta ancora legato a modelli che non riescono a dare pienamente conto della complessità delle domande che l'arte pone. Anzitutto, si è detto, della domanda sulla convenzionalità della sua struttura linguistica. Così, lo stesso invito di Menna, distante dalle letture di Crispolti e Finizio, a interpretare Geometria e Ricerca come "una indagine analitica interessata soprattutto a una riflessione sull'arte e sul linguaggio dell'arte" mi pare indichi, piuttosto, un rovello e una tensione che un esito compiuto.
Soltanto Renato De Fusco, della radice antica del MAC, si è spinto oltre il formare, verso l'analisi strutturale e la semiotica. Ma questo spostamento lo ha compiuto – è appena il caso di ricordarlo - non come artista (giacché presto ha smesso il mestiere dell'artista ), ma come critico e storico dell'arte, dell'architettura, del design.
Anita Pepe
ARTICOLO DI ANITA PEPE APPARSO SUL ''EXIBART.COM'' DEL 2 MARZO 2004 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ANTOLOGICA AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI GENN/MARZO 2004
Indagine su uno degli storici astrattisti napoletani, in bilico tra purismo geometrico, metamorfosi cromatiche e suggestioni esoteriche. Un percorso antologico che parte dagli anni Sessanta e si sviluppa attraverso gruppi artistici e sodalizi intellettuali. Una documentazione su quarant'anni di ricerca ...
Ha un sapore vagamente baudelairiano il titolo dell'antologica di Gianni De Tora (Italia, 1941), premiata da un successo che ne ha prorogato di un mese la data di chiusura. Allestita nella Sala della Loggia a Castel Nuovo, The world of signs documenta un itinerario creativo lungo quasi quarant'anni in cui, ad onta delle accuse di solipsismo talvolta mossegli, l'artista ha spesso accettato e promosso il confronto dialettico attraverso esperienze collettive, aderendo fin dagli anni Settanta a gruppi come "Geometria e ricerca", "Gener-Azioni" e "Mutandis". Sodalizi che hanno guidato e corroborato in maniera determinante - ma non invadente - un già maturo percorso di sperimentazione individuale, coerentemente condotto nell'ambito di un astrattismo progressivamente arricchito da stratificazioni artistiche e filosofiche.
Un astrattismo che negli anni Settanta assume connotati freddi e cartesiani: opere che si mimetizzano col bianco delle pareti e superfici fittamente quadrettate, in cui l'occhio dell'esecutore agisce da prisma, filtrando solo i colori primari.
Negli Ottanta, De Tora abbandona la gabbia ortogonale, dismette il fondamentalismo geometrico per muoversi più liberamente nello spazio e dà l'abbrivo a quella metamorfosi cromatica che si compirà appieno nel decennio successivo, con una deciso incupirsi della tavolozza. "Sequenza 90" e "Trittico 99" sono polittici postmoderni, con sagome nere in cui il colore apre porte, spiragli, finestre, analogamente alle "Ouvertures", che lasciano intravedere pittogrammi di alfabeti remoti, reliquie di civiltà scomparse che, trasformandosi altrove in tracce di antichi tessuti urbani, rimandano alle radici del Mediterraneo, all'archeologia e al mito.
Lo sviluppo e il consolidamento dello spessore speculativo conseguono un intensificarsi di simbologie, con esiti sofisticati ed ermetici. Il primo stadio di questo processo si affida alla parola scritta: ne "La pittura è scienza" De Tora trascrive Leonardo da Vinci, investigatore dei segreti della natura e teorico di una pittura sublimata come atto eminentemente mentale, di contro al mestiere banausico dello scultore. Altri riferimenti -più o meno appariscenti- sono disseminati tra tele, installazioni, mosaici e pittosculture: l'''ovo-labirinthus'', che compendia due tra i più ricorrenti simboli misteriosofici; quadrati, croci e triangoli, patrimonio di ogni repertorio iniziatico fin dalla notte dei tempi; lo specchio, magico strumento di illusione e riflessione; soprattutto, la "Piramide 2004", solido esoterico per eccellenza che De Tora carica di valenze emblematiche sotto il profilo personale, condensandovi in forma e colore le componenti fondamentali di una ricerca tuttora in corso.
ARTICOLO DI ANITA PEPE APPARSO SUL QUOTIDIANO "ROMA" DI NAPOLI DEL 25.1.2004 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ANTOLOGICA AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI GENN/MARZO 2004
La mostra a Castelnuovo- Reliquie di civiltà scomparse nei “segni” di Gianni De Tora
Un happening musicale e poetico ha arricchito l'affollatissima inaugurazione della mostra di Gianni De Tora. Visitabile tutti i giorni (domenica esclusa) fino al 21 febbraio nella Sala della Loggia in Castelnuovo, l'antologica, curata da Vitaliano Corbì, documenta oltre un trentennio di attività dell'artista, fondatore nel 1976 del gruppo "Geometria e Ricerca" insieme a Barisanì, Riccini, Tatafiore, Di Ruggiero, Testa e Trapani e costantemente impegnato in numerosi sodalizi di rìcerca e sperimentazione. Nonostante l'impaginazione compressa, l'esposizione consente di leggere una linea di continuità nel lìnguaggio di De Tora: tele, installazioni, mosaici e pittosculture testimoniano un'evoluzione stilistica coerente con un astrattismo vissuto ed elaborato non solo artisticamente, ma rafforzato da supporti filosofici e matematici. Risalta, nel percorso cronologico, un incupirsi della tavolozza: tendono quasi a mimetizzarsi col bianco delle pareti le opere degli anni Settanta, fredde, cartesiane, in cui l'occhio dell'esecutore agisce quasi da prisma ottico, filtrando appena i colori primari; sono gli Ottanta a far da sponda tra il retaggio precedente e la metamorfosi cromatica che si compie appieno nel decennio successivo, con una decisa sterzata verso il nero, ravvivato da stesure blu elettrico e da acrilici fluorescenti, in lavori che smettono il rigore ortogonale per impossessarsi dello spazio con soluzioni più libere. Nelle sue razionali composizioni, De Tora assembla la più moderna astrazione di Rothko e Ad Reinhardt con i diktat dei pionieri del movimento: il quadrato suprematista di Malevic e l'individuazione, teorizzata da Kandinsky, di molteplici equilibri combinatori nella triade punto-linea-superficie. Accanto alle figure geometriche, nel ricchissimo "Mondo dei segni" (perché anglicizzarlo, nel titolo?) dell'artista confluiscono anche elementi che paiono pìttogrammì di alfabeti remoti, reliquie di civiltà scomparse che, trasformandosi in tracce di antichi tessuti urbani, rimandano alle radici del Mediterraneo, all'archeologia e al mito. Talvolta le lettere si coagulano nella parola scritta, che appare in forma di citazioni: riportate, in particolare, le osservazioni di Leonardo da Vinci, teorico di una pittura sublimata come atto eminentemente mentale e investigatore dei segreti della natura.Ed è proprio la discreta presenza del genio rìnascìmentale che espone la personale del Maschio Angioino ad un'interpretazione ermetica, suffragata da spunti più o meno appariscenti: il carattere inìziatico proprio delle speculazioni dei suddetti Kandinsky e Malevic; le uova-labirinto, che compendiano due tra i più ricorrenti simboli misteriosofìci; lo specchio, magico strumento dell'illusione e della riflessione; soprattutto, la "Piramide 2004", solido esoterico per eccellenza che Gianni De Tora carica di valenze emblematiche anche sotto il profilo creativo personale, condensandovi le componenti fondamentali di un quarantennio di passione e rigore al servizio dell'arte.
ARTICOLO DI ANITA PEPE SUL QUOTIDIANO “ROMA” DEL 22.1.2008 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA MA- MOVIMENTO APERTO 2008
LA MOSTRA -PROSEGUE AL MA FINO AL 16 FEBBRAIO “AMERICA” LA PERSONALE DELL'ARTISTA RECENTEMENTE SCOMPARSO LA PACE, SOGNO INFINITO DI DE TORA
C'era una volta in "America" Gianni De Tora [….]. E, all'associazione culturale Movimento Aperto - in via Duomo 290/c, fino al 16 febbraio -, c'è il racconto per immagini di quel viaggio, compiuto nel giugno del 2006, esattamente un anno prima della scomparsa. Un'esposizione programmata da tempo e portata a termine con amorosa dedizione dalle eredi del maestro, che venerdì alle 16,30, nella Sala della Loggia al Maschio Angioino (dove nel 2004 tenne la personale "The world of signs"), sarà ricordato, nel corso di un incontro coordinato da Donatella Gallone, dall'assessore alla Cultura del Comune di Napoli Nicola Oddati, da Mariantonietta Picone Petrusa, docente universitaria di Storia dell'arte contemporanea, e dai critici Vitaliano Corbi e Dario Giugliano. È quest'ultimo a rilevare, nel testo critico che accompagna la mostra, il parallelismo tra il capolavoro incompiuto di Kafka e l'itinerario non finito di una delle figure di spicco del Dopoguerra non solo partenopeo. Il quale, quasi nei panni d'un turista qualunque, accompagna i visitatori nel video amatoriale realizzato dalla moglie Stefania tra i grattacieli e per le strade della Grande Mela, la città che non dorme mai e dove tutto è spropositato, tracimante: una proiezione che fuoriesce - dice la figlia Tiziana - come "un megafono di luce" dalle Torri Gemelle scomposte in riquadri, emblema di Stati Uniti andati in pezzi dopo l'attacco al cuore dell'Occidente. Sono proprio le Twin Towers il filo conduttore del progetto. Sono loro le due lunghe strisce in bianco, nero e grigio pendenti dal soffitto che s'impongono al centro della galleria. Sono loro ad ispirare la forma, stretta e lunga, delle altre sei tele, che mostrano come De Tora, più che trovare l'America, ne fosse tornato rinforzato soprattutto nel bagaglio personale degli ultimi anni, fatto di colori decisi e fosforescenti, stencil e segni arcaici, inseriti in collage e patterns geometrizzanti cui si era dedicato fin dai tempi del Mac. Irrobustito anche nei suoi ideali, che gli facevano vedere, accanto ad icone come King Kong, il generale Custer controluce nel tramonto e Cristoforo Colombo annegato nell'azzurro, anche la nazione aggressiva e guerrafondaia, denunciata rigando di rosso sangue la facciata della Casa Bianca o ricordando la tragedia del Vietnam.
Ma forse, più che il viaggio vero e proprio, ad impattare con maggior forza sul suo immaginario fu 1'11 settembre mediatico: lo chiarisce una della otto poesie intercalate alle pitture, ritrovate nel suo immenso archivio ora in fase di catalogazione, e con tutta probabilità destinate alla pubblicazione. Davanti al teleschermo, mentre il World Trade Center si sbriciolava in una nuvola di polvere, De Tora percepì attonito l'arrestarsi del mondo. Lui, invece, non si fermò, anzi perseverò nel suo "I have a dream" giovanile. Ogni rigo, ogni verso, ogni insistente anafora, testimoniano quale fosse il suo unico desiderio: la pace. Un sogno coltivato fino alla fine. Visse d'arte, visse d'amore.
Antonio Del Guercio
TESTO DI ANTONIO DEL GUERCIO PER IL CATALOGO DELLA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA S.CARLO DI NAPOLI -1970
La direzione essenziale della ricerca di Gianni De Tora appare bene evidente, in questa mostra che segna, per il giovane pittore napoletano, l'ingresso deciso in una fase di maturità. Tale direzione risulta qui anche dal confronto che si può fare tra le opere che si collocano all' inizio di questa fase nuova e quelle - recentissime - che ne indicano i primi esiti.
Voglio dire che il senso di marcia è dato da un progressivo riassorbimento di residui di un linguaggio che sommariamente si potrebbe indicare come bozzettistico ancora a beneficio di una più coerente assunzione di modi formali pertinenti all'iconosfera urbana, all'imagerie di massa. Modi che, in De Tora come in altri giovani italiani ed europei, del resto, hanno la loro origine in un determinato recepimento della irruzione pop degli anni Sessanta. Bisogna avvertire subito, però, che questo recepimento non appare contrassegnato da passività, o da esteriore smania di aggiornamento. Che qualche scotto in tale direzione, De Tora lo abbia pagato, o magari debba ancora pagarlo, può anche essere rilevato; ma non direi che la cosa varchi il limite di tolleranza, per così dire; d'altra parte, non si vede come possano davvero effettuarsi gratuitamente, da un pittore, passi di così radicale mutamento espressivo e formale senza scontare, ai margini della ricerca, qualche prezzo.
Il punto centrale però, da ben valutare, è la pertinenza della operazione ai dati più sostanziali dell'artista, alle sue proprie ragioni di cultura e insieme di sentimento. Ragioni che in De Tora si palesano come tensione verso una sorta di critica contestativa a quella stessa imagerie di massa che egli assume non a caso nel punto di frizione tra un ottimismo futuribile e la persistenza dei conflitti concreti, qui in terra, sui quali si gioca il destino reale del pianeta che abitiamo. E, in questo contesto, è ben significativo che, tra le diverse e contrastanti indicazioni che gli provengono dall' eredità pop, è, direi, verso la particolare angolazione di un Rosenquist ch'egli pare propendere. E, questo, in due sensi: da una parte, la flessione critica che Rosenquist dà alla sua divorante annessione dei paesaggi dell' artificialità e del consumo; dall'altra, il rapporto che Rosenquist stabilisce con un'area europea - da Léger al surrealismo - per inverare attraverso identificabili strumenti di linguaggio oggettivo e al tempo stesso corrosivo la propria posizione critica.
E' sopratutto, credo, per tali tramiti che De Tora ha portato a un determinato punto di chiarezza i propri risultati più recenti: e mi riferisco sia ai quadri ultimi, specie laddove una lirica semplicità dell'immagine condensa in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena il proprio valore conflittuale, sia a certi disegni nei quali lo stesso valore conflittuale si dichiara nella probità apparentemente dimessa del bianco-nero. In questi più autonomi conseguimenti, mi pare oltretutto che De Tora bene avvii anche a risolvere - rescindendoli alla fine - i propri rapporti con le esperienze che più lo hanno interessato in questo periodo.
Voglio dire che si profila all' orizzonte già con chiarezza una possibilità di svolgimento al di là degli stimoli culturali verso una risoluzione organica delle ragioni che sono sue; e che, voglio ripeterlo, egli, ha inseguito e cercato anche per la via di un attento confronto culturale. Confronto che proprio per la difficile combinazione che esso presuppone - di severa modestia nei confronti degli apporti illuminati e di ferma difesa di ciò che è inalienabilmente personale - spicca sui furbeschi saccheggi che un'informazione facile consente a chi pensa al proprio destino di pittore nei tempi brevi del successo mondano.
Antonio Filippetti
ARTICOLO DI ANTONIO FILIPPETTI APPARSO SUL PORTALE ON-LINE ''ARTE E CARTE'' DEL 22 GENNAIO 2009 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA ''TRACCE SEGNICHE'' PRESSO IL CASTEL DELL'OVO DI NAPOLI GENN FEBBR 2009
Tracce segniche
Promossa dal Comune di Napoli, Assessorato alla Cultura, il 20 gennaio p.v. alle ore 18 si inaugura, nelle Sale del Castel dell'Ovo, la mostra dal titolo "Tracce Segniche" che vede impegnate quattro personalità di artisti napoletani, che hanno svolto - lungo tutto l'arco della seconda metà del Novecento - una ricerca che si impernia intorno alle dinamiche informali per poi ampliare l'orizzonte della propria proposta anche verso altri territori, sostanzialmente aniconici, come
quello geometrico o come quello onirico-astratto. Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti sono i protagonisti di questa occasione espositiva che si propone, quindi, come un momento di riflessione su un intero periodo dell'arte napoletana. E' possibile individuare in queste quattro figure d'artisti i punti di riferimento di una stagione dell'arte sulla quale è ormai tempo di cominciare a definire un bilancio storico. Concepita, quindi con tale disegno programmatico, la mostra "Tracce Segniche" allarga il suo orizzonte e non a caso il suo curatore, Rosario Pinto, nel saggio storico-critico reso in catalogo, affronta i temi scottanti e controversi del rapporto tra astrazione e astrattezza, tra impulsi gestuali e controllo progettuale, tra vigore contenutistico e fughe liriche. Il titolo stesso esprime, d'altronde, proprio la marcata consistenza e la forza d'impatto della creatività di questi artisti che, con straordinaria coerenza, hanno saputo coniugare l'esigenza dell'espressività generosa e spontanea col rigore della coscienza creativa attraversando, senza contaminarsene, anche i momenti più delicati che, soprattutto negli ultimi due decenni, si sono caratterizzati per l'abbassamento della cosiddetta soglia contenutistica. Quella che s'annuncia, insomma, nelle sale di Castel dell'Ovo è una mostra intorno alla quale si potrà sviluppare un dibattito storiografico serio e costruttivo capace di volgersi ad osservare il nostro passato più vicino. Concepita in termini di ponderata meditazione scientifica la mostra è accompagnata da un catalogo in cui, oltre il saggio introduttivo di Rosario Pinto - che fornisce la perimetrazione critico-storiografica del contesto ambientale e culturale entro cui hanno operato Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti, sapendo guardare, oltre l'orizzonte domestico, alla scena internazionale - compaiono i necessari apparati documentari curati da Franco Lista e le numerose immagini che forniscono, per tabulas, l'indicazione di un percorso storico di non trascurabile rilievo.
Arcangelo Izzo
ARTICOLO DI ARCANGELO IZZO APPARSO SUL QUOTIDIANO '' NAPOLI NOTTE'' DEL 6 GENNAIO 1985 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA DI PRESENTAZIONE DEL CALENDARIO D'ARTISTA ALLA GALLERIA ''A COME ARTE'' DI NAPOLI DAL 22 DICEMBRE 1984 AL 14 GENNAIO 1985
Calendario d'artista alla Galleria A Come Arte
Dalla mostra ''La ruota del tempo dal 1985 in poi .... " è nata l'idea di un calendario d'artista. 12 artisti napoletani hanno presentato un quadro, ciascuno per un mese dell'anno, in una mostra che vuole essere contemporaneamente un impegno, un augurio, ed anche la metafora dell'arte che rinasce sempre. Lo ha detto uno di loro, parafrasando uno degli oratori di Charles Peguy: l'arte e la speranza sono come l'acqua che si purifica passando attraverso la terra; sono una pianta che risorge sempre, dopo la catastrofe, la crudeltà e la disperazione. Dal 1985 in poi, perchè sembra che questo sia l'anno di grazia, in quanto per la prima volta gli Enti pubblici "sponsorizzano" parzialmente un'iniziativa di artisti napoletani. Ha dato il primo imput il Comune di Napoli e, poi .... si vedrà - dicono gli interessati. Per questo primo Calendario si sono autocoinvolti: Renato Barisani che alla prassi delle sue "forme", ideate per il mese di Luglio, assegna l'estensione di un pensiero per il quale ''la realtà dell'uomo non è la realtà delle cose"; Andrea Bizanzio, che per l'efflorescenza del mese di Maggio scrive "Il segno è una traccia della memoria nel colore''; per Anna Maria Bova, Settembre, col sole impallidente sulle cabine del mare, rievocato con la tenerezza dell'infanzia, richiama "La bellezza del giorno sullo specchio della notte, la luce del sole sul brillare della sabbia"; Ciro De Falco impollina con la sua fantastica pittura il mese di Marzo e sente che "La brezza, l'ebbrezza che spira, respira, ti danno certezza di nuove carezze"; per Gianni De Tora, le forme, i colori, gli spazi, il tempo e gli ori del mese d'Aprile s'allargano nel pensiero per il quale "Il ricordo di un'esistenza si definisce nel corso dell'operare"; Gerardo Di Fiore vede nel mese di Novembre la metafora del suo operare, del suo dialettico modo di manipolare i materiali, classici-anticlassici, e afferma "Io distruggo, mi distruggo, mi rinnovo"; Carmine Di Ruggiero segnala nella scrittura " .... e Febbraio: .. " l'attesa e la scoperta delle vibrazioni, dell'energia e della densità degli eventi naturali, che sono propri della sua pittura; Salvatore Emblema, per il dionisiaco mese di Ottobre, conformemente, al fermento, all'esplosione, al vulcanico erotismo della sua pittura, dice "lo non imito la natura, creo entro le sue leggi"; Pasquale Forgione, nella trama fantasiosa dei suoi colori, intereccia, per il mese di Giugno, il sogno e l'ansia, per cui "La pittura vive e si rinnova nel tempo"; per Giuseppe Leone, che proietta il colore in spazi sconfinati, ove l'afa di Agosto acquista la freschezza della fantasia, "L'immaginario è la cellula delle illusioni"; nel ruvido materiale della cartapesta Rosa Panaro scolpisce la delicatezza di una scena presepiale, non più tradizionale, illustrativa o simbolica, ma reale perchè l'artista è tesa, sempre", "Alla ricerca di un'unità perduta, per ritrovare un amore che c'è sempre stato " ed è perciò esaltato il mese di Dicembre; Per il mese di Gennaio Domenico Spinosa, con la "sapienza" pittorica che gli deriva dal- l'esperienza e da una profonda pratica dell'arte, ci ricorda che "La realtà non ci viene data, ci viene proposta", segnalando con Kant quanto grande sia la responsabilità dell'artista. Con queste opere è nato anche un racconto mitico-allegorico, che immagina in termini d'arte, la possibile nascita di un fantastico calendario
TESTO DI ARCANGELO IZZO PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA PERSONALE ALLE LOGGE VASARI DI AREZZO 1985
GIANNI DE TORA ォ homoサ pictoricus
Gianni De Tora, come tutti gli artisti meridionali, ha l'occhio educato a forme sicure e abituato ai rapporti. Ma egli sa che questa formula goethiana, per quanto affascinante ed esaltante, induce il rischio di fratture e di opposizioni dialettiche inconciliabili e pericolose per la cultura. Egli, invece, sente o mostra di sentire che la forma, quasi membrana della vita, nasce dalla vita stessa senza comprometterne la fluidità e, contemporaneamente, senza restarle estranea. L'unità organica della «vita» non esclude per nessuno la molteplicità delle sensazioni, delle percezioni e delle esperienze. Ma nessuna creatura vive completamente: e, come in ciascuno c'è sempre qualcosa di oscuro, di enigmatico, di non ancora vissuto appieno e compenetrato dal movimento reale della vita, così nell'artista - dice De Tora - c'è la coscienza dell' “inerzia” della sostanza, del semplice essere dei materiali. Un'« inerzia» che non è mai totalmente vinta e superata, perché mai toccata, radicalmente, dall'individualizzazione. Pertanto la sua «conscientia», vibrante e frastagliata di artista, cogliendo la transmutabilità delle esperienze, risponde alle domande imperiose della «forma» con l'indecisione che oscilla fino alla contemporaneità del sì e del no, proprio perché tesa a cogliere tutte le vibrazioni della natura e del corpo, per il quale la totalità della vita è presente in ogni singolo attimo. In questo processo di maturazione, anche la pittura di De Tora, da tecnica indiziaria per il particolare più insignificante, diventa traccia di qualcosa di più ampio e vasto, cui il pensiero si rivolge con uno schema generale, liberamente scelto, sentito e mai tradito, ma non più rigorosamente geometrico. Questi passaggi sono stati già segnalati e seguiti dalla critica più attenta, che sin dal 1970 individuava il primo affiorare di una «lirica semplicità dell'immagine» tesa a condensare «in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena, il proprio valore conflittuale» (Antonio Del Guercio); cui seguiva il riconoscimento di un riscatto da «certi indugi che sembravano legarlo a irresolutezze formative». Riscatto che avveniva per la nuova qualità della pittura e per la differente capacità di dipingere le mutazioni del sole e della luce, che consentiva a De Tora di prendere «coscienza anche di realtà sensibili e naturali, proprio attraverso l'orditura nitidamente geometrica» (Sandra Orienti 1975). Sulla scia di tali «avvertenze», e soprattutto sulle sollecitazioni degli ulteriori lavori di De Tora, si sviluppava e si manifestava una serie di riflessioni critiche, tra le quali si segnalano le intuizioni di Luigi Paolo Finizio (L'Immaginario Geometrico, Edizioni I.G.E.I. Napoli 1979), che tra l'altro scopre in De Tora «il riferimento all'ambiente naturale quasi si perpetui nel suo linguaggio il suggerimento da cui egli muove e che in realtà trova in quel linguaggio soltanto uno
strumento di conoscenza» e un'amplificazione nitida «del bisogno di risonanza interiore»; e le considerazioni di Bruno D'Amore, tese ad evidenziare in De Tora «l'artista di parole, di spiegazioni, di colloquio» e nel suo linguaggio, freddo e scarno «mille allusioni, concezioni, idee, fatti personali, storia vissuta, speranze ed anche poesia». Più vicino alla recente produzione di De Tora, Pierre Restany, in un' “Ode” all'artista napoletano, avverte che il «recupero della geometria non sarà mai totale », che «la dimensione onirica anima sotto fondo le strutture palesemente elementari» che «gli spettri gestuali incrinano la gravida maestà dei triangoli inversati» e che «si tratta, sì, di pittura, ma come pura coscienza: essere l'agire senza fine per vivere il visivo senza fondo». «Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli Gianni De Tora insegue una forma 'definitiva' che il tempo, gli eventi hanno relegato nell'ombra e nell'oblio» - dice a sua volta Carmine Benincasa - per il quale l'artista costruisce un ordine fra le cose, una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale, e l'opera diventa anche alfabeto dell'esperienza. Oggi, poi, nei recentissimi lavori, eseguiti per lo più con materiali minimali ma preziosamente ricercati (carta di Amalfi, carta di riso, carte orientali) confluiscono tutte le esperienze precedenti, ricondotte, però, all'unitarietà della vita, dell'”essere” misterioso quanto il «divenire», ma pur sempre unità di misurazione attenta, ansiosa e partecipe della molteplicità dei fenomeni e degli eventi. Ogni opera recente continua ad essere (nel micro e nel macroformato) un laboratorio segnico, ma non più attrezzato al solo quotidiano, all'ascolto dell'”io” o agli attraversamenti della storia dell'arte, bensì disposto a diventare anche osservatorio dell'«homo», «pubes/tralis », «fallico» erotico e pertanto dei suoi segnali cadmici (prealfabetici e alfabetici), mitici, storici, economici e politici, scientifici e creativi (segnali runici, labirintici, regali, mercantili, popolari, astronomici), precolombiani, alpestri, pompeiani, egizi e comunque arcaici. Da questo osservatorio Gianni De Tora, ora serio e pensoso, ora ironico e divertito, ora trasognato e poetico, ora scienziato e artigiano, continua a ricercare «i colori dell'arcobaleno quando erano puliti ». ma guarda con maggiore attenzione ai «colori della storia ». Tuttavia i colori primari (rosso, blu, giallo), rapportati alle forme primarie (cerchio, triangolo, quadrato, losanga, rettangolo) si dispongono su supporti «frammentati» o «invertebrati» (privi di telaio e di cornice, che è parte pittorica dello spazio stesso dell'opera) i quali, come superfici speculari, riflettono il recupero dell'immagine in tempo reale. La techne, diventa più erratica esploratrice, si manifesta sicura mediatrice dell'industre virtù artigianale e della cultura dell'artista, sollecitandolo ad aggredire la pittura affinché essa viva nello spazio privato (la superficie), nello spazio pubblico (galleria, museo, casa, edificio) e comunitario. In tal modo le «pièces», parti componibili in ambiente, continuano a vivere l'insieme e l'individualità, anche come parti di un discorso narrato, senza un inizio e senza una fine: vivono, in fondo, l'odissea dello spazio.
ARTICOLO DI ARCANGELO IZZO APPARSO SUL QUOTIDIANO “NAPOLI PIU' “ DEL MARZO 1986 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA CENTROSEI DI BARI
Bari -
Al «centrosei» di Bari espone i suoi ultimi lavori il napoletano Gianni De Tora sempre alla ricerca di nuove istanze linguistiche che, pur tendendo al clima geometrico, matematico e razionale, orientano le forme e le immagini verso una sensibilità poetica e una griglia di luce tali da restituirle con una nuova identità. «La porta del tempo», «Nella notte dei tempi», «Il sole» sono titoli di opere ricche di tensioni, dice Santa Fizzarotti, che rivelano tutti i passaggi del lavoro di De Tora, nel quale affiora sempre la centralità dell'esperienza sensoriale e corporea.
DALL'ARTICOLO DI ARCANGELO IZZO APPARSO SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI OGGI'' DEL FEBBRAIO 1986 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA ''IN ITINERE'' PRESSO LA GALLERIA A COME ARTE DI NAPOLI DAL 14 DICEMBRE 1985 AL 6 GENNAIO 1986
Nelle gallerie napoletane si tengono varie mostre.....
Una meravigliosa esplosione di forme pittoriche- il proliferare di occasioni di conoscenza è la testimonianza di una incredibile vitalità e sensibilità
[….]Alla Galleria A come Arte (Vico Ischitella, 8) si ritrovano In itinere Renato Barisani, Andrea Bizanzio, Gianni De Tora e Pasquale Forgione segnalando, ciascuno nel proprio inconfondibile percorso, un momento inedito della propria esperienza artistica. Nell'opera di Renato Barisani le linee e le figure geometriche, più morbide e rare, si lasciano attrarre e assorbire dalla suggestione affascinante del colore che, disteso con gesto ampio e largo del braccio e della mano, «parla» di una nuova luce, filtrata dall'esperienza sulla carta sensibile e ignota alla pittura materica di una volta. Barisani infatti ha la qualità del maestro che rende sempre al presente la ricerca del passato. Andrea Bizanzio nel suo lavoro libera la superficie del quadro della griglia di trasparenze e del velo surreale per affidare le nuove forme a un fondo più organico e ad una pittura di clima licinano. Gianni De Tora scopre e differenze di vibrazione delle figure geometriche e dei segni arcaici di antiche civiltà all'interno di un colore disteso con kleiniana sensibilità. Linee di forza e linee dinamiche, vettori sensuali ed emotivi di pittura, conferiscono nuova linfa e nuovi imput al colore sempre sapido e alle forme meno rigide di Pasquale Forgione[.....]
TRATTO DAL SAGGIO DI ARCANGELO IZZO PRESENTE SUL CATALOGO/RIVISTA PER LA MOSTRA COLLETTIVA '' SULL'ORIZZONTE DEL MEDITERRANEO- MOMENTI D'ARTE VISIVA A NAPOLI'' SVOLTASI PRESSO L'ISTITUTO FRANCESE GRENOBLE A NAPOLI DAL 17 AL 31 GENNAIO 1992
I pre/liminari dell'arte
In un racconto dedicato a Emanuel Swedenborg, Jorge Luis Borges dice che gli uomini dell'oriente e quelli del mezzogiorno, essendo baciati dal Sole, sono particolarmente felici e creativi perché raggiungono la forma della salvezza "tramite l'intelligenza, l'etica e l'esercizio dell'arte" .
Sull'onda lunga di questa visione poetica s'innesta la considerazione teorica di Wolfflin per il quale "l'occhio si educa a seconda degli oggetti che contempla fin dalla giovinezza" per cui l'artista del meridione "deve vedere tutto più chiaro e sereno". Questa condizione è invece negata ai popoli del Nord, che non possono "irradiare una siffatta letizia dello sguardo" perché vivono "su un suolo incolore, che offusca i riflessi". Goethe, a sua volta, aggiunge che la sua gioia più grande sta nel fatto che qui, nel meridione d'Europa, il suo "occhio si educa dinanzi a forme sicure, e facilmente si abitua alla figura e ai rapporti". Dunque all'artista "meridionale" viene riconosciuta lo vocazione naturale alla "forma" e alle arti figurative, che oggi vengono definite arti visive. Vocazione che non si manifesta solo come disposizione a scegliere un dato genere di attività, ma si "traduce in metodo, in progettualità emotivamente comunicante; in grado perciò di sollecitare una partecipazione attiva e concreta, e stimolare (contemporaneamente) la ricerca di un qualcosa di tipico e di ideale", pronto a rinnovarsi in relazione ai rapporti che si instaurano consapevolmente o intuitivamente all'interno del processo fruitivo. Questo modo di essere della nostra cultura è un dato comune a tutti gli artisti napoletani che si trovano sempre in situazione pre/liminare o "presunta", cioè che assume e offre in anticipo "quel premio di seduzione e di piacere" incentivante il vero "godimento dell'opera che proviene dalla liberazione di tensione della nostra psiche". Questo "amore per lo forma assoluta, che distingue la nostra tradizione" ha spinto "i viaggiatori di ogni secolo a scendere le Alpi col cuore palpitante" e spinge ancora oggi folle di intenditori e visitatori che riempiono ogni giorno i nostri musei "ad amare" la nettezza, la lucidità, la sobrietà, la tensione delle linee, la tragicità nuda, la grazia senza compiacenza, la naturalezza sovrana dei gesti - tutto ciò che distingua un quadro o un libro italiano". Ebbene questo amore, per gli artisti napoletani, è una donazione, non un dono, non è un sistema filosofico che rifiuti il rischio e rinneghi la psicologia - come dice Pietro Citati a proposito di Benedetto Croce. Infatti, mentre il dono dipende dalla natura, da un interesse o da un impegno nobile e generoso, la donazione è la tensione che accompagna il pensiero e l'azione a dare ciò che si possiede, a sentire in sé il limite della "forma", del dono, e genera uno spazio sempre aperto a nuove dimensioni, mentre non esclude percorsi di angoscia all'interno del proprio operare. Il desiderio di questi artisti è lo specchio, il doppio della loro anima, non della loro persona; non sono dei personaggi, magari sono egoisti, perchè "l'anima è tollerante e nel suo egoismo pensa soltanto a se stessa: il personaggio intollerantissimo perchè vuole il posto degli altri". Magari sono ironici, perchè l'anima è ironica e lo specchio in cui si riflette non è altro che ironia; il personaggio non sopporta che nemmeno uno sguardo ironico sfiori la soave rotondità delle sue superfici". Nella dolce-amara scienza dell' anima, incontrano l'ombra, l'inconscio, il peccato, l'infinito, gli dei".
Perciò non hanno nessun debito pubblico, caso mai vantano un immenso credito politico. Infatti, mentre il "desiderio", non della novità ma del nuovo si presenta all'artista come pensiero della soglia, della frontiera e dell' impossibile all'interno del già dato, il potere spesso ignora il suo lavoro che si offre come interrogazione delle forme preliminari, degli spazi in cui l'immagine solitaria e muta, si trasforma ed entra in un' orizzonte diverso da quello politico; talvolta la censura, assumendo il ruolo del "giudice (chi ti ha dato il diritto di operare), del tecnico (perchè parli di ciò che non sai), del riparatore (alla fine ti faremo funzionare a nostro modo)", dell'imbonitore veritiero che, con voce suadente, può dire: "dormite tranquilla, brava gente, non è successo nulla, continuate pure a dormire e a liberare i vostri desideri nei sogni: questo (il lavoro degli artisti e il progetto sensibile della cultura) non fa male a nessuno; vi hanno raccontato, ancora una volta, delle storie". Ma gli artisti napoletani non raccontano "storie" bensì la storia di una città che, attraversata dai problemi laceranti di ogni megalopoli, in essa radicalizzati, non riesce neppure ad attivare i luoghi patrimoniali e pubblici del confronto culturale e della comunicazione visiva, perchè privata di vero progetto e di un minimo coordinamento tra Enti istituzionali (Comune, Provincia, Regione), Istituti pubblici e privati, tra Sopraintendenze, Biblioteche, Università, Musei, Associazionismo culturale e Fondazioni, tra ricerca, singoli artisti, tra operatori economici e culturali. Anche per il problema dell"'informazione", Napoli si inserisce ad uno degli ultimi posti nell'ambito pubblico della "Questione Italiana", salvata unicamente dall'iniziativa di alcuni privati "eccellenti". Questi ultimi, che hanno presentato e presentano le ricerche e il lavoro di giovani napoletani, inserendoli negli scenari artistici nazionali e internazionali, non possono surrogare del tutto il progetto politico che dovrebbe opporsi al potere imperiale degli Stati Uniti "che esportano la loro cultura "locale" con lo stessa facilità con la quale impongono la loro moneta. Il provincialismo culturale di New York mantiene il linguaggio e il potere dell' universalità per cui "tutto quello che arriva da New York è sacro sul mercato dell'arte" e le gallerie newyorkesi hanno il grande vantaggio di "sperimentare il loro prodotto nelle succursali europee", che devono inventarsi nuove strategie nella nuova situazione politico-economica, determinatasi nel vecchio continente. Napoli, città difficile per le laceranti contraddizioni del reale, si trova a vivere in condizioni precarie anche sul piano dell'immaginario e del simbolico in quanto città capitale del Mediterraneo riduce anche i grandi eventi in episodi isolati e frammentari. Ciò rende sempre più inadeguata lo risposta politica alla funzione interrogativa e critica che esercitano nel tessuto sociale: essi, soprattutto gli artisti napoletani, nel contesto descritto, sono costretti innaturalmente a mettersi in difesa del proprio lavoro attraverso l'esoterismo iniziatico dell'avanguardia senza poter affermare e divulgare la pratica comunicativa e dialogica, propria di ogni lavoro. Così che i contenuti dell'immagine, dell'idea, della situazione storica e affettiva, antecedenti dell'elaborazione formale, precipitano in quella forma che permette all'opera stessa di avere una sua realtà e mantenere intatto il suo linguaggio espressivo, indipendentemente dal tempo storico in cui è stata realizzata, indipendentemente dal fatto che l'insieme non viene riconosciuto nè dal potere arrogante dei politici, nè dall'abilità tecnica e poliziesca di ogni Sherlock Holmes.
INDIVIDUALITÀ: SULL'ORIZZONTE DEL MEDITERRANEO
Affacciarsi sull' orizzonte del Mediterraneo significa istituire un grande rapporto analogico con l'immenso scintillio di quel mare, con i suoi colori, con i suoi suoni e con suoi profumi. Vivere invece sull'orizzonte del Mediterraneo e scoprirne, ogni giorno, gli effetti significa "sperimentare lo spazio mediterraneo", quello che Valery definisce in "rarefazione" non a proposito del cielo e del mare, ma a proposito delle vecchie case meridionali, con le loro grandi stanze, adattissime a una meditazione, con il loro grande vuoto, chiuso, dove il tempo non conta e che lo spirito vuole popolare di oggetti voluminosi e sperduti; unico luogo in cui accade che l'avvenire sia causa del passato. "Il Mediterraneo è un immenso complesso di ricordi e di sensazioni: le lingue, il greco e il latino, una cultura, storica, mitologica e poetica, tutta la vita delle forme, dei colori e delle luci, che ha origine alla frontiera degli spazi terrestri e della distesa del mare", che bagna le case delle isole, alcuni tratti di rocce, archi a volte, immersi nel vuoto del cielo. E' il luogo ove l'archetipo collettivo della ''bellezza", una volta assoggettata al regime apollineo, euforico e misurabile, rimanda alla forma della mutabilità e del cambiamento, ovvero ad una" bellezza dionisiaca", al fremito dell' emotività, all'equilibrio instabile della sensibilità, alla seduzione, come direbbe Baudrillard. Nasce così la cultura del naufragio e del relitto. La nave della totalità, il vascello di Apollo, è affondato. Sulla cresta dell'immaginario aggallano frammenti di struggente perfezione. Si può perdersi nel Mediterraneo per cercarli, consapevoli che l'odissea del ritorno è comunque più interessante della minacciosa, oscura sosta ad Itaca. E, in ogni caso, torniamo ad immaginare sotto il segno di Dioniso, della fluidità, della mutabilità. Tuttavia, la fluidità individuale, pur nella prospettiva (dell'insondabile impasse collettiva), non significa disequilibrio, disorientamento o (perdita della testa) ... Si tratta di ritrovare un'equilibrio dinamico, che è l'equilibrio delle forze". Flavio Caroli. In questa direzione e in questa ottica, i nostri artisti restano e assumono una posizione preliminare, che li sofferma davanti alla soglia invalicabile dell'inconscio collettivo, proprio mentre la loro forma consente all'opera prodotta di avere una sua propria realtà e di mantenere intatto il suo significato espressivo, indipendentemente dal luogo e dal momento storico in cui è stata realizzata. Certamente una mostra non esaurisce tutto il discorso teorico, ma i singoli segnano il limen (ancora una volta la soglia) dell'accaduto e le tensioni del luogo non ancora raggiunto, o l'itinerario del desiderio[...... ]
All'orditura "nitidamente geometrica" ricorre invece Gianni De Tora per rivelare l'energia fisica di colore e "coscienza di realtà sensibili e naturali". Così che De Tora scopre nella stesura cromatica la "substantia" delle cose, per cui assegna un' eticità alla "materia". "Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli De Tora insegue una forma definitiva, che il tempo, gli eventi hanno relegato nell'ombra e nell'oblio", nota Carmine Benincasa, per il quale l'artista riordina frammenti sottratti al caos, per costruire "una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale". E l'opera diventa anche e soprattutto alfabeto dell'esperienza[........]
Bruno D'Amore
TESTO DI PRESENTAZIONE DI BRUNO D'AMORE SUL PIEGHEVOLE-CATALOGO DELLA MOSTRA DEL GRUPPO 'GEOMETRIA E RICERCA' PRESSO LA GALLERIA IL CORTILE DI BOLOGNA DAL 6 AL 26.12.1980
Il gruppo « Geometria e ricerca»
Sette Napoletani sotto l'egida di un titolo così accattivante, così stimolante, che è giocoforza, soggiacere alla tentazione di analizzare non solo le linee comuni, soprattutto costituite, pare, da quella che Finizio ha chiamato «Immaginazione» nell'uso della costante geometrica; ma pure analizzare i singoli costituenti del gruppo, dagli spazi geometrici con campiture mutevoli ma logicamente collegate di Barisani, alle serie di costruzioni quasi architettoniche di De Tora; dalle fantastiche figure mutevoli ma ottenute con un elemento costante e ripetitivo di Di Ruggiero, agli studi analitici, quasi dissacranti sulla Divina proportione di Riccini; dalle superfici aperte e dagli spazi concreti di Tatafiore, alle elementari strutture di sicuro effetto di Testa, per finire con le analisi quasi figurali di elementi all'apparenza iconici di Trapani. Sono presenti tutte o quasi le componenti possibili, in un delicatissimo gioco di equilibrio che vede davvero la geometria come elemento dominante, quasi una sfida a chi crede terminata ogni ricerca su questo ampio tema, sempre aperto.
ARTICOLO DI BRUNO D'AMORE APPARSO SULLA RIVISTA '' GALA INTERNATIONAL '' N. 99 DEL MARZO 1981 X RECENSIONE DELLA MOSTRA DEL GRUPPO GEOMETRIA E RICERCA ALLA GALLERIA '' IL CORTILE '' DI BOLOGNA NEL DICEMBRE DEL 1980
GRUPPO GEOMETRIA E RICERCA
Alla Galleria Il Cortile di Bologna, mostra del gruppo napoletano che ha assunto il nome di "Geometria e ricerca", ben noto anche per lo splendido libro di L.P.Finizio pubblicato a Napoli recentemente ("L'Immaginario Geometrico"). Purtroppo il tremendo disastro provocato dal recente terremoto ha mietuto tra le altre vittime, proprio un componente attivo del gruppo, quel Guido Tatafiore, così vicino ad esperienze che superavano gli angusti confini tipicamente geometrici per farsi scrittura, messaggio "altro", ricerca concettuale. Il gruppo ha voluto ricordarlo, rendendogli omaggio, ponendo sue opere proprio in ingresso di galleria, all'immediata attenzione dei visitatori. D'altra parte, le opere si presentano da sole. Estremamente diverse come stile pittorico, come canoni espressivi, tutte hanno come unico referente comune il fatto geometrico, non visto però in modo riduttivo, iconico, ma come meta-riferimento mentale, direi come struttura lessicale portante. Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Riccardo Riccini, Giuseppe Testa e Riccardo Trapani, insieme alle opere ricchissime di Guido Tatafiore, hanno così la possibilità di mostrarsi in modi diversi, ma singolarmente uniti, sfaccettature polimorfe della stessa identità culturale, quella partenopea, così bene messa in evidenza nel libro di Finizio. Si scopre così che in una città da troppo tempo considerata solo emozionalmente suggestiva vive da sempre una tendenza razionale che ha dato luogo a più d'una generazione di artisti assai vicini alle ricerche geometriche più formali legate ad un astrattismo di maniera, ma recuperate ad una lettura esclusivamente sintattica. Si presta bene anche a galleria, stretta e lunga, ad una manifestazione corale così suggestiva, con richiami latenti e pure con differenze (non ambigue, genuine). In catalogo, Finizio e il sottoscritto colgono solo l'occasione di presentare il gruppo; fatto inutile, data la notorietà di esso, ma sempre importante in una città ora sonnolenta, svogliata, distratta, come sembra essere questa Bologna degli ultimi tempi.
TESTO DI BRUNO D'AMORE X LA MONOGRAFIA DEDICATA A GIANNI DE TORA “DELL'IMMAGINE ESATTA” -1981 – ED. I.G.E.I. NAPOLI
Dell'immagine esatta
" ...E per quanti sforzi facessero, geometri, ingegneri ed architetti non riuscivano a calcolare le misure da dare all'ara cubica per raddoppiare il volume dell'ara cubica attuale. Andarono allora da Platone, nella sua Accademia, a pregarlo di fornire loro la soluzione del dilemma. Ma Platone li scacciò, irato: 'Bene ha fatto iddio a punirvi con la peste; non meritate pietà, voi che siete cosi ignoranti in geometria'. Ed essi finalmente capirono che il compito loro affidato dall'oracolo era impossibile e che dunque non v'era scampo dalla terribile pestilenza che li decimava". Punita in modo così terribile, l'ignoranza geometrica è oggi, invece, motivo di arroganza, di superbia! Tut- ti, o quasi, abbiamo svogliatamente cercato di capire e di ripetere le dimostrazioni più strampalate, a scuola, nei licei; teoremi dei quali si perdeva ben presto il senso logico, l'aderenza alla realtà concreta, la portata. Più di tutte ci attiravano le discipline "aperte", la musica, le arti, la filosofia, le lettere, la poesia, nelle quali sembrava più libero e meno costretto l'estro personale; la possibilità di divagare, di creare sembrava più accessibile. Materie umanistiche uguale maggior disponibilità; materie scientifiche uguale metodo, criterio, dunque costrizione.
Applaudimmo, allora, appassionatamente, alla nascita delle correnti pittoriche "libere", neppure costrette dal contorno figurativo, indipendenti perfino dalla visione ... L'astratto, l'informale ci sono sembrate liberazioni, viaggi avventurosi sempre più vicini al miraggio ambito della libertà assoluta: nel quadro, sulla tela, ma disorganicamente, abbozzando una fioritura di "altro ", idee in libertà, impressioni, pensieri, ma anche solo macchie, colori, masse, pieni.
Convinti della "costrizione" cui la strutturazione figurale, peggio ancora se geometrica, così rigida, cosi sistematica, costringe, perché allora diversi artisti hanno preferito ritornare alla pra- tica figurativa geometrica, optando per la "costrizione" piuttosto che per l'assoluta libertà?.
Perché artisti che hanno assaggiato, assaporandolo, l'informale, hanno fatto ricorso alla strut- turazione in spazi così sistematici, assimilando addirittura la loro opera a questi spazi, unificandone i discorsi, privilegiando scansioni così precise da apparire, appunto, costrittive?.
L'uomo-greco-filosofo, quello dell'otium, era un rigoroso sistematore; idee, immagini cosmogoniche, materie, universi, concetti, parole, discorsi, tutto doveva essere organizzato in vi- sioni unitarie. Un sogno, forse, che oggi neppure tentiamo più.
Ciò che va più vicino a questo progetto è uno strutturalismo inteso in senso lato: l'organizzazione dei concetti e delle varie discipline umane in unità strutturali unificatrici scelte tra le più semplici, dunque tra le più generali. Ma intendere in questo modo la "filosofia strutturalista", sappiamo, è un tradimento dell'opera dei più accesi sostenitori della "differenza" in atto (ultimi, forse, i matematici; primi, forse, gli antropologi).
L'uomo-greco-filosofo, dicevo, quello dell' otium, credeva d' essere un moderno, ma non sapeva d' essere da poco sceso dagli alberi, di essersi da poco eretto su due zampe (come di noi dirà fra due millenni un nostro pronipote); egli, dunque, ancora si guardava stupefatto attorno e si chie- deva ragione di ciò che osservava, di ciò che lo colpiva: la pioggia, il mare, il fulmine, il fuoco ...
La nostra illusione, oggi, è quella di conoscere i fenomeni atmosferici ed i nostri limiti rispetto ad essi. Sappiamo spiegarci la pioggia, abbiamo precise idee sull'identità del fenomeno-fuoco, sappiamo che c'é un limite alla temperatura, alla velocità, al buio. E ci illudiamo di conoscere i fatti esterni. Ci siamo interrogati su quelli interni all'uomo, allora, creando banali modelli con i quali spieghiamo nostri comportamenti ricorrenti. E ci illudiamo di conoscere la psicologia del comportamento (singolo e di massa).
Ci illudiamo di saper intervenire sul mondo esterno e nel mondo interno, ma dimentichiamo che l' arroganza con la quale ci sentiamo dio è la stessa che aveva il farmacista quando bucava il cranio del paziente cefalico per far uscire i "maligni". Dimenticando che, in una prospettiva storica, cent' anni, mille, sono un lasso di tempo ridicolo. Sorridendo, ricordiamo che una tal dinastia di faraoni regnò per ottocento anni; in silenzio, tremendamente impauriti, dovremmo notare, invece, che quei secoli non hanno lasciato che qualche avvizzita traccia... La libertà creata dalla poesia illuso- ria, dallo spazio non costrittivo, non geometrico, "aperto ", assomiglia sempre più ad un romantico, dolce, mieloso sogno di rigetto; rigetto di entità astratte che non si sapevano domina- re per ignoranza, per incultura, per incertezza. E prende così piede la consapevolezza che, comunque, una struttura organizzativa nell' ambito di un discorso, c'è e non è possibile in alcun modo eluderne la presenza.
Questo spiega, forse e in fretta, il recupero delle forme geometriche primeve da parte di operatori che hanno tentato la via del figurativo, prima, dell' astratto e dell'informale, poi. Più volte ho notato che diversi informali, tra i loro segni in libertà, tra le macchie, con pieni e vuoti davano, nonostante i maldestri tentativi per celarle, delle immagini strutturali. Non so quanto conscie, queste liaisons riaffioravano costantemente dall'immagine, dandole forza, compattezza, intelligenza.
Gianni De Tora è uno di quegli artisti che hanno sempre strutturato il proprio lavoro, anche quando la libertà della costruzione sembra precluderne la lettura in termini geometrici o, piu in generale, strutturali; anche quando la titolazione può trarre in inganno e rinviare a lontane parentele con poetiche ben distinte e comunque d' altro genere (un carrozzone stentato di lacrimevole inutile compiacente narcisismo).
Per esempio, il titolo "Il sole si riflette in mare" (1973) o l'altro "Costruzione del sole" (1974) sembrano alludere a rinvii letterali, fievoli, mistici, un po' démodés. Ma l'immagine mostra soluzioni architettoniche ottenute con partecipazioni di vuoti e pieni assolutamente geometrici, ma di un geometrico elementare ( cerchi, settori, trapezi, rettangoli) disposti in gioco perfettamente equilibrato, quasi strutture mobili, in movimento, alludenti più alla loro stessa forma o disposizione, che non al rinvio semantico sottinteso nel titolo volutamente illusorio, volutamente ambiguo. La "Costruzione del sole" è un paziente cesello di studi analitici esclusivamente geometrici, culminanti in un lavoro centrale, quasi un organigramma, non a caso disposto su fondo quadrettato.
Il risultato va confrontato con altre opere, dai titoli più asettici, come "Sequenza" (che appare più volte, negli anni), "Mezza X riflessa" (1975), "Le diagonali" (1978), "Il cerchio primario" (1977), "Le diagonali asimmetriche" (1979), titoli nei quali dominano le componenti puramente sintattiche, figuralmente descrittive, direi quasi "grammaticali". Titoli di questo genere, naturalmente, si confanno molto di più all' opera di uno strutturalista geometrico, come indubbiamente è Gianni De Tora. Non per negarne la sicura radice partenopea, messa in evidenza in svariati scritti di critici d' arte sul suo lavoro, non mi soffermerei troppo su questo aspetto della questione, convinto come sono del fatto che opere di questo genere cessano ben presto d'essere fatti locali, occasionalmente racchiusi in una ristretta sede geografica, per assumere un respiro più ampio, meno identificabile. Voglio dire, esplicitamente, che farei immensa fatica a farmi convincere del fatto che forme e colori in De Tora sono emblematici del suo esser campano, sono tipicamente meridionali, o altre simili affermazioni. Sono convinto che avrei potuto credere e che potrei far credere che sue opere potrebbero essere state concepite ed eseguite in Svizzera, negli USA, in Cina. .. L'internazionalizzazione dei linguaggi, la commistione delle esperienze, la uniformità delle ricerche, oggi, è un fenomeno che comincia ad essere databile e che quindi, proprio per questo, non deve più infastidire o spaventare.
Nel caso dell' opera di De Tora, il confine napoletano, italiano, mediterraneo, non esiste.
Studio la sua opera e scorgo continui rinvii da un' opera all'altra. Anche solo la forma dominante (spesso il triangolo, spesso ancora il cerchio o l' ellisse), il fondo quadrettato, fuso cromatico costante, la disposizione di certe opere, "cadenti" o in progressione ben definita, sono tutti indici di un discorso coerente, continuo, non occasionale, motivato.
Spesso l' immagine è come interrotta, distrutta, ma poi ricostruita, da interventi in diagonale. Altre volte, ma sono meno, la forma è incalzante, sempre uguale, ma sfrutta, per la sua differenziazione, interventi cromatici che ne rispettano la struttura. È, per esempio, il caso di tavole quadrate disposte in verticale lungo la parete. Il gioco di verticali (nella disposizione), diagonali (sia nelle disposizioni che nelle tavole), di orizzontali (nel caso di certe sequenze) diventa ossessivo anche per il più acceso strutturalista... Troppe immagini geometriche, troppi contorni, troppa regolarità. Ma De Tora sa tenere in mano, con rigore e con arguzia, la situazione. Sia nelle sequenze, sia nelle singole opere, domina una costante critica, una sorta di riflessione autonoma dell' opera su di sé e sulle altre; privilegio, questo, concesso a pochi.
E, mentre l' uomo-greco-filosofo ricostruisce l' unitarietà del mondo che vede, l' artista moderno, cosciente e riflessivo, ricostruisce, passo passo, opera per opera, il proprio linguaggio visivo, impegnandosi nella difesa della propria linea sintattica in prima persona, affidando specie ad altri o alla storia la difesa semantica.
In questi termini, con queste direttive improcrastinabili, diventa necessario leggere le opere, specie poi quelle cosi rigide, cosi precise, così studiate, come quelle degli artisti strutturalisti geometrici, in una visione d'insieme che però non perda d' occhio l' occasione offerta da ciascun pezzo; l' opera che dice di sé e che si presenta solo per quel che è, non è fatto compiuto.
Essa si realizza, semiologicamente, solo in un' immersione all' interno di un " discorso" più articolato, più consono all' occasione ed al momento. De Tora diventa così artista di parole, di spiegazioni, di colloquio; il suo linguaggio, così freddo, cosi strutturato in termini precisi e scarni si popola allora di mille allusioni, di concezioni, di idee, di fatti personali, di storia vissuta, di speranze e, perché no?, di quella poesia che prima ho voluto assolutamente escludere. L'analisi ci restituisce le opere che altri, prima e ben meglio di me, hanno analizzato; ma ci ha dato la possi- bilità di aprirne a forza la struttura geometrica così incalzante dietro la quale si nasconde una necessità vitale, quella di costruire un linguaggio leggibile, che non sia un idioletto singolare, comprensibile solo ad uno, escludente.
L'universalità, che in questo caso vuol anche dire decifrabilità, possibilità di lettura, dà di queste opere un'immagine assai più vicina alle posizioni " mentali" che altrimenti resterebbero escluse dalla poetica di De Tora, restituendo alle tavole un potere ipnotico e suggestivo che non è e non vuol essere solo un fatto cromatico o estetico.
L'uomo-filosofo-greco s'interrogava spesso su cosa fosse l'estetica e sul come essa andasse intesa. L'uomo-critico-moderno ha imparato a non chiederselo.
Carlo Roberto Sciascia
TRATTO DAL TESTO CRITICO DI CARLO ROBERTO SCIASCIA SUL CATALOGO DELLA MOSTRA COLLETTIVA DI SCULTURA “STRUTTURA-OGGETTO” EDIZ. SPRING PRESSO IL BELVEDERE DI S.LEUCIO (CASERTA) DAL 30 MARZO AL 26 APRILE 2005
[....]In fondo, sul lato sinistro è il coloratissimo "Labirinto" di Gianni De Tora, moduli di geometria in cui si potrebbe entrare ed uscire, colori primari, intrecci complessi di linee e di contesti. Le sculture di Gianni De Tora disegnano architetture geometriche, sviluppate in rigorose forme, campite di intensi colori e da interventi segnici, i cromatismi, poi,determinano passaggi decisi e percorsi della mente, così come è evidente in questo "Labirinto" del 2003.
Di lui Giorgio Agnisola ha detto: " Le opere dei primi anni del novanta, nelle quali De Tora apre suggestivamente a geometrie interiori che sembrano prendere corpo in un personale disegno della memoria ... Partendo di qui anche le articolazioni delle campiture cromatiche e dei riquadri e delle variegate tonalità che si rispecchiano e si addensano con rigore intorno ad un segno rigoroso ed equilibrato acquistano nell'universo della sua arte un significato simbolico. E' la misura interiore e complessa dell'essere che si legge nel complesso e profondo giuoco della vita, che si riconosce nell'astrazione di segni che traducono l'equilibrio esteriore in attesa di quello interno, come epifania, anche, come sogno, come desiderio inespresso di assoluto".[...]
TESTO DI CARLO ROBERTO SCIASCIA PRESENTE SUI CATALOGHI DELLE MOSTRE COLLETTIVE ''LE CARTE DELL'ARTE'' SVOLTASI PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE DI CAIAZZO (CASERTA) DAL 10 AL 23 MAGGIO 2008 E '' ANICONICO SU CARTA '' SVOLTASI PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE DI BELLONA (CE) TRA GIUGNO E LUGLIO 2008
ASTRATTISMO IN CAMPANIA
A metà degli anni Cinquanta e dopo le esperienze geometriche di Renato Barisani, di Renato de Fusco, di Antonio Venditti, di Guido Tatafìore, l'Astrattismo in Campania è stato soprattutto rigore formale, analisi del linguaggio, auto-riflessione sugli strumenti di comunicazione dell'arte visiva. Per queste ragioni ha rappresentato un'esperienza fondamentale, tale da costringere l'artista a mettere in discussione tutto, in definitiva a mettersi in discussione. Dunque, noi vogliamo cogliere la dimensione non prescrittiva, maieutica, se così si può dire, di un movimento che, sull'altro versante, bisogna pure ricondurre ad una dimensione di grande e persino autoritaria coerenza formale e teorica. "L'artista deve essere cieco alle forme note o meno note, sordo alle teorie e ai desideri della sua epoca. Deve fissare gli occhi sulla sua vita inferiore, tendere l'orecchio alla necessità interiore", si esprime così Wassily Kandinsky nel suo testo profetico dell'Astrattismo, dal titolo "Lo spirituale nell'arte", che rivendica per l'arte del Novecento la dimensione interiore, quindi spirituale rispetto al materialismo ottocentesco ed in termini linguistici l'abbandono dell'attitudine descrittiva e quindi la scelta di procedere senza equivoci verso un'arte intesa come costruzione, mettendo perciò in discussione la grammatica stessa della forma. Di qui un mantenersi aderenti al linguaggio geometrico di tanti artisti, pur diversamente sensibili alle suggestioni delle materie, tradizionali e nuove, al naturalismo di forme più liberamente composte, ma anche il senso drammatico del conflitto immanente nel linguaggio stesso, tra l'esigenza del dire, con il rigore della geometria-parola e la coscienza del limite al comunicare, limite per un verso esistenziale e quindi della persona, ma anche sociale e quindi politico. In effetti, un'opera d'arte, se storicamente necessaria, riesce a sopravvivere; ebbene, la ricerca plastica geometrica e/o informale e/o prettamente astratta è quasi una realtà distinta e nuova, creata dall'artista con i soli elementi che ci offre la natura, ma estrapolando da essa la sua essenza lineare e/o cromatica per una naturale evoluzione verso realtà spirituali e verso concetti trascendenti la stessa materia. Dimensione e colore, quindi, per giungere ad un rapporto diretto con una purezza musicale data dall'armonia dei piani e dei volumi nelle loro dimensioni rispettive (bidimensionalità e tridimensionalità), poste su pari livello. Solo così ci si può addentrare nello spazio infinito come nel tempo inesorabile, creando ambiti imprevisti ed imprevedibili in grado di accogliere le proiezioni del pensiero dell'uomo.
In alcuni artisti la misura e il rigore critico, consegnati dall'esperienza dell'Astrattismo, si confrontano nel corso dei decenni con altre urgenze, variamente declinate. Il magistero dell'Astrattismo rende questi artisti capaci di dare forma ad un'intensa espressività, di sistemare altre e più specifiche sensibilità, aprendosi alla contaminazione con quanto si va progressivamente delineando nel panorama dell'arte: Espressionismo Astratto, Informale, Pop-Art, Arte Povera, Concettuale, Transavanguardia etc. .. Prima di citare in un brevissimo excursus quegli artisti che rappresentano i vari segmenti della storia recente ed attuale della scultura astratta in Campania, che si sviluppa dagli anni cinquanta ad oggi, ritengo opportuno citare, anche se per sommi capi, la situazione di estremo disagio nella quale gli artisti si sono venuti a trovare negli anni compresi dal 1950 al 1965, quando tra varie polemiche ed isolamenti spesso si sono perduti di vista non solo le vicende dei singoli, ma anche, talvolta, i lineamenti essenziali di una obiettiva sintesi storica. Le vicende dell'arte astratta a Napoli si susseguono con logica continuità, certamente non resa grazie ad una decisa ricerca individuale, ma soprattutto causata dalla vivacità e dalla varietà delle sedimentazioni e dei collegamenti culturali, rinnovantisi di generazione in generazione, negli ultimi decenni del Novecento; esse seguono tragitti che, nonostante continui divagamenti, fughe, sconfinamenti, riflussi, andirivieni, tentennamenti e slittamenti, in particolare per quanto attiene gli ultimi due decenni, appaiono oggi di chiara lettura. In quell' ambiente artistico, quello napoletano, che in quegli anni nel suo insieme evidenzia un carattere contraddittorio, impegnato o gratuito a seconda dei casi, da un lato si collocano in questo panorama i protagonisti del figurativo, uno per tutti Augusto Perez - dall'altro, le nuove ricerche del MAC napoletano, a quelle del Gruppo 58, a Carmine Di Ruggiero, con le sue indagini materiche e strutturali e via via fino ad Antonio Auriemma con i suoi mondi cosmici, di sapore surreale-astratto, e a Giovanni Ferrenti, le cui intuizioni lo portano a percorrere una strada dove la scultura non è più centripeta nei confronti dello spazio, ma centrifuga, trasparente, filtrante. Ad Enea Mancino, con la sua ricerca di elementi di una grammatica formale appartenenti al discorso storico dell'astrattismo geometrico, fino alle recenti indagini di Gianni De Tora sui problemi di serialità a partire dalla individuazione di elementi semplici di base con la successiva ricomposizione dei dati su fondamenti essenzialmente sintattici di tipo trasformativo.
Carmine Benincasa
TESTO DI CARMINE BENINCASA PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA PERSONALE ALLO “STUDIO OGGETTO” DI CASERTA 1983
TESTO PRESENTE ANCHE SULLA RIVISTA “D'ARS” DI MILANO N.103 ANNO XXIV -1983
Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli Gianni De Tora insegue una forma “definitiva” che il tempo, gli eventi hanno relegato nell’ombra e nell’oblio. Attraverso l’”esprit de geometrie”, il rigorismo spinoziano, i kantiani filtri dell’intelletto, l’artista costruisce un ordine fra le cose, una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale. Come in un sogno provocato, le nozioni si affastellano senza conseguenzialità, in cui le immagini, i segni, i colori subiscono dapprima il fascino dell’indeterminazione ma si fanno poi sostanza cromatica, linguaggio metaforico ed interpretativo. Siamo di nuovo di fronte al passaggio dalla dimensione onirica, che è una forma di traslato del reale, alla sua trasmutazione ontologica in forma, che è il trasferimento del reale sul piano della verità. Pittura come nuova realtà, più vera e meno mutevole dell’immagine esperibile quotidianamente in quanto struttura compiuta, liberata dalla casualità, regolata dallo strumento geometrico.
Ma il recupero della geometria non è mai totale, essa serve solo per fugare le ombre, o meglio gli spettri di una facile figurazione di una disordinata gestualità. In realtà è l’opera a farsi commento puntuale sul processo genetico dell’idea, a rivestire la dimensione lirico-immaginativa.
L’opera come alfabeto dell’esperienza, laboratorio segnico quotidiano, strumentazione creativa e di controllo, universo simbolico di percorrenza trascendentale, proiezione ideale, gioco estetico.
De Tora sembra percorrere a ritroso il processo artistico del novecento, il quale tra gli altri parametri unifica nel segno pittorico immagine e contenuto. Egli opera una frattura della rappresentazione : da un lato la pittura, che indaga con i mezzi dell’astrazione geometrica il rapporto della forma , dall’altro la parola, che controlla e sviscera l’immaginario.
La sua operazione linguistico-compositiva è una interrogazione sulla realtà quotidiana. Ad un esterno che si propone attraverso le moltiplicazioni delle immagini, la moltiplicazione della consistenza oggettuale, gli imput propagandistici tipici di una società opulenta e che tutto appiattisce nella meccanizzazione e collettivazione l’artista risponde, nel proprio isolamento, classificando la realtà secondo casellari di situazioni semplici, tipicizzabili e classificabili.
E’ un sistema dedotto da regole geometriche a cui si assommano le alchimie della parola, l’ambiguità del filo e della sua ombra, il virtuosismo grafico, il tutto inserito in un contesto apparentemente logico in realtà più magico- intuitivo che rigorosamente euclideo, più ironico che sistematico, più tolemaico che evocativo. Come una ginnastica critico- visiva l’arte si fa strumento poetico di sconfinamento dall’”inferno cittadino”, ginnastica per un processo di allegorizzazione della realtà, arte per una percezione a “distanza interiore” della realtà stessa.
Ciro Ruju
ARTICOLO DI CIRO RUJU APPARSO NEL NOVEMBRE DEL 1969 SULLA RIVISTA
“ART LETTER “
All' VIII Premì International Dibuix -Joan Mirò – Gianni De Tora
Gianni De Tora, nel caos della situazione napoletana dove facilmente ci si può perdere, è riuscito a maturare da solo passo per passo un suo linguaggio che sia pur saturo di contraddizioni più di tipo formale - descrittivo che di contenuti, è carico d'impegno che viene a concretizzarsi nella trama della tela. I temi principali che il giovane pittore affronta sono per la maggior parte a sfondo sociale.
Ed è proprio questo interesse sociale - umano che consente di intessere una vicenda articolata in quegli aspetti fisionomizzanti su cui il pittore opera perchè si evidenzi il suo essere.
La riproduzione della vicenda reale (poniamo la guerra nel Viet-nam o la contestazione) non viene riprodotta sic et sempliciter ma viene ad essere arricchita tramite una articolazione di strutture che servono a svincolare la stessa vicenda dal mero ambito circoscritto del suo essere per assurgere ad emblema di una situazione universale: libertà, lavoro, pace.
I mezzi linguistici che l'artista in questi lunghi anni di tirocinio ha sperimentato si sono mostrati validi per il ciò che l'artista chiedeva.
L'uomo nei suoi aspetti più espliciti ha dato al De Tora motivo per un intrecciare racconti dove ora il naturalismo della figura si contende lo spazio vitale della tela in un intrecciarsi di segni e di spazi pieni e vuoti quasi a ritmare, più precisamente scandire il tempo esistenziale.
Il De Tora, partendo da una indagine così cara agli artisti della nuova figurazione (si pensi al Cremonini), è riuscito a dare a questi temi una struttura attualistica dove non è del tutto estranea la componente schematica dell'arte pubblicitaria che anzi, vivificando questi temi, li carica di una aggressività esplicita a tutto vantaggio per una lettura non ambigua.
DAL VOLUME “POSSIBILE IPOTESI PER UNA STORIA DELL'AVANGUARDIA ARTISTICA NAPOLETANA-1950-1970” A CURA DI CIRO RUJU ED. EDART NAPOLI MILANO-GENN.1972
[…..]Gianni De Tora negli ultimi anni attraverso un approfondimento dell'imagerie di massa e della pop-art è pervenuto all'esecuzione di opere dove i temi che il pittore affronta, come avemmo a segnalare nel '69, “ … sono per la maggior parte a sfondo sociale. Ed è proprio questo interesse sociale-umano che consente di intessere una vicenda articolata in quegli aspetti fisionomizzanti su cui il pittore opera perchè si evidenzi il suo essere. La riproduzione della vicenda reale (poniamo la guerra del Vietnam o la contestazione) non viene riprodotta sic et sempliciter ma viene ad essere arricchita tramite un'articolazione di strutture che servono a svincolare la stessa vicenda dal mero ambito circoscritto del suo essere per assurgere ad emblema di una situazione universale: libertà, lavoro, pace. I mezzi linguistici che l'artista in questi lunghi anni di tirocinio ha sperimentato si sono mostrati validi per ciò che l'artista chiedeva. L'uomo nei suoi aspetti più espliciti ha dato al De Tora motivo per un intrecciare racconti dove ora il naturalismo della figura, ora l'emblema si contendono lo spazio vitale della tela in un intrecciarsi di segni e di spazi pieni e vuoti quasi a ritmare più precisamente scandire il tempo esistenziale. Il De Tora partendo da una indagine così cara agli artisti della nuova figurazione ( si pensi a Cremonini) è riuscito a dare a questi temi una struttura attualistica dove non è del tutto estranea la componente schematica dell'arte pubblicitaria che anzi vivificando questi temi li carica di un'aggressività esplicita a tutto vantaggio per una lettura non ambigua...”
ARTICOLO DI CIRO RUJU APPARSO SUL CORRIERE DI NAPOLI DEL 5.6.1975 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA GANZERLI DI NAPOLI
GIANNI DE TORA in questa sua personale allo "Studio Ganzerli" ci mostra gli sviluppi, più propriamente dovremmo dire cambiamento, della sua pittura.
Infatti De Tora, come un po' tutti i giovani artisti napoletani, dopo un'esperienza figurativa accademica era pervenuto ad una strutturazione della realtà esterna in chiave di una figurazione oggettiva dove gli elementi fondamentali erano determinati da una volontà narrativa, posta ad evidenziare in chiave ideologica problemi ed aspetti della nostra esistenzialità non priva di una necessità simbolica provocatoria e di contestazione.
Questo processo struttivo narrativo era incapsulato, per la maggior parte delle opere, in una sorta di struttura geometrica che sempre più andava accorciando, negli ultimi tempi, lo spazio vitale del rappresentato figurativo, per cui crediamo che sia stato proprio il riflettere sulla struttura geometrica dei suoi precedenti quadri a determinare l'azzeramento della narrazione figurale per l'evidenziazione della sola struttura geometrica quale campo totale della sua attuale ricerca.
E l'interesse maggiore di questa fase pittorica, che potremmo definire in senso lato di astrazione geometrica, è determinata dal fatto che le strutture geometriche, sia pur in un gioco compositivo essenzialmente formale, sono poste in una sorta di narrazione, ovviamente non rimandando ad altro che a se stesse, dove il racconto è determinato dal proporre, in una sorta di continuità di immagini, una sagoma nei suoi possibili e svariati movimenti di collocazione spaziale.
ARTICOLO DI CIRO RUJU APPARSO SULLA RIVISTA DI ATTIVITA' ARTISTICHE E CULTURALI '' LO SPAZIO '' DEL MAGGIO 1979 DEDICATO ALLA GEOMETRIA DI GIANNI DE TORA
La nuova realtà geometrica di De Tora
Senza dubbio, e non è una fortuita coincidenza, la situazione napoletana per le arti figurative, trova dal 1970 in poi, con l'uscita del volume « Possibile ipotesi per una storia dell'avanguardia artistica napoletana 1950/70» una sua più chiara fisionomia. Questo perché gli artisti, soprattutto i giovani e più intelligenti, hanno potuto verificare attraverso il percorso storico delineatosi una propria coerente linea che ha trovato nell'aggregazione « Geometria e Ricerca » di questi ultimi anni il suo punto di riferimento. Questa aggregazione guardata con l'occhio storico risulta un avvenimento non secondario tra le pochissime cose che succedono qui a Napoli e anche e soprattutto continuazione di una ricerca, si pensi al lontano MAC napoletano degli anni 50, che si offre quale ricerca avanzata nella costruzione di un linguaggio autonomo, svincolata dall'immanente realtà tristamente riportata per l'affermazione di una fantasia assoluta, che costruisce in proprio, tramite gli elementi geometri- ci manipolati, una realtà nuova.
Di questo raggruppamento: Barisani, Tatafiore, Di Ruggiero, Riccini, Testa, Trapani Gianni De Tora fa parte con una sua precisa identità determinata, anche e soprattutto, per i suoi trascorsi pittorici tendenti, sino al 70 ad una sorta di racconto, siamo al periodo della guerra in Vietnam, e dove appunto le vicende sono riportate in schemi geometrici in una sorta di sequenze che si avvalgono appunto dello schema geometrico-quadrato o rettangolo - per delimitare la narrazione; è anche il periodo in cui l'artista è maggiormente impegnato ideologicamente verso una realtà che dovrà necessariamente modificarsi. E con la fine del '68 e la fine della guerra nel Vietnam ecco che la cornice o meglio il supporto delimitante le vicende narrate diventano elementi narranti di per sé, sostituendo, appunto, ogni immagine figurale per una discorsività geometrica, possiamo dire, dove gli elementi giustapposti o alternanti si pongono in situazioni narranti per la successione a volte itenerante dell'elemento scelto quale campione della nuova analisi: triangolo o cerchio che sia, che si offrono in proprio, quasi ad indicare l'evoluzione di un passaggio sociologicamente accertato di una crescita del fatto reale. Questo distacco dal precedente, che in rapporto al dato reale è superamento di una crisi anche e soprattutto ideologica, pone De Tora a ricercare nella mera fantasia geometrica gli elementi per un suo narrare. E non a caso si è detto che l'astrazione, geometrica o meno, è il fenomeno indicativo di una crisi sociale o pittorica, avvertita dall'artista e, che tenta appunto di superarla cercando nell'analisi struttiva del dato certo, culturalmente accertato: la geometria, l'elemento chiave per un suo non arenarsi. In questo senso le opere di De Tora dal '70 in poi si sono costantemente e problematicamente proposte in una fisionomia di un crescente calarsi nell'elemento geometrico quale individuazione di un oggettivo linguistico, che non si pone ad interpretazioni ideologicamente ambigue come appunto il riporto di un figurale naturale. E questo superamento dell'ambiguo interpretativo ha spinto De Tora alla costruzione di un discorso oggettivo che si basa su tre presupposti precisi: spazio, tempo, colore che nel loro mutuarsi determinano la nuova realtà che è fonte appunto di una fantasia che punta sul dato certo per il suo manifestarsi. Su questa certezza in una sorta di affermazione di una realtà unilaterale: il cerchio è cerchio, il triangolo è triangolo il nuovo narrare di De Tora trova la sua essenza espressiva-pittorica e la offre attraverso quei mezzi struttivi che, se pur, come giustamente afferma Crispolti, sono più scritte che architettonicamente strutturate (le opere del 72/73), vengono ad avere una loro precisa architettura determinata dai vari passaggi a cui è assoggettata la composizione iniziale. Nascono cosi da temi unici possibilità infinite di modi di narrare. Questa volontà di narrare è l'elemento che conferisce all'operazione sostanzialmente fantastico- geometrica di De Tora una sua connotazione distintiva quale scelta appunto di una ricerca non strettamente geometrico-visiva (con tutte le sue regole psico-analogiche) bensì di potestà geometrica mirante ad una evidenziazione non casuale della carica emozionale che l'elemento geometrico manipolato, può avere come espressivtà totale, entro cui la forma viene ad essere emblema di una rapporto dialogico tra vari elementi strutturati e noi che lo percepiamo, ma, ecco, più a livello di contenuti propri che di valori meramente visuali. Questa suggestività di rapporti, che supera la mera proposizione di serialità geometrica, conferisce all'operazione dell'artista una sua autonomia linguistica che trova, in questa nuova realtà geometrica, la capacità di proporsi quale elemento di un discorso che, se pur non rimanda ad altro, riesce ad avere la struttura di una narrazione in proprio. Ed è proprio questa volontà struttiva a consentire all'autore l'impaginazione dello spazio-colore in un tempo che mantiene appunto le prerogative della scansione ritmata del racconto: racconto delle forme geometriche appunto nel loro essere e nel loro possibile divenire.
DAL VOLUME SCRITTO DA CIRO RUJU '' UN CRITICO UNA CITTA' - I GIORNI DELL'ARTE A NAPOLI 1963-1973'' ED. FIORENTINO NAPOLI -1983
Gianni De Tora alla Galleria S.Carlo
Gianni De Tora, nel caos della situazione napoletana dove facilmente ci si può perdere, è riuscito a maturare da solo, passo per passo, un suo linguaggio che sia pur non alieno di qualche contraddizione più di tipo formale-descrittivo che di contenuti, è carico di impegno che viene a concretizzarsi nella trama della tela. I temi principali che il pittore affronta sono per la maggior parte a sfondo sociale.
Ed è proprio questo interesse sociale-umano che consente di intessere una vicenda articolata in quegli aspetti fisionomizzanti su cui il pittore opera perché si evidenzi il suo essere. La riproduzione della vicenda reale (poniamo la guerra del Viet Nam o la contestazione) non viene riprodotta sic et sempliciter, ma viene ad essere arricchita, tramite un’articolazione di strutture che servono a svincolare la stessa vicenda del mero ambito circoscritto del suo essere, per assurgere ad emblema di una situazione universale: libertà, lavoro, pace.
I mezzi linguistici che l’artista in questi lunghi anni di tirocinio ha sperimentato si sono mostrati validi per il ciò che l'artista chiedeva.
L'uomo nei suoi aspetti più espliciti ha dato al De Tora motivo per intrecciare racconti dove ora il naturalismo della figura, ora l’emblema si contendono lo spazio vitale della tela in un intrecciarsi di segni e di spazi pieni e vuoti quasi a ritmare più precisamente scandire il tempo esistenziale. Il De Tora partendo da una indagine così cara agli artisti della nuova figurazione si pensi a Cremonini è riuscito a dare a questi
temi una struttura attualistica dove non è del tutto estranea la componente schematica dell’arte pubblicitaria che anzi vivificando questi temi li carica di un'aggressività esplicita a tutto vantaggio per una lettura non ambigua.
Novembre 1969.
Gianni De Tora alla PARETE DI TONINO CAIAFA
Senza dubbio iniziative come questa intrapresa da Caiafa qui a Napoli andrebbero quintuplicate in quanto si prospettano per la loro capacità di modifica di una mentalità ambientale, idonee alla conoscenza del rapporto artistico-culturale di strati sociali sempre piu vasti.
Infatti sia per la collocazione, la « Parete » di Caiafa si trova in un quartiere tra i più popolosi di Napoli, e sia per la scelta attuata di rappresentare artisti giovani tra i più validi che Napoli possa offrire, l’operazione tipicamente culturale iniziata si presenta tra le più costruttive che un privato, nell'economia delle sue possibilità, abbia intrapreso qui a Napoli avendo appunto di mira unicamente la diffusione del prodotto artistico più avanzato.
Prodotto che, opponendosi ad un certo tipo di pittura tradizionalistica — qui a Napoli fa ancora banco — mira a far conoscere problematiche che non sono avulse dalla nostra realtà.
E questo duplice intento da un lato il rivolgersi agli artisti giovani e dall’altro il presentarli ad un pubblico eterogeneo noi crediamo che entri di diritto tra le pochissime e vere iniziative culturali motivate a Napoli nell’ultimo decennio. Iniziativa che viene ad assumere un suo peso soprattutto se si tiene conto dell’assenteismo dei preposti al governo della città a cui spetterebbe il compito di educare il pubblico senza discriminazione: elite e massa, al manufatto artistico contemporaneo.
E l’attuale esposizione avvicendatasi alle due mini personali di De Tora e De Falco, è chiave di un programma e viene a presentarsi come qualcosa di omogeneo pur indicandoci attraverso le varie personalità stimoli e spunti per un discorso complesso ma che alla cui base c'è un interesse di partecipazione e di rico- gnizione sul “reale” per il “reale”.
Napoli, dicembre 1971.
ARTICOLO DI CIRO RUJU APPARSO SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI NOTTE'' DEL 14.1.1996 X RECENSIONE DELLA MOSTRA ''GEOMETRIA E RICERCA 1975-1980 '' RICOGNIZIONE DEL GRUPPO A CURA DI MARIANTONIETTA PICONE PRESSO L'ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA DI NAPOLI DALL'8 AL 28 GENNAIO 1996
Il Gruppo contro il silenzio
Geometria e Ricerca
Nel volume "Storia dell'avanguardia artistica napoletana 1950/1970" pubblicato nel gennaio 1971 (testo tanto letto ma volutamente poco citato dagli storici napoletani) emerge con chiarezza il senso e il valore che il "Gruppo" ha per l'artista napoletano.
Valore e senso che si riscontrano con lucidità dialettica sin dal primo confermarsi del Gruppo Sud 1947, a cui fa seguito il "Gruppo Concretista" 1954, il "Gruppo '58"del 1959 e perché no il "Gruppo Geometria e ricerca" del 1975 e che qui vogliamo ribadire giacché ci sembra pretestuoso voler sovraccaricare di significati eventi che di per sè hanno una motivazione molto più semplice.
L'artista napoletano è stato sempre (storicamente verificato) un undividualista per eccellenza per sua fortuna e che se in dati momenti storici si aggrega è perchè, non trovando in se la forza e gli strumenti (la possibilità di esporre o di interessare il critico di turno che ha un certo potere) cerca con l'aggregazione di sfondare il muro del silenzio che lo circonda.
Realtà che spiega l' eterogenità costante degli artisti che hanno aderito ai particolari gruppi e che emerge anche in questa riproposizione del "Gruppo Geometria e ricerca 1975/1980" curata da Marioantonietta Picone Petrusa presso l'istituto Suor Orsola Benincasa (Napoli 8/28 gennaio) dove l'apriori geometrico è solo concettualmente il motivo che accumuna il campo di ricerca degli artisti. E voler a tutti i costi dopo i 20 anni ricollegare questo movimento al più noto Mac del 1954 solo perché Barisani, Tatafiore (esponenti del precedente) aderiscono al nuovo gruppo che comprende Carmine Di Ruggiero, Gianni De Tora, Riccardo Alfredo Riccini, Giuseppe Testa, Riccardo Trapani, mi sembra riduttivo e non si vuole tener conto che i singoli artisti hanno vissuto sino al 1975 esperienze partecipative di alto profilo artistico, basterebbe ricordare l'esperienza informale di Carmine Di Ruggiero la cui partecipazione alla Biennale del 1954 sarà determinante per le sue sperimentazioni successive e che appunto non hanno nulla da spartire con la tesi teorica del breve seppure suggestivo movimento Mac. Ma torniamo alla rassegna che ci presenta opere (dopo quindici anni) coerenti e di grande vitalità di artisti che, nell'arco dei cinque anni dell'esistenza del Gruppo Geometria e ricerca, si sono impegnati in una fase che non ha nulla da invidiare ai più ben noti e sostenuti artisti di oltre il Volturno.
Una esperienza questa di Geometria e ricerca sostenuta, nella tavola rotonda che ha preceduto l'inaugurazione della mostra, da Picone Petrusa, Gillo Dorfles, Paolo Finizio, Enrico Crispolti con una lettura storico-critica di grande interesse, con un cipiglio ironico riduttivo da Angelo Trimarco
ARTICOLO DI CIRO RUJU APPARSO SUL QUOTIDIANO ''ROMA'' DI NAPOLI DEL 24.1.2004 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ANTOLOGICA AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI GENN/MARZO 2004
Gianni De Tora, protagonista della ricerca astratta
La rassegna che si può ammirare, al terzo piano del Maschio Angioino, di Gianni De Tora, curata da Vitaliano Corbi con acume critico tanto da affermare, nel comunicato stampa, che l'artista è tra i protagonisti della ricerca astratta a Napoli e figura di rilievo nel più ampio panorama nazionale, è un'antologica che comprende, in una scelta selezionata, opere che vanno dal 1960 alla più recente produzione del nuovo secolo.
L'artista nato a Caserta, ma napoletano di formazione, come apprendiamo dalle testimonianze del Sindaco Iervolino, dall'Assessore Furfaro del Comune, di Teresa Armato della Regione, del Presidente Lamberti della Provincia e di Nunzio Di Girolamo dell'Azienda di Soggiorno, è la dimostrazione, attraverso il suo percorso artistico, delle difficoltà di una generazione, che ha dato inizio, in quegli anni, alla propria attività. L'inizio del fare pittura di De Tora è identico e comune a tutti una schiera d'artisti napoletani, che non ancora vivevano il clima di rinnovamento che in Italia e soprattutto all' estero si respirava, si pensi che l'informale declina intorno agli anni sessanta, mentre a Napoli inizia solo da quel momento.
Ragione questa che determina, e lo possiamo notare scorrendo le opere dell'autore, il percorso dell'artista napoletano che ha un inizio pittorico figurativo, nei casi migliori di un neo-impressionismo o post-impressionismo evidente, una fase informale, un ritorno figurale di tipo pop art, un concentrato d'astrazione lirico o geometrico per poi insistere nell'età della saggezza su uno dei filoni frequentati.
Gianni De Tora, prima del 1970, l'antologica ne illustra il momento, attraverso un approfondimento dell'imagerie di massa e della pop part perviene all'esecuzione d'opere, dove i temi affrontati, sono per la maggior parte a sfondo sociale.
Ed è proprio questo interesse sociale-umano che è consente d'intessere una vicenda articolata in quegli aspetti fisionomizzanti su cuì il pittore opera perché si evidenzi il suo essere.
La riproduzione della vicenda reale (poniamo la guerra del Vietnam o la contestazione del '68) non è riprodotta sic et sempliciter ma viene ad essere arrìcchìta tramite un'artìcolazione di strutture, che servono a svincolare Ia stessa vicenda dal mero ambito circoscritto delsuo essere per assurgere ad emblema di una situazione universale: libertà, lavoro, pace. l mezzi linguistici, che l'artista in questi lunghi anni di tirocinio ha sperimentato, si sono mostrati validi per il ciò che si chiedeva.
L'uomo, nel suoi aspetti più espliciti, ha dato a De Tora motivo per un intrecciare racconti dove, ora il naturalismo della figura, ora l'emblema si contendono lo spazio vitale deIla tela in un intrecciarsi dì segni e di spazi pieni e vuoti quasi a ritmare, più precisamente scandire, il tempo esistenziale. De Tora, partendo da un' indagine così cara agli artisti della nuova figurazione (Cremonini), è riuscito a.dare a questi temi una struttura attuale dove non è del tutto estranea la componente schematica dell'arte pubblicitaria, che anzi, vivificando questi temi,li carica di un'aggressività esplicita a tutto vantaggio per una lettura non ambigua.
Dopo il settanta le visioni pittoriche dell'artista si dilatano in un percorso che sarà, come la mostra indica, teso verso il geometrico puro. II nuovo narrare di De Tora trova la sua essenza espressivo-pittorìca e la offre attraverso quei mezzi costruttivi che, seppur, come afferma Crispolti, sono più scritte che architettonicamente strutturate (1972/73), vengono ad avere una loro precisa architettura determinata dai vari passaggi cui è assoggettata la composizione iniziale.
Nascono così da temi unici, possibilità infinite di modi di narrare. Questa volontà di narrare è l'elemento che conferisce all'operaztone sostanzialmente fantastico-geometrico di De Tora una sua connotazìone distintiva quale scelta appunto di una ricerca non strettamente geometrico-visiva (con tutte le sue regole psìco-analogiche) bensì di poesia geometrica, mirante ad un'evidenziazione non casuale della carica emozionale che l'elemento geometrico manipolato può avere com'espressìvìtà totale.
Clorinda Irace
ARTICOLO DI CLORINDA IRACE APPARSO SU '' LA VOCE DEL QUARTIERE'' GIORNALE ONLINE NEL 2004 X RECENSIONE DELLA MOSTRA PERSONALE ANTOLOGICA AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI GENN/MARZO 2004
The world of signs di Gianni De Tora - inaugurata al Maschio Angioino la mostra antologica del noto artista
Chi lo conosce lo riconosce subito: i suoi triangoli, i suoi cerchi, i suoi quadrati e quelli incredibili colori che si ritrovano in tutte le sue opere, una sorta di filo che unisce i vari periodi e le varie stagioni di Gianni De Tora, artista noto al pubblico e, da sempre, impegnato in un discorso che vede la pittura partecipe delle problematiche sociali, umane. Non a caso ama anche scrivere poesie, il Maestro De Tora e presto pubblicherà un libro che raccoglie le sue migliori liriche. Che non sono separate dalla sua pittura, anzi, idealmente ad essa si collegano. Come nel caso dei "Labirinti" che ci accolgono sul terrazzo del castello, introducendoci alla mostra. Quattro installazioni colorate, dai colori primari che De Tora ama tanto, con al centro una sorta di "impluviurn" del 2000, una vaschetta con una forma ovoidale (altra forma ricorrente nelle opere dell'artista con evidente riferimento alla vita che nell'uovo ha origine) colma di un liquido azzurro che altro non è che acqua di mare. "Volevo subito creare un rapporto con il luogo in cui la mostra si colloca, quindi con il mare che dalle terrazze e dalle finestre del castello ammiriamo. E', inoltre, un segno della nostra mediterraneità a cui da sempre mi considero legato" dice l'artista, che accoglie i visitatori all'ingresso guidandoli in questo excursus sulla sua vita di pittore. Si comincia con le prime opere, quelle degli anni Sessanta che furono per l'artista le prime affermazioni: una in particolare riproduce un sommergibile che affondò colpendo la fantasia di De Tora che volle trasferire sulla tela le sue emozioni immediate. E fu subito successo per il ventenne pittore che agli eventi del mondo intorno a lui prestava attenzione e sensibilità. Si passa poi ad una serie di opere composte negli anni Ottanta in cui si va caratterizzando l'interesse per la geometria: i triangoli, i cerchi, i quadrati diventano forme privilegiate e si colorano di quei colori primari, rosso, giallo, blu che si arricchiscono delle parole di Leonardo Da Vinci, dal Codice pittorico: frasi inserite come segni pittorici in un contesto di vari materiali, dal gesso alla carta lavorata a mano, alla iuta dipinta per un effetto originale. Sempre triangoli in una sequenza che è stata esposta a Venezia in una mostra collaterale alla Biennale del 1976 che parte da una forma interamente colorata per sfumare gradualmente in altre forme dove le linee di colore si fanno sempre più sottili. E sempre in tema di sequenze, merita una citazione l'arcobaleno ante litteram di Gianni De Tora del 1980. A seguire, i lavori degli anni più recenti appaiono coerenti con i discorsi del passato ma assumono forme e materiali nuovi come i mosaici del 2003 che ci presentano le consuete forme geometriche impreziosite dall'armonico gioco delle tessere di vetro. Altrettanto intriganti le installazioni che occupano il corridoio centrale della sala: si comincia con l'ultima nata, una piramide al cui interno ritorna la forma ovoidale del Labirinto che ci ha accolti sul terrazzo, stavolta ricoperta di sabbia, altro elemento mediterraneo. Su di esso domina uno specchio, altro elemento frequente, quasi un rimando a ciò che noi visitatori vogliamo "vedere" ponendoci al cospetto di queste opere. Il Labirinto, dice De Tora, è l'emblema delle difficoltà di cui la nostra vita è costellata. Se ne usciamo siamo fortunati, perché i problemi sono tanti intorno a noi. Io ho voluto rappresentare così la difficile condizione dell'uomo, questa immagine mi è cara, ritorna anche nelle mie poesie. E tra pittura e poesia Gianni De Tora già si prepara alla prossime mostre di Milano e New York, nonché a soddisfare le molte richieste di opere che gli provengono dai visitatori (tanti) della mostra al Castel Nuovo. C'è persino un Americano che vorrebbe un'opera sulla guerra in Iraq ma forse non sa che De Tora ha disegnato l'arcobaleno molti anni fa!
TESTO DI CLORINDA IRACE APPARSO SULLA RIVISTA TERZOCCHIO DI PARMA -2004
SUCCEDE A NAPOLI…INVERNO
[....] altri collegamenti alla parola scritta nelle opere di un altro autore napoletano interessante: Gianni De Tora, in mostra al Maschio Angioino con un’antologica che racchiude i lavori degli ultimi quaranta anni. Ama scrivere poesie, il Maestro De Tora e presto pubblicherà un libro che raccoglie le sue migliori liriche. Che si collegano alla sua pittura. Come nel caso di una delle opere più recenti, “Labirinti” che ci accoglie sul terrazzo del castello, introducendoci alla mostra. Quattro installazioni colorate, dai colori primari che De Tora predilige, con al centro una sorta di “impluvium” del 2000, una vaschetta quadrata con una forma ovoidale - forma ricorrente nelle opere dell’artista, con evidente riferimento alla vita che nell’uovo ha origine - colma di un liquido azzurro che altro non è che acqua di mare. L’idea è quella di creare un rapporto con il luogo in cui la mostra si colloca, quindi con il mare che dalle terrazze e dalle finestre del castello si ammira Il labirinto è per l’artista il simbolo del percorso dell’uomo, un percorso irto di difficoltà che richiede la continua ricerca di strade idonee per salvarsi. E’ un’immagine forte che dà il titolo anche alla raccolta di poesie. Molte le opere esposte, dalle prime esperienze degli anni Sessanta agli ultimi mosaici del 2003 in cui compaiono costanti le geometrie tanto amate da questo autore in un caleidoscopio di tecniche, materiali ed “effetti speciali” dovuti al sagace uso di specchi che sembrano chiedere al visitatore di entrare nell’opera e dare il proprio contributo[.....].
TRATTO DAL TESTO-INTERVISTA DI CLORINDA IRACE SCRITTO PER LA RIVISTA '' FUTURO'' ED. ENZO DEL MESE PUBBLICAZIONE IN SVIZZERA NEL 2004 E PUBBLICATO PARZIALMENTE NELLA RIVISTA N. 10 DEL GIUGNO/AGOSTO 2006
GIANNI DE TORA
Difficile separare arte e vita in Gianni De Tora, artista napoletano pacato nei modi ma netto e deciso nelle sue scelte artistiche, culturali, politiche. Un artista che non ha mai separato la sua produzione artistica dalla società in cui nasceva, un uomo che si è sempre posto questioni e problemi che ha riportato sulla tela in modo lucido, dimostrando una sensibilità profonda ed una propensione ad essere cittadino attivo e consapevole oltre che artista. Allo stesso modo, insegnando, nel tentativo di trasmettere ai suoi allievi la sua weltanshauung, ha trasformato la sua aula in un laboratorio di idee oltre che di quadri.
Dal punto di vista strettamente artistico è stato tra i protagonisti della ricerca astratta a Napoli e negli Anni Sessanta ha iniziato una lunga carriera che lo ha visto aggiudicarsi numerosi premi, alternare partecipazioni ufficiali e personali in luoghi prestigiosi (da Vienna a San Paolo, da Milano a Valparaiso, dalla Francia alla Finlandia, dalla Biennale di Venezia a quella di Londra e alla Quadriennale di Roma, agli Arsenali di Amalfi, a Vancouver e tanti altri musei italiani ed internazionali sino alla recente esposizione antologica al Castel Nuovo di Napoli o alla partecipazione con il gruppo Madì a varie mostre negli Usa), ed ancora lo ha visto creare movimenti significativi come i gruppi “Geometria e ricerca”, “Generazioni”, “Mutandis”, scrivere poesie, non di rado collegate alle opere pittoriche.
La geometria e i segni nascosti nella parola lo hanno affascinato sempre, come ha dimostrato la sua partecipazione attiva agli incontri mitici che la libreria Guida organizzò con Ungaretti, Moravia, Ginsberg, Eco, Barthes, Argan.
Nella pittura, allo stesso modo, la geometria ha rappresentato una costante, dagli esordi ad oggi: i suoi triangoli, i suoi cerchi, i suoi quadrati e quegli incredibili colori rappresentano una sorta di filo che unisce i vari periodi e le varie stagioni di Gianni De Tora. Sin dalle prime affermazioni degli Anni Sessanta in cui vita quotidiana ed arte si intrecciavano, si rintraccia l’elemento geometrico anche se è negli anni Ottanta che si va caratterizzando ulteriormente l’interesse per la geometria che divenne un codice privilegiato arricchito dalla forza di quei colori primari, rosso, giallo, blu che l’artista ha sempre amato proporre, non di rado arricchendoli delle parole di Leonardo Da Vinci, dal “Codice pittorico”: frasi inserite come segni pittorici in un contesto di vari materiali, dal gesso alla carta lavorata a mano, alla iuta dipinta, per un effetto originale. I lavori degli anni più recenti appaiono coerenti con i discorsi del passato ma assumono forme e materiali nuovi come i mosaici del 2003 che ci presentano le consuete forme geometriche impreziosite dall’armonico gioco delle tessere di vetro, così come pure le installazioni più recenti restano fedeli all’adesione alla ricerca astratta e geometrica.
Domande:
C.I. Gianni De Tora in 40 anni di carriera ne ha incontrate di persone, di critici, di politici. Chi ha lasciato un segno particolare nella sua memoria?
G.D.T. L’attività di un artista si svolge non soltanto in studio ma attraverso incontri, dialoghi emozioni, impressioni ed è sempre presente il seme della conoscenza ed una continua volontà di rinnovamento.
Nel corso dei miei studi ho incontrato molti docenti ma soltanto alcuni hanno lasciato in me un vivo ricordo ed hanno contribuito allo sviluppo della mia scelta artistica. Ferdinando Bologna mi ha insegnato ad amare l’arte classica ed Antonio Del Guercio l’arte moderna.
Altre personalità del mondo dell’arte e della cultura mi hanno consentito di far crescere la mia conoscenza: Pierre Restany, Gillo Dorfles, Enrico Crispolti, Filiberto Menna unitamente ad altri autorevoli critici e storici dell’arte mi hanno onorato della loro attenzione in occasione di vari momenti espositivi che hanno caratterizzato questo mio lungo percorso artistico. Non dimenticherò mai, inoltre, la voce cavernosa e ricca di inflessioni musicali di Giuseppe Ungaretti quando recitava sue poesie regalandomi emozioni che scavavano dentro. Anche l’incontro con Eugenio Montale destò in me una notevole impressione. La frequentazione con artisti come Giò Pomodoro, Piero Dorazio e Renato Barisani mi hanno consentito un dialogo costruente.
C.I. Napoli è stata sempre presente nella sua vita e nella sua opera ma non senza accenti critici. Quale è il suo giudizio sull’attuale situazione della città?
G.D.T. Napoli è una città con grandi possibilità creative come dimostra l’operosità di artisti di varie generazioni impegnati in ricerche che dialogano con i più significativi momenti dell’arte internazionale. La città avverte le sofferenze sociali che ormai affliggono tutte le grandi città come la droga e la delinquenza organizzata che rallentano la crescita culturale della città. Ho viaggiato molto e non è mancata la tentazione di stabilirmi in una città del mondo dove il dibattito artistico offriva possibilità diverse; tuttavia ho preferito insieme a molti altri intellettuali ed artisti continuare ad operare a Napoli per dare un nostro contributo al rinnovamento culturale della città in alcuni casi ferma al “ colore partenopeo”.
C.I. E circa l’attuale politica artistico-culturale che idea si è fatto?
G.D.T. L’attuale programmazione di eventi culturali di arte contemporanea in città è sicuramente un fatto di notevole interesse anche per informare un pubblico disabituato ad ogni cultura estetica nuova che si è sempre spinto a ritroso sulle vecchie glorie del “barocco napoletano e dell’ottocento “. Non si dirà mai abbastanza contro una scuola che non riesce a stare al passo con i tempi privilegiando la parola scritta all’immagine in continua evoluzione. Ben vengano le mostre di artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo, non trascurando tuttavia la storia dell’avanguardia artistica del territorio.
ARTICOLO DI CLORINDA IRACE APPARSO SUL QUOTIDIANO ON LINE ''LA VOCE DEL QUARTIERE'' DEL 1° APRILE 2005 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA DI SCULTURA ''STRUTTURA/OGGETTO'' PRESSO IL BELVEDERE DI SAN LEUCIO (CASERTA) DAL 30 MARZO AL 26 APRILE 2005
Arte contemporanea a San Leucio
Inaugurata ''Struttura/Oggetto'' mostra di scultura contemporanea
"Struttura/oggetto", una mostra dedicata alla rappresentazione artistica in Campania dal concretismo all' astrattismo fino agli sviluppi del concettuale. Ospitata nelle belle sale del Belvedere di San Leucio, in quegli che un tempo furono gli antichi opifici dei Borbone, la mostra presenta artisti campani che con la loro opera hanno rappresentato importanti tappe dell'arte dei nostri giorni. Laura Cristinzio, nota per l'uso di materiali insolitamente forgiati, si è ispirata agli opifici di San Leucio per un'opera che è esposta in una delle prime sale: fili di luce colorata di materiali elettrofluorescenti che fuoriescono da una struttura di plexiglas, "Memoria errante". Salendo ai piani superiori, tanti artisti di indiscusso pregio: tra essi due presenze femminili: Mimma Russo con i suoi lavori bianchi e neri (restati sul pavimento per l'impossibilità di sistemarli diversamente) e Rosaria Matarese, che ha esposto le sue opere realizzate con materiali spesso ricic1ati, opere che sono un grido di protesta lacerante contro ogni forma di violenza resa con la crudezza delle
immagini. In un'altra sala, imponenti i lavori di Zhao, alias Salvatore Vitagliano, il cui grande pannello è un tripudio di forme e colori. Nella sala vicina, la piramide di Gianni De Tora che emana un' energia che capta i visitatori. Nel cortile, altre sue sculture accanto ad un' opera del maestro Renato Barisani, inconfondibile nelle sue caratteristiche linee. In un'altra sala al piano terra, le opere di Antonio De Filippis, Carmine Rezzuti e Quintino Scolavino Nicastro, compagni d'arte e amici nella vita, che hanno diviso questo ampio locale nel cui centro hanno posto l'opera color violetto di de Filippis che appartiene alla serie ispirata alle macchine industriali. L'esposizione è stata curata dal Comune e dalla Pro loco di Caserta e dall'Associazione napoletana "Ma" di Ilia Tufano, appassionata d'arte, presente anche in mostra con un' opera. Tra i curatori artistici, il critico Rosario Pinto
La mostra sarà visitabile sino al 26 aprile
ARTICOLO DI CLORINDA IRACE APPARSO SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI PIU''' DEL 1° APRILE 2005 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA DI SCULTURA ''STRUTTURA/OGGETTO'' PRESSO IL BELVEDERE DI S.LEUCIO (CASERTA) DAL 30 MARZO AL 26 APRILE 2005
Struttura/Oggetto
Un tempo variabile, con improvvisi scrosci di pioggia, fa da cornice all'apertura della mostra "Struttura/oggetto" dedicata alla rappresentazione artistica in Campania dal concretismo all'astrattismo fino agli sviluppi del concettuale. L'apertura delle sale è stata preceduta da una presentazione in cui si è sottolineata la necessità di far uscire dai confini regionali l'immenso serbatoio di creatività campana, spesso valorizzata solo dall'emigrazione dell'artista. Il rappresentante dell 'Ufficio cultura del Comune di Caserta, Gerardo Zampella, ha aggiunto che gli artisti del Sud dovrebbero essere più coesi, meno divisi per contare di più. Dopo qualche cenno esplicativo di uno dei curatori artistici, Rosario Pinto, la visita all'esposizione, ospitata nelle belle sale del Belvedere di San Leucio, in quelli che un tempo furono gli antichi opifici che i Borbone vollero per il loro esperimento di pseudo-democrazia. E agli opifici si assimila l'opera di Laura Cristinzio che è esposta in una delle prime sale: fili di luce colorata di materiali elettrofluorescenti che fuoriescono da una struttura di plexiglas, "Memoria errante". Salendo ai piani superiori, tanti artisti di indiscusso pregio: tra essi due presenze femminili: Mimma Russo con i suoi lavori bianchi e neri (restati sul pavimento per l'impossibilità di sistemarli diversamente), Rosaria Matarese, che ha esposto le sue opere realizzate con materiali spesso ricic1ati e che sono un grido di protesta lacerante contro ogni forma di violenza. In un' altra sala, imponenti i lavori di Zhao, alias Salvatore Vitagliano, il cui grande pannello è un tripudio di forme e colori. Nella sala vicina, la piramide di Gianni De Tora (da lui rimontata in extremis, pochi minuti prima dell'apertura delle sale) emana un'energia che capta i visitatori. Nel cortile, altre sue sculture accanto ad una scultura di Renato Barisani che sfida la pioggia, inconfondibile nelle sue caratteristiche linee. Sfidano, invece, uallestimento frettoloso e poco generoso le opere di Antonio De Filippis, Carmine Rezzuti e Quintino Scolavino Nicastro, cui è stato riservato uno stanzone al pian terreno e ... null'altro, neanche un chiodo o un supporto per una targhetta. Male comune a tutta l'esposizione, curata (si fa per dire) dal Comune e dalla Pro loco di Caserta: Mostra che tra le tante mancanze annovera anche la mancanza del catalogo che, a quanto pare, sarà pronto tra una settimana. Peccato, perché con la solita generosità, gli artisti sono accorsi numerosi a questa iniziativa, hanno personalmente sistemato le proprie opere, si sono fatti da soli pubblicità. E meritavano di più. Ci si è messa anche la pioggia!
ARTICOLO DI CLORINDA IRACE SU NAPOLI PIù DEL 29.1.2008 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA MA-MOVIMENTO APERTO DI NAPOLI E X CONFERENZA AL MASCHIO ANGIOINO 2008
LA MOSTRA E L'INCONTRO -Gianni De Tora: viaggio di un artista tra emozioni e impegno civico
il futuro di Napoli nelle visioni americane
Un' ondata di emozione autentica ha attraversato la sala della Loggia quando sul video è apparsa l'immagine di Gianni De Tora in un'intervista di qualche tempo fa. La sua aria semplice e le sue parole profonde si sono materializzate tra noi mentre lo schermo ce lo restituiva, circondato dai suoi pennelli e dai suoi amati colori, quelli primari a cui ha dedicato tanta ricerca. Cita i giovani, i "suoi" giovani che riteneva importante educare al bello, all'arte, al vivere civile. Donatella Gallone, moderatrice del dibattito, apre la discussione con una considerazione che riguarda proprio il rapporto tra arte e nuove generazioni in una città, Napoli, che continua a ignorare tanti suoi artisti fondamentali non riconoscendo loro neppure un' adeguata documentazione della propria vita e della propria opera. Peccato che a raccogliere queste giuste riflessioni non sia arrivato l'assessore Oddati, trattenuto da impegni improvvisi. Torna alle nuove generazioni, la professoressa Picone Petrusa che racconta delle tesi dedicate agli artisti napoletani che i suoi studenti compilano su suo suggerimento e, a questo proposito, invita al tavolo dei relatori la neo-laureata Irene Romano, la cui tesi dedicata a DeTora viene mostrata al pubblico. Alcune pagine vengono lette con emozione ma con la competenza che ha permesso a Irene di delineare 1'evoluzione dell' opera di De Tora dopo averla a lungo studiata e dopo essersi confrontata con l'artista in più occasioni. Sicuramente Gianni, così vicino ai giovani, si sarebbe rallegrato di questo intervento. Il critico Vitaliano Corbi, nel denunciare il provincialismo di una politica artistica che osa definirsi cosmopolita ignorando un'intera generazione che ha gettato i semi del presente e del futuro con la propria opera, richiama un altro aspetto fondamentale di Gianni De Tora, l'impegno civico e politico. De Tora, viene ricordato, fu tra i fondatori dell'associazione, Sole urbano (in sala è presente anche Rosaria Matarese, altra animatrice di questo sodalizio) attiva in città proprio per la valutazione di quegli artisti locali il cui ruolo nel rivitalizzare l'arte italiana dal dopoguerra in poi è stato indubbio. La Gallone, nel ribadire nelle conclusioni la necessità di dare ad artisti come De Tora il giusto riconoscimento, sottolinea che sia il dibattito che la mostra alla associazione MA (Movimento Aperto) dedicati allo scomparso artista sono stati frutto della tenacia di tre donne: Ilia Tufano, Stefania e Tiziana De Tora e nel concludere, regala a tutti una sorpresa, la lettura di una poesia scritta da Gianni in cui si parla di vita e di morte, con parole toccanti che, ancora una volta, riportano tra noi la personalità e l'entusiasmo di Gianni mentre sul video scorrono le immagini del viaggio in America che ha visto l'artista impegnato in un ultimo confronto con una realtà artistica che ammirava profondamente.
TESTO DI CLORINDA IRACE SU DEPLIANT DEL SUOR ORSOLA BENINCASA DI NAPOLI DEL 25.10.2013 PER IL FINISSAGE DELLA MOSTRA ITINERANTE ''TERRITORIO INDETERMINATO'' 2013/2014 NELLA GIORNATA DEDICATA ALLA SCUOLA
UN PICCOLO RICORDO
“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”: fu un attimo e mi fu tutto chiaro. Quella scritta che troneggiava nel suo ordinatissimo studio d’artista mi spiegò molte cose. Il suo interesse per i miei progetti volti a diffondere la legalità tra gli studenti, il suo entusiasmo nel condividerli e portarli avanti, le sue proposte. E poi … quelle linee regolari, le sue geometrie, la ricerca delle regole anche in un campo apparentemente “sregolato” come l’arte. Tutto riconducibile a quella ferrea legge morale che lo attraversava e lo sosteneva nella sua grande semplicità di persona pacata che non amava urlare e non amava l’arte che “urlava”, credo.
Gianni De Tora era una persona rasserenante, al suo fianco ti rilassavi, cercavi e trovavi spunti di riflessione e soluzioni. Una volta ci incontrammo per strada e cominciammo a discutere di ingiustizie, di concorsi truccati, di imbrogli e raccomandazioni. Ricordo il suo pacato ma fermo sdegno, la sua preoccupazione per un Paese che andava a rotoli, che negava ai migliori di percorrere le strade giuste. Il suo scoramento. E la forza delle sue idee, quelle che lo portavano ad interagire, entusiasta con i giovani. Come docente era incisivo: approvava gli allievi, sapeva farli crescere. Un prof amato, un docente di quelli che educano gli studenti con il proprio esempio e con le buone pratiche. Il suo impegno, in una scuola spesso deficitaria e mal gestita, era costante, volenteroso, apprezzabile. Ricordo quando insieme ci “imbarcammo” in una campagna contro il fumo nella scuola, argomento impopolare e … non solo tra i ragazzi! Ricordo che discutemmo a lungo, cercammo formule che potessero coinvolgere i giovani e confutare l’ostilità che il divieto suscitava, valutammo i pro e i contro, mettemmo in conto la possibilità di insuccesso. Alla fine, puntammo tutto sull’entusiasmo che suscitava nei ragazzi l’idea di progettare e realizzare per la città i manifesti pubblicità-progresso che avrebbero trasmesso a tutti un messaggio civico: i ragazzi misero da parte le loro perplessità e l’arte, quella con la “A” maiuscola che lui sapeva trasmettere, ebbe la meglio e dai suoi studenti vennero fuori degli splendidi manifesti che al messaggio verbale efficace abbinavano la sapienza delle tecniche e la potenza del linguaggio iconografico.
Sono passati molti anni e si continua a parlare di questo “violatissimo” divieto: anche nella scuola, le leggi non riescono ad impedire un malcostume molto diffuso, purtroppo anche tra le componenti non studentesche. Mi piace pensare che da qualche punto lontano Gianni ci stia guardando sornione, lui che la sua lotta al fumo l’aveva coraggiosamente portata avanti in tempi non sospetti e chissà che, dal mondo della verità in cui abita oggi, non ripenserà a quei bei manifesti che, se non servirono a risolvere il problema, almeno furono un esempio di abilità e di coinvolgimento civico dei nostri ragazzi!
TESTO DI CLORINDA IRACE PRESENTE SUL CALENDARIO D'ARTISTA STAMPATO E DIVULGATO IN OCCASIONE DELLA MOSTRA COLLETTIVA '' MUTANDIS '' PRESSO IL PAN - PALAZZO DELLE ARTI DI NAPOLI DAL 17 DICEMBRE 2015 AL 3 GENNAIO 2016
Mutandis é l'insolito nome di un gruppo di artisti che ha dato vita, a partire dagli Anni Novanta, ad una singolare esperienza di arte a più mani: Gianni De Tora, Mario Di Giulio, Michele Mautone, Rosa Panaro, Mario Ricciardi più Nora Puntillo, gli autori che, senza interrompere la loro individuale attività, costituirono il Gruppo.
In un'epoca di personalismi e protagonismi, loro scelsero di operare all'insegna del lavoro comune per esprimere al meglio l'idea di un'arte provocatoria, paradossale, dirompente fuori dalle logiche e dagli schemi, in una parola, controcorrente.
Durante gli Happening che hanno caratterizzato la singolare formazione (e che vengono documentati nella mostra attraverso immagini del tempo) il Gruppo Mutandis lanciava il suo messaggio di cambiamento e di anticonformismo, stupendo, sbalordendo, divertendo ma, al tempo stesso, affondando il 'dito nella piaga" con ironia e sarcasmo.
Ad oltre trent'anni di distanza, l'associazione TempoLibero promuove questa esposizione, in linea con una finalità riportata nel proprio Statuto ossia valorizzare i fenomeni culturali più interessanti che si sono registrati nel nostro territorio. Far conoscere ai giovani e ricordare ai meno giovani la presenza di un sodalizio così particolare rappresenta un tentativo di fissare esperienze significative che hanno portato a Napoli operazioni artistiche di ampio respiro e di grande modernità.
Grazie al sostegno dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli che ha messo a disposizione gli spazi del Pan la città potrà incontrare il lavoro di un gruppo - Mutandis - che merita il dovuto spazio tra i fenomeni artistici degli ultimi cinquanta anni.
Un calendario - ideato e progettato da Tony Stefanucci - riporta testi e immagini relativi al tema clou di Mutandis nella declinazione dei vari autori: si va dalle geometrie di De Tora, alle sculture di Mautone da cui prolificano foglie, simbolo di vita e mutamento, alle costruzioni di Di Giulio che si snodano in un negativo-positivo, a Mario Ricciardi, in cui il mutamento si esprime con riferimenti di gusto popolare.
Rosa Panaro ripropone un soggetto esposto al museo Madre, le sue "palle quadrate" mentre la giornalista Nora Puntillo si esprime tra parole e linee, fedele al suo codice professionale in un esperimento di poesia visiva.
Mutande come mutamento e divenire, quindi, uno sberleffo ma anche una metafora, un modo originale di contrapporsi alle logiche imperanti dell'art system.
Queste immagini ci accompagneranno per il 2016: un buon auspicio di cambiamento, un invito ad affrontare la complessità del nostro vivere con leggera ironia, lasciandoci accompagnare dall'arte che col suo sguardo acuto apre mondi, consola, riappacifica.
Corrado Marsan
ARTICOLO DI CORRADO MARSAN APPARSO SU “IL GIORNALE D'ITALIA” DEL 12/13 NOVEMBRE 1974 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA INQUADRATURE 33 DI FIRENZE
Alla Galleria Inquadrature 33 espone Gianni De Tora, un artista che pur essendo di giovane età ha dietro di sé una ragguardevole attività artistica a livello internazionale, interessando la critica più autorevole e collocandosi in una posizione di primo piano nel panorama dell'arte contemporanea.
Le opere di questa sua esposizione fiorentina, nel loro ineccepibile rigore costruttivo, si presentano come un'indagine spazio- strutturale volta alla realizzazione, attraverso i simboli della geometria elementare di un nuovo ordine formale, cardine di un mondo dove l'uomo può recuperarsi riscattandosi dalla sopraffazione tecnologica.
La mostra, che si è conclusa ieri sera, ci è sembrata di notevole interesse culturale.
ARTICOLO DI CORRADO MARSAN APPARSO SU “LA NAZIONE” DI FIRENZE DEL 10 GENNAIO 1975 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA “INQUADRATURE 33” DI FIRENZE NOV 1974
TESTO PRESENTE ANCHE SULLA RIVISTA “D'ARS” DI MILANO ANNO XVI N. 76/77 DEL 1975
Gianni De Tora
Quella di Gianni De Tora è una delle « presenze » più indicative dell'area della giovane cultura napoletana d'avanguardia: un'area che in questi ultimi cinque-sei anni ha avuto momenti di indubbio splendore e di indubbia «attualità» e all'interno della quale il De Tora (classe 1941) viene operando con estremo rigore e con la dovuta cautela. Il suo occhio critico ha preferito rifuggire da ogni sorta di colpo a sensazione per puntare, intelligentemente, su un lavoro di scavo che, di simbolo in simbolo, mantiene costanti alte e perentorie. Il suo è un racconto, in chiave geometrica (una geometria assai vicina all' «oggetto ansioso» che ha contaminato buona parte della linea della ricerca contemporanea), che sembra voler mettere a fuoco, in un abilissimo gioco di scomposizione-ricostruzione dello "spazio nell'immagine”, le metamorfosi e le tensioni del flusso e del riflusso della "realtà” (una realtà metafisica e tecnologica insieme) come per prolungarla nel suo atto poetico e drammatico. E proprio il senso di "concretezza” che deriva da questo ininterrotto e allusivo viaggio esplorativo di De Tora (una sua cospicua mostra personale si è chiusa, nei giorni scorsi, allo «Studio Inquadrature 33»), da questo minuzioso rapporto oggettivo con le “cose" più disparate, è il termine che più maggiormente ricorre nelle sue "mutazioni" e nei suoi "cerchi riflessi” più recenti: di qui una mozione di ricerca alla quale, in un secondo tempo, si possono aggiungere - grazie ad un segno che si scinde o si rassoda a seconda della necessità dei vari filtri del procedimento linguistico - anche le notazioni estetiche di liricità.