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MILLE PENSIERI PER GIANNI


Antologia Critica

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Gabriele Perretta
TESTO DI GABRIELE PERRETTA INSERITO SUL MANIFESTO-CATALOGO DELLA MOSTRA PERSONALE ALL'ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA DI VANCOUVER-CANADA- NEL GIUGNO 1987

Strumento dell'astrazione che ricorre

 

La Storia di Gianni De Tora non appartiene solo agli anni '80. Essa proviene da un' arco di esperienze più vaste che accennano ad alimentarsi continuamente di nuovi significati, nuovi progetti e nuove prospettive.

Nel panorama della pittura attuale il suo lavoro si inserisce attraverso una serie di indizi classici che ci lasciano presagire l'organizzazione mentale di una visione contemporanea. Essi sono: colori primari, la ricerca della «quadratura del cerchio», l'utilizzazione di simboli cosmici, le forme elementari del discorso, le iconografie relazionali, i sistemi archetipici, la matematica centrica e immagini razionali sui generis. In sintonia con alcune energie creatrici attuali De Tora esalta il valore della coscienza interiore come conoscenza, dei segni, e dei significati e con un'automatismo che potremmo definire di stile Bergsoniano che contrasta con la forma dell'esperienza ordinaria.

Non contrappone l'esperienza simbolico razionale per un fondante positivistico, ma su piani assolutamente diversi ed inconfondibili che sono vicini (per intenderci) al problema del tempo - come attimo, passato e durata - attinge sia dall'interiorità che dall'esteriorità (Bergson).

La riprova di ciò sono i suoi ultimi tre percorsi pittorici: 1) «dell'immagine esatta »; 2) quelle del «De pictura e del dialogo» che vanno fino alla mostra «Nuntius» (1985); 3) «i cicli del nero e delle tavole di gesso, le teche della memoria». Ci sono due tipi di segno classico nell'attuale situazione contemporanea, uno è rappresentato dall'artista inglese Stephen Cox, dal fiesolano Luciano Bartolini e dall'americano Robert Kushener, a cui si sono aggiunti i pittori dell'ultima astrazione mistico-lirica italiana e l'altro da Galliani, Salvo e Mainolfi.

Gianni De Tora è più vicino alle lunette di Cox. Anzi opera nello stesso periodo, tra il '79 e l'inizio degli anni '80 su forme primarie, confermando ciò con le sue ultime tavolette di cartone e gesso che rappresentano il diario storico dell'artista, nel senso di storia riscritta non ritrovata, che De Tora magicamente definisce: «il giorno in cui dipinsi i colori della storia». Il Primario, il Classico che si esprime attraverso un senso di costruzione e di sintesi produce una sicurezza eccezionale per l'artista, quel fare minutissimo che alberga nella uguaglianza e nella differenza dei segni. Il sempre uguale e sempre dissimile che esprime l'anima delle cose infinitamente più a fondo. Giù di li' dove l'attività conoscitiva raggiunge per altro l'istinto. L'intelligenza promanatrice strumento dell'astrazione che ricorre da forza ad una bipolarità del versante pittorico.

Da un lato la materia e l'impressione dell'impasto molle e denso, dall'altra il bisogno dell'autocontrollo, che comunque non si rifanno ad uno scopo riformativo del procedere per costruzione e finezza nè a prestazioni di struttura dalla «banda serrata» e compatta, ma ad una motivazione che fuori dalla realtà può essere tutta calata nell'iconografia del reperto. I colori tenui, le sicurezze geometriche dirigono il nero a condurre un tracciato semplice, un limite fra tela e cornice, che non aspira a tumultuose vicende perché non chiede nulla al mondo circostante, nè ha intenzione di sentenziarlo, ma solo di catturarlo nel suo fondo primario dove la suadente e colorata felicità del linguaggio è sempre effigiata e sorvegliata.

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Gaia Salvatori
TRATTO DAL TESTO DI GAIA SALVATORI PRESENTE SUL LIBRO '' LE AULE DELL'ARTE- ARTE CONTEMPORANEA E UNIVERSITA''' LUCIANO EDITORE DEL GENNAIO 2013 ( SCRITTO CON NADIA BARRELLA ED ALTRI CONTRIBUTI CRITICI)

Il work in progresso dell'Arte contemporanea nell'Università

 

[…....]A partire dalla giornata di studi Le Aule dell'Arte (12 ottobre 2011) abbiamo, insomma, cominciato a lavorare per un'Università aperta al dialogo con l'arte contemporanea, riprendendo un filone di ricerca - come si è detto in apertura - già iniziato dal 2003. Nel 'work in progress', delle cui prime tappe stiamo dando conto in questa sede (1) le Sculptures in the SUN negli spazi aperti del cortile della Facoltà di Lettere hanno cominciato subito a far parte delle dinamiche proprie di una vita universitaria. A poco meno di un mese dal menzionato convegno, si è aggiunto il gruppo plastico di Gianni De Tora (2) (concesso, come gli altri, in comodato dalla BAD) che ha sollecitato una 'lezione/performance' con gli studenti : l'opera esigeva - come da indicazioni dell'autore stesso - che la cavità ovale al centro dell'installazione fosse riempita di acqua colorata d'azzurro. Riprendendo i dettami del pensiero dell' artista casertano, così, il 7 novembre 2011 una lezione del corso di laurea magistrale si è trasformata in un'azione collettiva consistente nella messa in opera di un 'dettaglio' poetico senza il quale il gruppo metallico, articolato in gabbie dipinte rigorosamente con colori primari, non poteva considerarsi 'completo' . Nei mesi successivi si è poi costituito, utilizzando la formula del tirocinio, una sorta di collettivo curatoriale fra gli studenti della laurea magistrale e del dottorato che, dedicando attenzione alla comunicazione della nostra iniziativa, ha lavorato (come si è detto, in un 'work in progress') all'implementazione di informazioni e immagini relative al progetto Le Aule dell'Arte nell'ambito del sito della Facoltà di Lettere (3).....

 

 

  1. Si rimanda, per i successivi aggiornamenti, al link ''Eventi'' dello spazio ''Le Aule dell'Arte'' facente parte del sito della Facoltà di Lettere e Filosofia della SUN http://www.lettere.unina2.it/.

  2. Corbi, 2004, pp.18,82 e 85.

  3. Alla progettazione di questo sito, oltre al personale tecnico della Facoltà, ha dato un fondamentale contributo l'attività di tirocinio (nell'ambito del corso di Laurea Magistrale Interclasse in Archeologia e Storia dell'arte) dei dott. Arch. Luigi Affuso e Filomena Cacciapuoti.

TESTO DI GAIA SALVATORI PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA ITINERANTE DEDICATA AL MAESTRO DE TORA “TERRITORIO INDETERMINATO” SVOLTASI IN VARIE SEDI TRA IL 2013 E IL 2014

LABIRINTO nell 'Università

 

Incontrare l'installazione ambientale "Labirinto" di Gianni De Tora nella corte di un antico convento (sorto sul foro dell'antica Capua) poi divenuto carcere e ora università degli studi, non è solo un invito a perdersi nella stratificazione della storia quanto, piuttosto, ad iniziare quel "percorso movimentato" che le opere delle "Aule dell' Arte" spingono ad intraprendere entro e oltre la soglia universitaria. "Percorso movimentato" è il titolo di una di queste opere (una grande scultura di Renato Barisani del 1999) che spicca, per mole e cromia, nel vasto spazio del cortile del Dipartimento di Lettere e Beni culturali che dal 2011 ospita, come un parco di sculture all'aperto, il gruppo selezionato delle "Aule dell'Arte" a Santa Maria Capua Vetere: un'esposizione di opere in comodato che lega, facendone da perno, le "aule" e gli spazi della didattica che vi si affacciano e che ribadisce, con la sua ineludibile presenza, l'importanza di tener sempre vivo e aperto il discorso nei luoghi della formazione (quanto a ricerca, didattica e comunicazione) sull'arte contemporanea. Oltre all'opera citata, quasi una metafora della formazione universitaria, è stato sempre Barisani ad aver aperto sulla soglia universitaria un "Varco", non meno che a proporci un "Salto sul bianco", come anche un momento di "Sintesi" a fianco all'aspirazione all'''equilibrio'' del funambolo, in costante oscillazione, del gruppo Quarta Pittura.

L'acquisizione di "Labirinto" di Gianni De Tora nell'alveo degli spazi universitari, in questo senso, non è stata solo un nuovo tassello di una preesistente proposta. "Labirinto" è venuta a creare un campo di forze.

Alla sua installazione hanno collaborato gli studenti del corso di laurea magistrale che, con Peppe Buonanno della Bunker Art Division, hanno tracciato 'diagonali', misurato 'distanze', visualizzato il cerchio che, nello spazio intermedio fra gli elementi, ospita il cubo bianco in vetroresina al centro dell' installazione. Le loro mani si sono aggrappate a quelle forme, per familiarità, sostegno, appartenenza, rivivendo un processo negli stadi di trasformazione della forma. La geometria del suo impianto, che richiama la "natura scenografica dell'universo di De Tora" (riconosciuta da Pierre Restany), assolutamente non auto-referenziale, ha aperto al gioco fra lo spazio interno dell'opera e quello dell'ambiente su cui insiste, seguendo un'attitudine coltivata dall'artista con particolare intensità soprattutto dagli anni '80. "Labirinto" è, infatti, un gioco di 'sequenze primarie', in linea con ricerche precedenti di De Tora concentrate sulla bidimensionalità della superficie pittorica, dove la geometria (come ha scritto nel 1970 Del Guercio) sembra "calata nelle familiari, attraenti imperfezioni del mondo fenomenico" ed è "essa stessa cosa fra le cose",

L'assolutezza formale che rende la sua opera "quasi architettonica" (come notò nel 1999 Gillo Dorfles) si concentra, nel caso del "Labirinto" esposto nella sede universitaria, sulle forme geometriche del quadrato, del cubo, dell'ovo come pure sui colori primari (giallo, rosso, blu) e sui 'non colori' nero e bianco in un insieme che nella definizione di 'labirinto' pienamente si riconosce. Una geometria "temperata e svincolata da qualsiasi tensione utopica" ?: ci chiediamo aggiungendo il punto di domanda ad una osservazione di Trimarco. Sembra darvi una risposta Mario Costa quando successivamente, nel 2003, ossia in concomitanza con la data di nascita effettiva del complesso plastico oggetto della nostra attenzione, scrive di De Tora alludendo ad un "geometrismo caldo ( ... ) che ha bisogno della materia per esistere" e che "si accampa concretamente nello spazio fisico". Ed è proprio così: "Labirinto" si è effettivamente 'accampato' nel cortile del convento di San Francesco a S. Maria Capua Vetere prendendo spazio, creando - come si accennava all' inizio - un campo di forze, attrattivo ma anche aperto all'interrelazione con gli studenti che sono liberi di guardarlo, “affiancarlo, attraversarlo.

A Santa Maria Capua Vetere Gianni De Tora aveva già aperto una 'finestra' proprio nel 2003 con la mostra dal titolo, appunto "The Window" presso la galleria Il Pilastro introdotta da un'opera intitolata, sembra non casualmente in omaggio ai luoghi della città, "Anfiteatro", ma è la dimensione del 'labirinto, piuttosto, ad imporsi nel tempo ed a ritornare più forte riprendendo una ricerca emersa sin dagli anni Settanta. "Ovo sequenza" del 1974, acrilico su tela, ed altri esperimenti analoghi dello stesso periodo, incrociavano già gli elementi strutturali del quadrato, del cerchio e della diagonale - centrali in molte sue opere della fase astratto geometrica sin da quella metà degli anni '70 - con la figura ovale, così come il principio della 'sequenza' che si fa ambientale nell 'uso di elementi colorati in legno nel 1981 ("Sequenza ambientale" fu allestita a Mestre nell'ambito di una mostra personale dell'artista casertano). Ma già nel 1983 la dinamica del labirinto si racchiude in una forma ovale con materia e colore colato essenzialmente pittorico:

"Ovo-Iabirinthus", tecnica mista su tela, già allora preservava in nuce un'idea, mentre altrove, anche in mosaico, si incarnava in segni diversi (cerchio, triangolo). La forma ovoidale scavata nel cubo bianco al centro dell' installazione ambientale del 2003, è una forma geometrica che accoglie acqua di mare e sabbia e riflette il cielo: fa da perno, visivo e simbolico, dei quattro elementi colorati del 'labirinto' che, in qualche modo, vi si affidano.

Nel 2004 alla mostra al Castelnuovo di Napoli, l'opera apriva il viaggio alla scoperta dell'artista (come scrisse Daniela Ricci), oggi spinge a ritornare nel suo grembo per affidarsi alla forza di un'intuizione sincretica, come fece lo stesso gruppo "Geometria e Ricerca" - di cui De Tora fu un esponente centrale - già nel 1977 quando, sul frontespizio del catalogo della mostra all' American Studies Centre, riportava la seguente frase di Galileo Galilei: "La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intendere la lingua, a conoscere i caratteri, nei quali è scritto. Egli è scritto nella lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto".

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Gerardo Pedicini
POESIA VISIVA ELABORATA DA GERARDO PEDICINI PER GIANNI DE TORA PRESENTE NEL CATALOGO DELLA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA ARTECOM DI ROMA NEL 1975

testo : ''come in attesa io, e tu sospeso nel tuo fiato grigio pensi che si possa incidere'' '' incidere è un verbo'' ''come tu dici, io odio le sottili credenze dei fatti: resta solo il correre, correre a perdifiato'' ''come nei sogni'' ''certo, come nei sogni'' ''o come nei film'' ''a volte m'accade ancora'' ''ma ora pensa ai bimbi'' ''guarda, le stelle sono bandiere di viaggio ed è già autunno''.

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POESIA VISIVA
ARTICOLO DI GERARDO PEDICINI APPARSO SUL QUOTIDIANO ''ROMA'' DEL 29 GENNAIO 1980 X RECENSIRE L'USCITA DEL VOLUME DI LUIGI PAOLO FINIZIO ''L'IMMAGINARIO GEOMETRICO'' ED. IGEI NAPOLI DEDICATO AL GRUPPO ''GEOMETRIA E RICERCA''

Un'antologia di L.P.Finizio – L'immagine come espressione di sintesi geometrica

Luigi Paolo Finizio, «L'immaginario geometrico - Gruppo Geometria e ricerca», Istituto Grafico Editoriale Italiano.

 

Analizzare origini e radici dei linguaggi espressivi storicamente determinatesi, specie in Campania, costituisce per la critica d'arte nazionale e non, al presente, l'unico atto per legittimare il proprio ruolo e la propria funzione. Ciò le ridarebbe nuova credibilità e porterebbe: di conseguenza, allo smascheramento di chi con gli strumenti della critica continua a perpetuare nuovi riti propiziatori. Pratica questa costante della critica d'arte nazionale che ha inteso così operare una progressiva ma penetrante emarginazione di quanto di nuovo la cultura visiva da noi ha espresso ed esprime. Tanto si evidenzia ne «L'immaginario geometrico» di L.P. Finizio, edito dall'I.G.E.1. Ma l'indicazione è e resta solo di metodo. Anzi, sullo sfondo. Infatti assumendo come specchio d'indagine l'attività di sette operatori estetici napoletani e, specificamente, di Barisani, G. Tatafiore, Testa, Di Ruggiero, Trapani, De Tora e Riccini, l'autore del capitolo introduttivo ('' Dal '50 un filo di storia per sette artisti''), ripiega in un percorso storico e accentra i quattro quinti dell'introduzione nell'analisi del Gruppo M.A.C. napoletano, di cui fecero parte Barisani,Tatafiore, Venditti e De Fusco. Opera cioè una conversione storica che non lascia spazio d'indagine alle forme espressive degli altri operatori che restano confinati e marginali al contesto del M.A.C. Questa scelta, a dir poco, è discutibile: in quanto non si può, come ha fatto Finizio, accettare le ragioni, anche se generiche, di un Gruppo, quello di «Geometria e ricerca», per poi ignorare o disconoscere valori, se ce ne sono, o limiti. Il che poteva essere evitato con l'indagare su un piano estetico le ragioni espressive, oltre che sociologiche, del permanere di una area di ricerca «astratta» in Campania e partendo da queste, arrivare alle origini. Ciò avrebbe di fatto, anche comportato una analisi più circostanziata sul linguaggio artistico di questi anni che, invece, resta confinato nelle sole citazioni nominali. Ma si può dire di più: partendo dalle premesse anche storiche dell' «operare con geometria» si potevano far scaturire nuove emergenze e nuove polarità linguistiche che avessero la forza e la pregnanza indicativa di dialetticizzare vivacemente e, pertanto, di individuare le forme culturali nuove con cui, oggi, la linea «geometrica» si muove e con cui può ancora legittimamente definirsi: il che avrebbe significato anche operare scelte discriminanti col porsi sul tessuto dell'indagine estetica più che sul piano di una critica storica. Che l'attenzione, anche con questa ottica di riflessione, poi necessariamente si sarebbe spostata sull'attività del M.A.C. sarebbe risultato più giustificato. Forse l'autore non ha sufficientemente vagliato, preso dalla sua volontà storica, le motivazioni che nel '76 portarono alla costituzione del Gruppo «Geometria e ricerca». Che erano motivazioni operative principalmente, così come furono definite in una lettera alla rivista «Arte e società» da Riccini. Il bisogno di stare insieme nasceva dai nuovi fermenti culturali che in quegli anni si erano determinati in Campania con la manifestazione «Napoli - situazione '75», coordinata da Crispolti e dal sottoscritto, e dalla necessità, quindi, per chi si poneva «sulla linea di continuità storica del linguag- gio -geometrico» di trovare una propria centralità espositiva. Gli operatori del Gruppo «Geometria e Ricerca» cioè avvertivano nelle nuove forme espressive, del «sociale», tempi nuovi con i quali con- frontarsi e misurarsi. Quindi si ponevano le ragioni del proprio «metodo» di lavoro. E lo stare insieme doveva significare individuare un' «ipotesi costruente sul valore didattico e politico» della geometria, quindi come «confronto sul linguaggio specifico». Il che comportava anche rivendicare una matrice propria in questo campo. E col rifarsi al manifesto del 1954 «Perchè arte concreta» dei concretisti napoletani ciò era possibile. Di fatto in esso il M.A.C. napoletano poneva la distinzione tra «rappresentare» e «formare». Con questa distinzione il M.A.C. legittimava la propria presenza nella società come ''impegno morale di partecipazione'' con esprimere «la coscienza di essere nella realtà». «Formare» quindi per loro si identificava con l'agire». Il che era assente nella concezione del M.A.C. lombardo.

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Gillo Dorfles
DALLA CONFERENZA TENUTASI ALL'ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA DI NAPOLI IL 5 GENNAIO 1996 IN OCCASIONE DELLA RICOGNIZIONE DEL GRUPPO GEOMETRIA E RICERCA A CURA DI MARIANTONIETTA PICONE PETRUSA

(...)Il merito di questi artisti napoletani è stato quello di opporsi all'informale che stava diventando troppo generalizzato. Opporsi all'informale o attraverso un'astrazione limpida e lucida (…) oppure più concettualizzata oppure un'astrazione non tanto geometrica quanto un costruttivismo architettonico come quello di De Tora.

La sintesi di questa mostra credo sia quella di notare l'importanza del gruppo Geometria e Ricerca nell'opporsi al dilagare dell'informale, nel recuperare un'aspetto anche architettonico della pittura.(...)

LETTERA DI GILLO DORFLES DICEMBRE 1998  CATALOGO - PIEGHEVOLE 
MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA "AVIDA DOLLARS" – MILANO - 199

Caro De Tora,

conoscevo bene i tuoi lavori - così calibrati, esatti, rigorosamente costruiti - che si apparentavano in parte alle prime realizzazioni "geometrizzanti" del MAC napoletano. Ma non conoscevo ancora il tuo nuovo lavoro dove da un lato, il rigorismo non viene mai meno; ma dall'altro, il colore si intensifica per l'uso di strutture metalliche, di acciaio, di legno, che, in certo senso, conferiscono all'opera quella assolutezza formale che la rende quasi "architettonica" e, a mio avviso, aprono la strada alla possibilità d'una più mutevole e mena rigida concezione dell'elemento spaziale; come, in parte mi era parso d'intravedere già a partire da alcune delle tue "carte" - a base di tempera, acquarello e polvere d'oro- dell '84 così raffinatamente pittoriche. Ma c'è soprattutto un aspetto nuovo che vorrei segnalare e che forse tu stesso non apprezzi sino in fondo: la presenza di una inedita "apertura" verso l'indeterminatezza e l'asimmetria, che si rivela, ad esempio, nella "croce strabica".

Ebbene, questo lavoro - pur altrettanto limpido e calibrato delle altre tue recenti creazioni - mi sembra dimostrare una volontà di sottrarti alla inflessibile costrizione della "simmetria" (quella che William Blake definiva la "fearful symmetry": spaventosa simmetria) e del rigorismo geometrico, per affrontare pur nella fedeltà dell'impostazione astratta e non figurativa - una via più pronta ad adeguarsi all'epoca - così drammatica e poco "equilibrata" - in cui viviamo.

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Gino Grassi
ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO “ROMA “ PER RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE PRESSO LA GALLERIA LA PARETE DI CAIAFA -1971

GIANNI DE TORA ALLA "PARETE"

 

Gianni De Tora. artista di cui mi sono occupato più volte in questi ultimi tempi (fu selezionato da Guttuso, Crispolti e De Grada per la grande mostra della Nuova Figurazione di Caserta) fa, in una rassegna personale allestita presso un nuovo centro culturale ed artistico sorto in via Tarsia «La parete» di Caiafa, un consuntivo della propria operazione. De Tora affronta i temi più vivi dell'inquietudine contemporanea (la mancanza di uno spazio vitale, l'alienazione, 1'oppressione dei consumi, la libertà calpestata) e registra sulla tela le sue reazioni di rappresentante di una generazione che rifiuta l'integrazione e che si pone in posizione critica nei confronti dei gestori di ogni forma di potere. De Tora procede ovviamente nella ricognizione di questa realtà mediante simboli più o meno intelleggibili e più o meno identificabili. Laddove l'artista si lascia prendere la mano da stati chiaramente emozionali l'opera viene a risentirne; ma, quando De Tora raffredda le emozioni ed elabora con distacco la propria operazione demistificatoria, anche il linguaggio è più valido e di più facile comunicazione. Alcune delle opere presentate mostrano una grande raffinatezza creativa ed un rigoroso senso volumetrico. Ci troviamo di fronte ad un artista che può dire una parola importante nel contesto dell'arte meridionale.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO “ROMA” DI NAPOLI DEL 25.5.1975 PER RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA GANZERLI DI NAPOLI

Il mondo sferico di Gianni De Tora

In corso allo studio Ganzerli la personale di un interessantissimo artista che indaga sulle forme geometriche-Ricerca del naturale

 

Lo studio Ganzerli conclude una stagione interessantissima con una personale di Gianni De Tora, un artista che ha sviluppato in questi anni recenti, un proprio originale modulo e si presenta con le carte in regola agli appuntamenti più importanti.

Poco più che trentenne, De Tora compie un'operazione sulle forme geometriche, con particolare interesse per la sfera. L'impegnato artista ha compiuto tutta intera la propria evoluzione. Partito, infatti, da posizioni tardo-realistiche De Tora, dopo un breve intervallo espressionistico, ha iniziato un discorso sulla forma e sull'idea della forma. Il punto focale dell'indagine di De Tora è, come ho detto, la sfera. Che é il punto di arrivo di elementi spesso contrapposti. Per la sua circolarità, infatti, la sfera è legata al Naturale, ma, per la segmentazione in triangoli o in altri poligoni, la sfera è legata al Razionale. Insomma essa è il punto di incontro fra elementi a priori ed elementi a posteriori, fra lirismo e ragione, fra regola e fantasia. De Tora con i suoi affascinanti teoremi ci dimostra di aver saputo cavare la poesia dalla forma obbligata e di aver cominciato ad approfondire la filosofia della forma. Come a dire che una ricerca può trasformarsi talvolta in un'indagine concettuale.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO ''ROMA'' DEL 14 APRILE 1976 X RECENSIRE LA COLLETTIVA ''CAMPANIAPROPOSTAUNO'' SVOLTASI NELLA GALLERIA VANVITELLI AL VOMERO NAPOLI DALL'11 APRILE AL 2 MAGGIO 1976

Una grande mostra -happening

''Campania proposta uno'', un tentativo di sondaggio popolare sui problemi estetici e del territorio, ha avuto il decollo domenica nella galleria Vanvitelli

 

"Campania proposta uno'' , un tentativo di sondaggio dell' opinione pubblica sull' arte come possibilità concreta di coinvolgere le grandi moltitudini non soltanto all' evoluzione dei procedimenti estetici ma anche alla politica del territorio, ha avuto il proprio decollo domenica nella galleria Vanvitelli al Vomero dove una grande mostra-happening ha fatto da perno ad una serie di manifestazioni in parte concettuali. Ma non partecipano a questa vitalissima manifestazione (che ha avuto l'appoggio caldo e convinto dell' assessore regionale al turismo ed alla cultura De
Feo) soltanto molti tra i più agguerriti artisti napoletani ma anche gruppi di teatranti che articoleranno un discorso impegnato che si snoderà lungo tutto l'arco di questo mese e si concluderà ai primi di maggio. Bruno Turchetto è l'ideatore di questo singolare intervento che ha avuto una partenza felice anche per la collaborazione che gli artisti e i gruppi di impegno hanno dato alla manifestazione. Certo, il coinvolgimento globale può provocare contraddizioni ma è anche chiaro che ogni libero e spontaneo intervento non fa che fungere da verifica nel rapporto arte-società e territorio-coscienza della funzione civile da parte dei cittadini. Alla mostra vera e propria parte- cipano, tranne poche eccezioni (Alfano, De Stefano, Pisani e qualche altra grossa personalità dell'arte napoletana) quasi tutti gli artisti campani. Analizzare, caso per caso la partecipazione di pittori dei quali abbiamo quotidianamente parlato negli ultimi dieci anni è quasi impossibile e non è questa l'occasione per scoprire un Luciano Caruso o un Persico, un Lippi o uno Spinosa. Diremo che tra gli esperimenti più interessanti poniamo quello del Gruppo di Salerno (Davide, Chiari, Marano e Rescigno), il ''Progetto del mare" (Canale, Lizio, Longobardo, Massa e Mario Tatafiore), la «Pro-art» (Castellano, Ciro Esposito, Eugenio Esposito, Gravina, Lista, Mele, Pisano, Scartezzini, Silvari e Terracciano). Tra i partecipanti singoli citerei Rocco Grasso, Antonio Fomez, Annibale Oste, Salvatore Paladino, Maria Roccasalva, Enrico Bugli, Luciano Caruso, Gerardo Di Fiore, Salvatore Emblema, Riccardo Riccini, Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Domenico Spinosa, Guido Tatafiore, Riccado Trapani. Tra gli anziani da ricordare Notte, Lippi e Corrado Russo. Tra le pittrici la Balatresi, la Panaro, la Ciardiello e la Trapani. Ancora: Paciolla, De Falco, Galbiati, Aulo Pedicini, Felice Piemontese, Bruno del Monaco, Mimmo Jodice, Bruno Patanè, Vitagliano e qualche altro ottimo artista di cui ora non ricordo il nome.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL ROMA DI NAPOLI DEL 24.2.1977 X RECENSIONE MOSTRA COLLLETTIVA DEL GRUPPO GEOMETRIA E RICERCA ( SENZA TRAPANI) ALL'AMERCIAN STUDIES CENTER DI NAPOLI DALL'11 AL 28 FEBBRAIO 1977

le nuove strade dell'arte- L'ASTRAZIONE E IL PROCESSO AL “QUADRO”

 

Significativa mostra intitolata “ Geometria e ricerca” all'American Studies Center : vi partecipano sei tra i più interessanti rappresentanti della ricerca astratta . Barisani, De Tora, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore e Testa. Quando l'investigazione estetica sconfina nella concettualitò. L'inserimento nella realtà urbana.

 

 

“Geometria e ricerca” è il titolo di una mostra alla quale partecipano sei tra i più significativi rappresentanti della ricerca astratta in Italia. I protagonisti di questa importante manifestazione sono tutti e sei napoletani e portano avanti, ciascuno per conto suo e con investigazioni personalissime, un discorso nuovo nel contesto delJe operazioni neo-astratte e costruttivistiche. Gli artisti che partecipano all'originale col- lettiva (che si svolge nelle ampie sale dell' American studies center) sono: Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Riccardo A. Riccini, Guido Tatafiore e Giuseppe Testa. Bisogna aggiungere, per onestà, che questo gruppo di ricerca è nato dopo una serie di fortunate personali allo Studio Ganzerli, e il successo riportato nonchè l'affinità della investigazione hanno convinto Barisani e i suoi prù giovani amici a presentarsi uniti al giudizio del pubblico in uno spazio assai più vasto che, forse, solo l' “American studies center” poteva offrire. Sul frontespizio del riuscito catalogo che l'Istituto americano di Napoli ha dedicato alla mostra è citata una frase (abbastanza indicativa) di Galileo Galilei: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intendere la lingua, a conoscere i caratteri nei quali è scritto.

Egli è scritto nella lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. Su tutti e sei i protagonisti di questa rassegna sono più volte intervenuto con commenti critici- è necessario tuttavia fare il punto su queste operazioni mettendo in rilievo altresì gli sviluppi più recenti di un discorso che apre all'arte strade (forse) inesplorate.

Renato Barisani presenta le sue creazioni più recenti. In questi lavori felici del geniale artista (che è passato dall'astrazione vera e propria ad una indagine neo-costruttivistica) è possibile verificare non solo una nuova idea di forma ma una nuova visione dello spazio e della luce, cui va aggiunto, fatto importantissimo, un senso assai spiccato della funzione. In queste direzioni ultime Barisani usa soltanto tonalità bianche e nere per far meglio risaltare la funzione plastica del “quadro”. Le opere neocostruttivistiche di Barisani sono chiamate dal suo autore “Strutture modulari”, perché pur possedendo una morfologia ben definita, si prestano a sempre nuove elaborazioni in cui la partecipazione del fruitore diventa fondamentale. Insomma, il consapevole artista fornisce le strutture - base (da riprodurre pure in serie): spetterà a chi entra in possesso delle sculture di operare una scelta compositiva. Ma questo è solo un lato della ricerca di Barisani. L'importante è
che il geniale artista compie la propria investigazione sulla forma in funzione del suo inserimento nella realtà urbana. Come a dire che la ricerca di Barisani non solo sconfina nell'architettura e non tende a rimanere pura creazione estetica ma cerca di avvicinarsi quanto più possibile al tessuto sociale investendo in pieno i grandi problemi dell'uomo (italiano) di oggi.

UNA NUOVA IDEA DELLA FORMA

Gianni De Tora è una delle più inattese rivelazioni nel campo specifico della ricerca astratta. Ha compiuto passi da gigante in un periodo limitatissimo di tempo. Partito da posizionì espressionistiche, De Tora ha iniziato un discorso sulla forma e sulla filosofia della forma riuscendo ad affrancarsi dai problemi di pura staticità e ad entrare nel vivo delle trasposizioni cinetiche degli elementi fondamentali della geometria, principalmente la sfera, cerchio ed il triangolo. De Tora si serve del colore in maniera assai intelligente per giungere ad un punto di 'fusione surreale' tra "il dato razionale- che è offerto da corpo geometrico preso come tale e il dato naturale”. In sostanza De Tora cerca di far coincidere tutto ciò che è 'a priori' (tra cui la circolarità: la palla, i pianeti, etc.) con ciò che è 'a posteriori' (cioè nato dalla ragione). Una identificazione, quasi perfetta. Tra “regola” e fantasia.

Carmine Di Ruggiero è un artista di complessa personalità e di approfonditi orientamenti. Il suo cammino ha seguito una evoluzione sicura e non subito né tentennamenti né contraddizioni. Partito da un informale di personalissima elaborazione, Di Ruggiero s'è orientato prima verso operazioni 'new dada' poi ha debordato verso l'analisi della forma razionalizzata. Da qualche anno Di Ruggiero indaga sul triangolo. E' chìaro che, addentrandosi nell'indagine matematico-filosofica, l'impegnato artista doveva per forza giungere ad un discorso di questo tipo. Per i pitagorici il triangolo fu il simbolo di ogni perfezione. Di Ruggiero adopera questo elemento per due operazioni distinte: una prima, spaziale-mateanatico-filosofica (il triangolo come armonia e il triangolo come rappresentazione di una perfezione socio-razìonalistica); una seconda, puramente segnica, il triangolo diventa un elemento alfabetizzato, un simbolo di codice come il 'formicone' di Capogrossi e vengono fuori composizioni di alta creatività (specie le ultime) che io considero vere e proprie “sinfonie segnico-coloristiche”.

Riccardo A. Riccini, in una personale allo studio Ganzerli è un giovane artista schivo ed introverso ma assai ricco di talento. Riccini opera nel contesto dell'astrazione ma la sua è più un'analisi critica che cerca di affrontare ciò che avviene a monte dell'opera d'arte. Un problema, come si vede, tutto concettuale. Lo dice lo stesso Riccini: “Ho sempre lavorato, prima dell'immagine, sotto, a saggiare l'articolazione del costituirsi del senso interno della pittura nei rapporti della dialettica produttiva: dopo il momento ('65-'67) della "immaginazione" tra automatismo e associazione iconica analogica, dopo la convenzione rappresentativa ('73, prospettìve) tendo ora a dipingere le relazioni tra materiale e procedimenti.....”

FILOSOFIA DEL TRIANGOLO

Guido Tatafiore, che fu con Barìsani il fondatore del Gruppo astratto-concreto dopo la parentesi in seno al Gruppo Sud, è ritornato alla grande ribalta dopo qualche anno di voluto silenzio. Oggi egli ha imboccato la strada neo-costruttivistica con una impostazione concettuale. Come a dire che, al di là delle analisi sui corpi geometrici, Tatafiore punta ad un «distinguo- tra un “tempo pubblico” e "un tempo privato” inserendo, in questo contesto, il colore. Una maniera originale per riabilitare l'apporto coloristico. C'è poi in Tatafiore un ritorno al “quadro” come elemento di confluenza di situazioni più disparate. Tatafiore rimane un artista geniale, che cerca di fondere elementi puramente fantastici con altri dedotti dall'analisi razionale della realtà.

Giuseppe Testa è un ricercatore di notevole capacità analitica che tende ad un inserimento delle sue investigazioni astratte in un modulo architettonico. Le 'linee-forza' di Testa tendono a costruire e costituire uno “spazio razionale” che si identifica in una situazione mentale. Quindi nessuna frattura tra progettazione e opera stessa.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO''ROMA'' DEL 8 FEBBRAIO 1977 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA '' LINEA-ARTE'77'' PRESSO IL CIRCOLO ARTISTICO POLITECNICO DI NAPOLI DAL 2 AL 9 FEBBRAIO 1977

''Linea-arte '77'' e la situazione pittorica nella nostra città

 

E' utile una mostra senza scelte precise, la quale si rifugia in una posizione di antologismo? Questa è la prima reazione del recensore che deve dare un proprio giudizio sulla collettiva ''Lineaarte '77: fatti ed immagini della cttà '', curata da Salvatore Di Bartolomeo e Angelo Calabrese per conto del Circolo Artistico Politecnico. I due critici, che si sono assunti l'oneroso incarico di allestire la mostra, sono convinti di aver organizzato una grossa manifestazione in una città che manca nel modo più assoluto di strutture artistiche pubbliche e di iniziative culturalì e contestano la nostra amichevole accusa di non aver voluto procedere a delle scelte. Essi si difendono affermando di aver dato un panorama quasi completo dell'attuale situazione artistica a Napoli. Aggiungono di aver cercato, nei limiti del possibile, di fare qualcosa di buono lasciando chiaramente comprendere che hanno dovuto lottare contro la ''linea conservatrice'' del Circolo Artistico. Riconosco che alla mostra partecipano molti artisti di classe ma che senso ha, per lo stesso Circolo, riproporre nomi di pittori che hanno fatto il loro tempo o che sono stati chiaramente bocciati per immaturita o inadeguatezza? Certo, nella prima sala ci sono opere di notevole valore appartenenti ad artisti che tutti conosciamo e che rispondono ai nomi di Barisani, Bugli, Di Ruggiero, De Tora, Notte, Trapani, Oste, Paciolla, Izzo, Oscar Pelosi, Vitagliano, Biocini, Clara Rezzuti, Panariello, Lezoche, Jodice, Grasso, Fomez, Balatresi, la Ciardiello, Rosa Panaro. Ci sono ancora Nìno Ruju, i tre Mazzella, i Catelli, Massanova, la Nemea e altri. Non sono presenti, comunque, De Stefano, Spinosa, Alfano, Pisani e altri noti, giovani maestri. Il fatto è che il Circolo Artistico Politecnico non può continuare a regolarsi come se vivessimo ancora ai tempi di Galante. Non può pensare di riuscire a calamitare, intorno ad una organizzazione vetusta, il meglio dell'arte napoletana come poteva accadere, forse, mezzo secolo fa. La situazione è profondamente cambiata e, naturalmente, questo discorso vale anche per la ''Promotrice Salvator Rosa" e per qualche altro ente che colleziona mostre di pittori storicizzati quando non semidilettanti. Basta con le baronesse che fanno le pittrici e con l'esaltazione del peggiore cattivo gusto. Il pubblico napoletano è diventato maggiorenne e credo che siano cambiati anche i soci del Circolo Artistico. Occorre ringiovanire le strutture e far entrare un po' d'aria nuova. Mi rendo conto che gli amici Di Bartolomeo e Calabrese, bloccati da un muro di pregiudizi, si sono trovati nell'impossibilità di fare quelle scelte che erano necessarie per dare un senso alla mostra. Ma le scelte, purtroppo, non sono state fatte. Il perchè di tutto ciò può aver valore sul piano umano, non su quello critico. Le mostre, se hanno una funzione, è soltanto quella di presentare quanto di nuovo si verifica nel campo della creatività pittorica. Sarebbe lo stesso che, alle esposizioni di moda (è chiaro che il paragone ha un valore puramente dimostrativo) si presentassero vestiti degli anni scorsi. Non ce la prendiamo quindi con i rappresentanti di vecchie mode pittoriche: essi sono egregie persone e artisti da rispettare. Una manifestazione, però, pubblica è un episodio che non può tener conto dei fatti personali. La presidenza del Circolo Artistico lasci mano libera ai due critici. Poi si vedrà se una mostra non è riuscita per mancanza di idee degli organizzatori o per mancanza di fiducia negli stessi da parte del sodalizio di piazza Trieste e Trento.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL ''ROMA'' DEL 25 MARZO 1978 X RECENSIRE LA COLLETTIVA '' LA LINEA ITALIANA ASTRATTO-CONCRETA'' AL CIRCOLO ARTISTICO POLITECNICO DI NAPOLI ORGANIZZATA DAL CENTRO CULTURALE ''LO SPAZIO'' DAL 15 AL 29 MARZO 1978

Presentata la linea Astratto-Concreta

L'avanguardia storica italiana in una bella mostra a Napoli

La manifestazione in corso al Circolo Artistico – Presenti artisti tra I più importanti del dopoguerra da Turcato a Santomaso, da Morlotti a Spinosa, da Vedova a Carmi a Scanavino- La partecipazione dei pittori napoletani

 

La mostra organizzata al Circolo Artistico, per presentare ai napoletani le opere di parecchi dei rappresentanti più illustri di quella che possiamo definire ''La linea italiana astratto - concreta'', è di ragguardevole importanza perché consente al pubblico della nostra città di farsi un quadro abbastanza preciso di tutto un periodo felicissimo della ricerca pittorica nel nostro Paese e perchè aiuta a sfatare il mito di un movimento artistico nato altrove e riprodottosi in un secondo momento dalle nostre parti, sia pure con caratteristiche diverse ed autonome. Solo se si pensa che un Burri ed un Dorazio hanno preceduto di parecchio i famosissimi americani e che Rauschenberg trovò in Italia la scintilla per le sue geniali invenzioni, ci si può rendere conto del ruolo assolutamente originale svolto dal ricercatori italiani nel portare avanti una linea avanguardistica che avviasse la sostituzione dei codici linguistici tradizionali e che si identificasse nel mutato modo di sentire e di comportarsi della parte più avanzata del Paese.

Correlazione

E' chiaro che esiste una correlazione tra i vari movimenti avanguardisti e americani ed europei e che non si può parlare di ricerca astratto - concreta senza ricordarsi di Pollock, di Rotkho, di Klein, di Mathieu, di Wolls e di Fautrier. Ma è anche da riconoscere che le prime indagini astratto - concrete furono condotte autonomamente dagli artisti italiani, i quali, rifacendosi ad esperienze proprie (non escluso il Futurisme che soltanto oggi comincia ad essere valutato in maniera adeguata alla funzione che ha ricoperto nell'aprile la strada delle indagini più coraggiose) diedero alle ricerche un carattere personalissimo ma in linea con le nostre tradizioni storiche. Merita perciò un alto elogio Gerardo De Simone il quale, dopo aver presentato in questi ultimi anni ai napoletani molti dei protagonisti dell'avanguardia storica del nostro Paese, ha voluto riunire le opere di tante grosse personalità della nostra arte per farle conoscere a quella parte della città che per un motivo o per un altro non aveva potuto ammirare i quadri esposti nelle varie importanti mostre che ''Lo Spazio'' ha allestito in questi ultimi anni. Certo, non sono presenti tutti i grossi esponenti dell'arte italiana astratto - concreta che in queste più recenti stagioni hanno tenuto le personali a Napoli: De Simone li avrebbe presentati tutti ma non sarebbe allora bastato il salone del Circolo Artistico: ci sarebbe voluto Palazzo Reale. A ciò bisogna aggiungere che Napoli vanta alcuni grandi esponenti della ricerca informale ed astratta e più di un giovane di sicuro avvenire: sarebbe stato partico- larmente grave non presentare questi artisti in una mostra che ha l'ambizione di fare il punto sull'avanguardia storica e sui suoi sviluppi più recenti. Mancano quindi i nomi di Mandelli, Ilario Rossi, Moreni che hanno recitato una parte da protagonisti sulla ribalta artistica italiana, ma sono presenti Carmi, Turcato, Santomaso, Scanavino, Vedova, Bendini, Barisanì, Morlotti, Scordia, Spinosa, Pozzati, Di Ruggiero, Emblema, De Tora, Riccini, Girosi, Saporetti, Corsaro. All'americano Ruff è dedicata la sala personale: egli presenta solo pastelli.

Nuovi codici

Chi sono e in che cosa consiste la ricerca degli artisti presenti in questa mostra? Prendiamo Carmi, Carmi è un ricercatore il quale si rende conto che la funzione dell'artista, in un'epoca come la nostra è necessariamente modificata non soltanto nei confronti di quello che fu l'artista romantico che presumeva di essere il depositario della creatività (una specie di personaggio folgorato dal genio) ma anche nei riguardi dello stesso artista dei nostri tempi che è convinto di trasmettere, comunque, un messaggio morale. Se sembra accertato che tra invenzione e scoperta la differenza è colossale e che il pittore o l'operatore artistico non inventa un bel nulla ma indaga nei più riposti recessi di se stesso cavandone sperimentazioni soggettive o oggettive sempre legate ad un tipo di comunicazione ristretta o allargata ai più, è ugualmente chiaro che la creatività è la capacità dell'artista di stabilire un codice quanto più comunicativo possibile: un codice di semplici segni o di segnali catalogati. Turcato dal canto suo ha dimostrato che gli alfabeti usati non sono i soli e definitivi. Spetta all'artista. creare il proprio codice linguistico, identifìcare (come crede) i fenomeni, verificare i dati della memoria, ricostruire cifrari smarriti nel grande pozzo del subconscio. L'artista, dunque, per Turcato non tende più a rappresentare la realtà attraverso i codici storicizzati ma può ricorrere a libere riunioni di segni. Mentre Capogrossi adoperò una semiologia ritmica e monologica. Turcato dà sfogo alla sua grande vena creativa attraverso una semiologìa autonoma. Santomaso, come Burri, arriva invece alla conclusione che non bisogna discostarsi dalle ''cose''. Se le cose hanno una loro precisa ragion d'essere; se la natura ha un suo segreto ordine; se la forma, nella sua situazione dina- mico - plastica, è a rappresentazione meno errata di ciò che avviene all'interno delle cose: se tutto è riducibile a struttura, colore e luce, vuol dire che l'uomo artista non può procedere a tentoni ma ha il dovere di fissare un rapporto tra la ragione e le cose. Scanavino, attraverso la tortuosa immagine di fili che si aggrovigliano e si disperdono come in un misterioso labirinto, ci dà l'idea di quello che può essere il nostro subonscio, punto di incontro e di scontro di memorie ancestrali e di traumi precoscienti, di scure turbe e di lancinanti frustrazioni. Vedova, ''pittore – contro'', cerca di semplificare al massimo la comunicazione e sente l'urgenza di nuovi mezzi; non teoriche elucubrazioni ma indagini aperte, caricate volta per volta di nuovi apporti, dove l'esperienza di ognuno interviene, aggiunge riferimenti. La pittura deve trovare nella sua implicità un messaggio (non falso socialista, ma. neppure dettato dal mercato; il quale risponde soltanto alle proprie leggi). Morlotti ha preso chiaramente posizione per una pittura che cerchi di approfondire le tensioni interne dell'organico, sempre come operazione riflessa di una indagine mentale) a monte dell'opera d'arte. Cosa sarebbe la nostra vita se non ci fosse un rapporto tra l'uomo e le tracce che la ''preconoscenza'' ha lasciato dentro di lui e negli altri angoli segreti dell'esistenza naturale?. Barisa- ni tende a ridurre tutto a ''forma primaria'' ma riesce tuttavia a trovare anche un punto di incontro tra il razionalismo astratto ed il dato ''naturale''. L'artista, insomma, vuol dimostrare che è possibile verificare non soltanto una nuova idea della forma ma anche una nuova concezione dello spazio e della luce in una situazione di modifica dell'attuale tessuto esistenziale. Scordia articola il gioco delle forme da vero maestro in una situazione di attrazione reciproca dei volumi e nella rivalutazio- ne degli elementi plastici.

I napoletani

Artisti di alto livello anche Bendini, Pozzati e Corsaro il primo per aver portato avanti un discorso materico di estremo interesse; il secondo per aver liberato la figurazione dalle ipoteche di un estetismo fine a se stesso; per Emblema, assodato che l'arte è luce, perché il colore è luce e l'arte è colo- re, diventa importante ''recuperare'' il colore della fisicità del reale, recuperando la luce. Attraverso la ricerca sulla trasparenza. Spinosa, il più noto degli informali napoletani, ci ricorda che la materia è l'origine di tutte le cose. Dunque, la materia è vita, è forma, è bellezza, è morte. La morte è una finzione: tutto ritorna al ruolo primario dell'esistenza attraverso l'unica grande legge del mondo: la metamorfosi. Di Ruggiero opera a due livelli sui triangoli che vengono, da un lato, reinventati come elementi segnici di un discorso neo - astratto e da un altro lato assumono il valore di forma primaria ma con precisi connotati concettuali. Interessantissimo Walter Saporetti, un pittore ''esploso'' con ritardo ma che mostra una personalità ed un talento indiscutibili. A livello linguistico Saporetti si esprime, come ho già detto, attraverso una ripresa personalissima dell'informale materico - plastico. In parole povere Saporetti non solo mostra di aver compreso che l'ideale da seguire è quello di realizzare opere che siano nello stesso tempo di scultura e pittura, ma tende a manifestare una sua maniera assai originale per mettere a fuoco un proprio modulo pittorico – plastico. Che tende a rappresentare situazioni geologiche, biologiche ed endogene dove l'occhio umano non riesce a giungere e dove forse arrivano soltanto l'occhio meccanico dei ricercatori scientifici e la fantasia dei poeti dell'immagine. Saporetti deve essere considerato uno di costoro. Egli ci trasporta in mondi sconosciuti ci fa scoprire nuove costellazioni tonalì, si cala, come palombaro, nel segreto dei microrganismi, esplode in una congerie di situazioni fantascientifiche. Ecco perché Saporetti mi sembra un talento ritrovato. Riccini è un giovanissimo, ricco di intelligenza creativa e di non comune capacità percettiva. La sua ricerca astratta si essenzializza in una indagine teoretica su idee di forma messe a confronto. De Tora porta avanti un discorso lucidissimo sulla dinamica delle forme primarie. Girosi, tra i più popolari artisti napoletani, cerca di identificare nell'essenzialità della sua pittura cosmica i punti di riferimento più sconvolgenti della nostra vicenda terrena: il principio e l'epilogo. Ruff, cui è dedicata una sala, è un artista che si pone in una chiave abbastanza evidente di verifica di certe situazioni estetiche di ''rottura''.

ARTICOLO DI GINO GRASSI DEL 16 GENNAIO 1980 APPARSO SU NAPOLI OGGI X RECENSIONE DELL'USCITA DEL VOLUME DI LUIGI PAOLO FINIZIO '' L'IMMAGINARIO GEOMETRICO'' ED. IGEI DEL 1979/1980

Sette pittori vogliono cambiare Napoli

 

Nel cornposìto panorama della ricerca artistica a Napoli ci sono artisti che hanno svolto e svolgono una funzione esclusivamente evolutiva, nel senso che la loro azione creativa non é mai stata (e non sarà mai) di raccordo ma sempre di progresso. Tra gli artisti dell'avanti ad ogni costo ci sono certamente Renato Barisani, Carmine Di Ruggiero, Gianni De Tora, Riccardo A. Riccini, Guido Tatafiore, Riccardo Trapani e Giuseppe Testa.

Barisani, Di Ruggiero e Tatafiore sono ricercatori che hanno, dietro di loro, un passato di successi; gli altri sono pittori giovani che, tuttavia, hanno dato ben conto del loro talento e del rigore che informa la loro azione artistica. Ora, tutti insieme questi artisti, hanno dato vita ad un gruppo, "Geometria e ricerca", che già in pochi anni si é segnalato all'attenzione del pubblico più raffinato e della critica più vigile. L'operazione dei sette consapevoli artisti tende alla rivalutazione della ragione e, pur senza processare il quadro (al contrario delle avanguardie concettuali), i sette pittori di "Geometria e ricerca" puntano ad una rivalutazione dell'artista nel "sociale", mediante l'analisi dello spazio che poi non é altro che rioccupazìone razionale del territorio. È evidente che ci troviamo di fronte ad un'analisi teoretica che, tuttavia, finisce per giovare a tutta un'area di ricerca, specie in una città come Napoli, dove sono ancora da creare strutture sociali valide ed atte a far superare la spaventosa involuzione. Su questo gruppo di geniali artisti é uscita una monografia acutissima e documentata di un critico raffinato, Luigi Finizio.

Renato Barisani é un artista la cui storia personale si identifica con quella dell'avanguardia napoletana: tutta una vita spesa per la causa del rinnovamento e della modifica del tessuto culturale della città. Barisani si mise in luce intorno, agli anni cinquanta, quando, dopo aver fatto parte del "Gruppo sud" (che aveva fatto esplodere le contraddizioni tra la vecchia cultura artistica post - novecentista e la necessità di una nuova riconsiderazione del reale) si pose ancora più all'avanguardia nel rinnovamento delle arti pittoriche, visive e plastiche, dando vita al Gruppo Astratto - concreto che contribuì non poco al chiarimento delle posizioni non solo nel Mezzogiorno ma a livello nazionale. Del Gruppo Astratto - concreto fecero parte, oltre a Barisani, artisti del livello di De Fusco, Guido Tatafiore e Venditti, i primi due, pittori; il terzo, scultore. Ma si tratta di una catalogazione troppo sommaria in quanto tutti e quattro gli artisti potevano, fin da allora, essere considerati nello stesso tempo ricercatori dell'immagine ed operatori plastici. Peraltro, essendo tra le personalità che in quel tempo cominciarono a portare avanti l'indagine oggettuale e visiva, Barisani, De Fusco, Tatafiore e Venditti rappresentarono praticamente, assieme a pochissimi altri, gli antesignani della fusione tra operazioni bidimensionali e polidimensionali.

Al punto in cui é giunta la ricerca in questo campo, tutto può sembrare facile e naturale: sia la razionalizzazione del processo artistico, sia il raggiungimento di un punto di incontro tra pittura e scultura che doveva trovare la prima grande esplosione nella mediazione informale che ebbe in Barisani uno tra i più geniali protagonisti. Ma a quel tempo col Neo - realismo che dettava legge (un Neo - realismo che aveva avuto il merito di cimentarsi sui maggiori temi civili) e con la confusione di lingue che é tipica dell'Italia, non era facile prendere posizione in favore di un'arte in cui rigore e fantasia avessero un'importanza uguale, un'arte che seguisse dappresso i grandi movimenti che si erano prodotti sulla scena americana e su quella europea.

Barisani si dimostrò in seguito uno dei più originali operatori informali: i suoi quadri - sculture furono, assieme a quelli di Bugli tra le cose più belle che abbia offerto l'Astratto - concreto a Napoli. Dopo il periodo "macchinistico" che tanto piacque a Dorfles, Barisani sfociò nella progettazione architettonica e nella scultura degli interni: ancora una volta s'era reso conto con anticipo delle nuove esigenze della ricerca.

Rientrato nel grande alveo della investistigazione razionalistica, Barisani ha voluto dimostrare con il suo avanzatissimo neo - costruttivismo che é possibile verificare non soltanto una nuova idea della forma ma una nuova concezione dello spazio, cui va aggiunto, fatto importantissimo un senso spiccatissimo della fun- zione. Il pittore - scultore definisce queste opere "Strutture modulari" perché pur possedendo esse una morfologia ben definita, si prestano a sempre maggiori elaborazioni in cui la partecipazione del fruitore diventa fondamentale. Insomma il geniale artista fornisce le strutture - base (da riprodurre pure in serie): spetterà a chi entra in possesso delle sculture di operare una scelta compositiva. Ma questo é solo un lato della ricerca più recente di Barisani: il consapevole ricercatore ha costruito oggetti di tutti i tipi (anche luminosi) e perfino gioielli. Barisani ha ottenuto un grande successo recentemente a Trieste dove c'é stato un grosso dibattito sulla sua opera.

Gianni De Tora é oggi un'autentica personalità nel campo della ricerca astratta. Partito da posizioni espressionistiche, De Tora ha iniziato un discorso personalissimo sulla forma e sulla filosofia della forma, riuscendo ad affrancarsi dai problemi di staticità e ad entrare nel vivo delle trasposizioni cinetiche degli elementi fondamentali della geometria, principalmente la sfera, il cerchio ed il triangolo. De Tora tende ad una osmosi tra forma pura e forma indotta, tra dato naturale e artificio. Cerchio e triangolo, che sono le manifestazioni più autentiche dei due tipi di rappresentazione, trovano nella ricerca di De Tora un loro punto di incontro. Carrnine Di Ruggiero é un artista di complessa personalità e di approfonditi orientamenti. La sua ricerca ha seguito un'evoluzione continua senza subire tentennamenti e contraddizioni. Pittore espressionista di lucida vena e poi ricercatore informale di vigoroso senso rnaterico e di non comuni intuizioni tonali, Di Ruggiero, s'é fermato da qualche anno all'analisi del triangolo. È chiaro che, addentrandosi nell'indagine matematico - filosofica, l'impegnato artista doveva per forza giungere ad un discorso di questo tipo. Per i pitagorici il triangolo fu il simbolo di ogni perfezione. Di Ruggiero adopera questo elemento per due operazioni distinte: una prima, spaziale - matematico - filosofica (il triangolo come armonia e il triangolo come rappresenta- zione di una perfezione socio - razionalistica); una seconda, puramente segnica. Il triangolo diventa un elemento alfabetizzato, un simbolo di codice come il "formicone" di Capogrossi.

Riccardo A. Riccini é un giovane artista assai schivo ma ricco di talento. Riccini opera nel contesto dell'astrazione ma la sua é più un'analisi critica che cerca di investigare su ciò che avviene a monte dell'opera d'arte. Un'analisi più che altro concettuale. Lo dice lo stesso Riccini: "Ho sempre lavorato, prima dell'immagine, sotto, a saggiare l'articolazione del costituirsi del senso interno della pittura nei rapporti della dialettica produttiva: dopo il momento ('65 - '67) della "immaginazione" tra automatismo e associazione iconica analogica, dopo la convenzione rappresentativa ('73 prospettive) tendo ora a dipingere le relazioni tra materiali e procedimenti".

Guido Tatafiore, che fu con Barisani il fondatore del Gruppo Astratto – concreto, dopo la parentesi in seno al Gruppo sud, é ritornato sulla grande ribalta dopo qualche anno di voluto silenzio. Oggi egli ha imboccato la strada neo - costruttivistica con una impostazione concettuale. Come a dire che, al di là dell'analisi sui corpi geometrici, Tatafiore punta ad un distinguo tra un "tempo - pubblico" e un "tempo - privato" inserendo, in questo contesto, il colore. C'é insomma in Tatafiore un ritorno al quadro come elemento di confluenza di situazioni più disparate; ma c'é anche un tentativo riuscito di fondere elementi puramente fantastici con altri dedotti dall'analisi razionale della realtà.

Giuseppe Testa é un ricercatore di notevole capacità analitica che tende ad un inserimento delle sue investigazioni astratte in un modulo architettonico. Le "linee - forza" di Testa puntano a costruire e a costituire uno "spazio razionale" che si identifica in una situazione mentale. Quindi nessuna frattura tra progettazione ed opera.

Trapani é un artista il cui rigore operativo é ormai noto. Egli tuttavia non si ferma a delle considerazioni neo - astratte: tende all'osmosi plastica e all'inserimento nell'architettura. Come a dire che anche Trapani si pone chiaramente il problema dello spazio come riappropriazione di territorio e come problema sociologico. Un artista di raffinata estrazione che ha proceduto in linea retta senza voltarsi indietro: con Trapani la ricerca astratta diventa perciò anche estetismo.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SU “NAPOLI OGGI” DEL 17.12.1980 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE AL CLUB DELLA GRAFICA DI MAROTTA NAPOLI 1980

DE TORA: PROGETTI PER NUOVE RICERCHE

 

De Tora presenta al Club della Grafica tutta la fase progettuale della sua attuale ricerca. Una specie di indagine all'interno della propria indagine; una precisazione di tempi e di temi (anche per puntualizzare orgogliosamente come la sua scintilla analitica abbia precorso altre operazioni metalinguistiche); una esigenza di chiarire la necessità che la pittura (al di là di ogni deformazione intellettualistica) deve essere atto mentale. In un momento in cui la concettualità viene dichiarata decaduta quando è fine a se stessa ma esce trionfante nella battaglia per il recupero della pittura, De Tora tiene giustamente a ribadire (sottolineando chiaramente un analogo atteggiamento di Riccini) di aver iniziato ben per tempo una ricerca a monte dell'opera onde decifrare non solo il rapporto segreto tra l'autore e l'opera ma anche tra l'opera e se stessa. Che tutta questa operazione, così sottilmente razionalizzata e di destrutturalizzazione del linguaggio, non sia altro che un'analisi su di un codice di comunicazione storicizzato e su di un assunto universalmente accettato per trarne chiari elementi di investigazione sulla matrice di tutta la fenomenologia presa in esame, e cioè sulla memoria, mi sembra un fatto abbastanza scontato. Ma mi pare anche chiaro che l'analisi della forma deve essere intesa non come ricerca astratta vera e propria ma come analisi di una metodologia, la sola che consente un accertamento oggettivo. E, attraverso l'analisi di una metodologia, De Tora cerca di approfondire le leggi che regolano, a livello mentale, il processo creativo. Giustamente Finizio (che ha seguito acutamente l'evolversi della ricerca di De Tora e degli altri artisti che fanno parte del Gruppo «Geometria e ricerca») afferma che «non solo nell'ambito napoletano ma in un confronto d'orizzonte più ampio, l'incontro tra De Tora e gli altri sei segna una solidale esperienza di concretezza operativa rispetto ai proponimenti variamente comportamentistici e comunque rivolti a una sorta si dissoluzione delle pratiche artistiche. Alla ormai rassegnata, se non proprio, autolesionistica perdita dell'oggetto artistico, tra fenomeni di Body - art, concettualismo, «Narrative - art » e, per ultimo, azioni nel sociale che dalla falsa alternativa di Opera e comportamento proposta alla Biennale del '72 si è giunti - afferma Finizio - alle recenti prese di posizione sul recupero del privato, ma De Tora e gli altri di «Geometria e ricerca» hanno il merito (anche se non da soli), di ribadire l'inesauribile continuità del valore dell'incidenza e dell'azione innovativa che hanno in sè le pratiche storiche dell'arte. È evidente che queste osservazioni di Finizio sono vecchie di qualche semestre in quanto l'azione della Nuova Pittura ha finito per scardinare tutto l'edificio costruito da body - artisti e concettuali di tutte le estrazioni e che il ritorno all'opera, che era fatale, è oggi un fatto accertato. Ma bisogna dire anche che il ritorno all'opera non si è verificato tout court e con un semplice processo restaurativo. Nel grande fiume dell'arte nulla, come ho più volte detto, passa senza lasciare tracce. Cosi avvenne per la pittura di azione e per l'informale, cosi è accaduto per i vari concettualismi: questi movimenti sono stati inglobati nelle nuove ricerche analitiche che hanno riportato in auge l'opera. E a questo fenomeno ho accennato all'inizio di questa recensione. Si trattava dunque di restituire l'arte visiva all'arte visiva e toglierla dal dominio della teatralità. (Come sappiamo, la Gestualità ricorreva quasi truffaldinamente alla riproduzione fotografica dell'azione per ristabilire il «tramite - opera», che, uscito dalla porta, rientrava dalla finestra). Ora le arti visive, e De Tora ce lo dimostra, si manifestano secondo la loro funzione fisiologica e non attraverso una funzione alternativa e mistificata. Ma è anche vero che un Paolini non può non aver influenzato il ritorno alla pittura. Perciò si è pervenuti all'analisi dell'atto artistico attraverso la pittura stessa, e cioè all'investigazione sul percorso dell'opera, dalla scintilla memoriale alla esecuzione; e all'approfondimento del metodo linguistico. La «Nuova Astrazione» di De Tora e co. la Nuova Pittura di Verna e Olivieri (per niente contraddittorie) sono le due facce della stessa realtà: la ricerca pittorica come riflessione. Il pittore non può vivere in balia del proprio istinto creativo e all'oscuro dei motivi che determinano ogni proprio comportamento: l'artista (giovane) di oggi vuole essere problematicamente consa- pevole di tutto. L'Irrazionalismo può anche condurre l'umanità alla catastrofe.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SU "NAPOLI OGGI" DEL 10.2.1982 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE ALL'ACCADEMIA PONTANO DI NAPOLI 1982

L'ultimo De Tora

 

Personale di Gianni De Tora al Pontano. Il pittore napoletano, tra i più significativi della penultima generazìone, presenta le sue composizioni più recenti in cui le operazioni nei campi visivi si fanno assai più rigorose. Dopo aver indagato una decina d'anni fa sulle «strutture riflesse», De Tora ha compiuto ricerche sulla forma primaria visiva. Le sue ultime creazioni sono, in ordine di tempo, «Le sequenze primarie» e «Le diagonali». Dal '79 all'81 De Tora ha studiato le relazioni tra opera e ambiente.

De Tora è riuscito ad offrire, in questa ultima investigazione strutturale, una sua personalissima concezione del colore inserito nell'ambiente, nel contesto di un'operazione astrattizzante, in cui la componente analitica riveste un ruolo primario. Giustamente Menna ha parlato di «problemi di serialità a partire dall'individuazione di elementi semplici di base con la successiva ricomposizione dei dati su fondamenti essenzialmente sintattici di tipo trasformativo ... ».

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI OGGI'' DEL 23 GIUGNO 1983 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA A CURA DI LUIGI PAOLO FINIZIO ''PLEXUS '83'' NELLA CAPPELLA SANTA BARBARA AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI DAL 3 AL 30 GIUGNO 1983

Pregi e difetti di una rassegna artistica- ''Plexus'': venti pittori campani presentati al Maschio Angioino

 

Finalmente, dopo una lunga serie di personali e di collettive realizzate all'insegna della raccomandazione e del favoritismo elettorale, è in corso di svolgimento, nella declassatissima cappella di Santa Barbara nel Maschio Angiono, una significativa mostra che porta alla ribalta artisti campani noti e meno conosciuti. All'iniziativa artistico-culturale, curata da un attento ed acuto studioso, il critico Luigi Paolo Finizio, partecipano una ventina di artisti della nostra regione parecchi dei quali, nel nuovo clima di pluralismo instaurataosi nel nostro Paese, stanno portando avanti ciascuno secondo una propria posizione, ricerche (in più di un caso) assai interessanti. I pittori e gli scultori che partecipano alla rassegna sono: Renato Barisani, Enrico Bugli, Claudio Carrino, Gerolamo Casertano, Angelo Casciello, Gianni D'Anna, Ciro De Falco, Alfonso De Siena, Vincenzo De Simone, Gianni De Tora, Gerardo Di Fiore, Carmine Di Ruggiero, Bruno Donzelli, Antonio Fomez, Mariano Izzo, Enea Mancino, Ugo Marano, Michele Mautone, Giuseppe Pirozzi ed Enrico Ruotolo. Se affermassi di trovarmi d'accordo, in tutto e per tutto, con l'amico Finizio circa le scelte fatte riguardo a questa mostra (che egli ha intitolato «Plexus») direi una bugia grande quanto una casa. Sulla maggior parte delle designazioni mi trovo d'accordo con Finizio perché alcuni degli artisti invitati sono talmente importanti da rappresentare più che mai un punto di riferimento insostituibi- le. Ma alcuni altri, che non tolgono e non mettono, li avrei sacrificati per dare posto a giovani di chiara personalità e di coraggiosi orientamenti o ad anziani di valore.Certo, si tratta di un discorso difficile e so bene cosa significhi organizzare una mostra, con i gruppi che impongono candidature plurime di artisti talvolta non eccelsi. Si deve ancora dire che non si possono ignorare le ricerche (sincere o no) dei tempi recentissimi come quelle di alcuni transavanguardisti come Paladino e di altri più giovani i quali fanno parte di una zona di ricerca che pur esiste nella nostra città. Gli artisti che mi hanno più convinto sono ancora una volta Di Ruggiero e Di Fiore. Il primo, ritornato in grandissima forma con la sua potente gestualità, mostra la forza di un Rauscheberg; il secondo, che è un artista completo per creatività e senso plastico, appare dotato di una capacità superiore di concettualizzazione. Ma non si possono ignorare il sempre lucido Barisani, personalità intramontabile; la vena analitica e ironica di Bugli; la fantasia assemblatrice di Bruno Donzelli; il talento di De Tora, che armonizza immagine e geometria; il lirismo euclideo di Mancino; la capacità di deformazione dell'immagine di De Simone; l'intelligenza di De Siena; le nuove ricerche del bravissimo Pirozzi. Nel suo standard abituale, De Falco; ancora cambiato, Ruotolo, genietto imprevedibile e controcorrente. Dell'altra metà della mostra, nel bene e nel male, si poteva fare a meno

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI OGGI'' DEL 14 LUGLIO 1983 PER RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA ''EXEMPLA CAMPANA – OVVERO PITTURA COME ? '' ALLA GALLERIA ''A COME ARTE'' DI NAPOLI DAL 21 GIUGNO AL 5 LUGLIO 1983

De Tora è un arrivato ma c'è anche Tagliafierro

 

Cinque pittori campani espongono alla galleria «A come arte» in una mostra curata da quell' intelligente critico che è Vincenzo Perna. Questi artisti rispondono ai nomi di Gianni De Tora (pittore che ha conquistato una propria dimensione nazionale), Peppe Ferraro, Gloria Pastore, Antonello Tagliafierro, Sergio Vecchio. De Tora continua la propria operazione analitica nella piena riconsiderazione dei valori pittorico-plastici; Ferraro si dimostra un sensibile tonalista all'interno di un'indagine sui modi del vivere extra-urbano; Gloria Pastore prosegue in un racconto intimistico; Tagliafierro mi pare un artista che sa cogliere i motivi di fondo del fare pittura oggi, sia sotto il pro- filo del gesto e del ritmo, che sotto quello della luce; Vecchio è un artista di indubbia classe che adopera il segno come punto di riferimento per una stringata ricognizione memoriale

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SU NAPOLI OGGI DEL MAGGIO 1983 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE ALLO STUDIO OGGETTO DI CASERTA 1983

Personale del pittore all' “Oggetto” di Caserta

DE TORA : d'accordo intelletto e fantasia

 

De Tora dà una nuova prova dell’evoluzione del suo talento pittorico ma, principalmente, della sua capacità di fare del rigore analitico il centro di ogni operazione artistica. Nella sua più recente apparizione (Caserta, Galleria “Oggetto”, presentazione sul catalogo di Carmine Benincasa) De Tora porta alle estreme conseguenze il proprio discorso sul segno (e implicitamente sul colore) , incentrando il suo giuoco apparentemente beffardo su principi enunciati da Leonardo, che rimane il punto di riferimento più importante per tutta la ricerca degli ultimi cinque secoli.

Il bello è che la geometria che può sembrare il fine ultimo della ricerca di De Tora non è che soltanto un tramite (e neppure il più importante); essa serve soltanto al pittore per poter dimostrare che l’arte passa per tutte le porte e che scienza e ragione servono anche a dare un senso alla creatività. De Tora ama dare un senso globale alla propria ricerca, usando il commento della parola scritta (nel suo caso, pensieri di Leonardo) ma questo non mi pare che conduca ad una frattura della rappresentazione, come sostiene Benincasa nel testo in catalogo, che pure analizza con molta acutezza l’opera di De Tora, specie quando afferma che il recupero della geometria non è mai totale, che essa serve solo per fugare le ombre o meglio gli spettri di una facile figurazione di una disordinata gestualità, aggiungendo che in realtà è l’opera a farsi commento puntuale sul processo genetico dell’idea, a rivestire la dimensione lirico-immaginativa. Certo, l’opera stessa per De Tora è terreno di esperimenti sotto il civile controllo dell’intelligenza che, da un lato, spinge l’artista a concettualizzare e a non rimanere prigioniero di una metafisica della forma ( fine a sé stessa), da un’altra, lo aiuta a partire da certezze analitiche, per poi dispiegare il ventaglio della propria creatività nel senso voluto. E avviene una specie di prodigio: tutti gli elementi si fondono nell’unità dell’opera che, inglobate le plausibili contraddizioni, ridiventa protagonista del grande e affascinante mistero della creatività. In questa più recente ricerca il pittore recupera elementi naturalistici dando ad essi tuttavia un taglio di estremo rigore. Il caso, se esiste nelle investigazioni di questo artista, deve per forza ubbidire alla regola.

DALL'ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI OGGI'' DEL 16 MARZO 1983 X RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA ''CONTINUITA' DELL'ASTRATTISMO'' PRESSO LA GALLERIA ''A COME ARTE'' DI NAPOLI DAL 1° AL 19 MARZO 1983

Una significativa rassegna a Napoli. L'astrattismo non è morto

 

“Una significativa rassegna dell' Astrattismo napoletano è in corso alla galleria «A come Arte» di Franca Mangoni. In questa mostra "Continuità dell'Astrattismo'' sono di scena cinque pittori che hanno portato avanti ricerche neo-costruttivistiche: qualcuno di essi, più anziano e più noto, ha avuto una importanza di primo piano nel mutamento della cultura artistica in Italia; qualche altro, più giovane, ha partecipato con ricerche vigorose ai più recenti sviluppi della investigazione astratta. Questi pittori sono: Barisani, Tatafiore, Di Ruggiero, De Tora e Mancino[......... ]Gianni De Tora, artista giovane che s'è affermato rapidamente, è passato da una laboriosa fase pro- gettuale (che lo ha condotto ad una vera indagine all'interno della propria indagine) ad una investigazione sulla forma e sulla luce. Le operazioni di De Tora sui campi visivi si sono fatte sempre più analitiche. Dopo aver indagato sulle "strutture riflesse", De Tora ha preso ad investigare sulle "sequenze primarie". Dal '79 il pittore ha preso a studiare le relazioni fra opera e ambiente ed è stato con quest'ultima investigazione strutturale che il quarantenne artista è riuscito a pervenire ad una personalissima concezione del colore (inserito nell'ambiente) nel contesto di un'operazione sulla luce[......]”

TESTO DI GINO GRASSI SUL PIEGHEVOLE DELLA MOSTRA COLLETTIVA ''CONTINUITA' DELL'ASTRATTISMO'' PRESENTATA NELLA GALLERIA ''A COME ARTE'' DI NAPOLI DAL 1° AL 19 MARZO 1983

CONTINUITÀ DELL'ASTRATTISMO 

Se è vero che nel clima di pluralismo creativo che s'è instaurato da qualche tempo nel nostro Paese e nel resto dell'Occidente non c'è più tendenza artistica che possa venir considerata "fuori legge" (perchè troppo tradizionalista) o messa all'indice (perchè considerata extra-artistica), è anche vero che, nel ritrovato entusiasmo per l 'immagine dopo anni di dittatura concettuale, i vari filoni di ricerca rimasti sulla breccia non incontrano, tutti, le simpatie dei giovani.
L'Astrattismo, che ha recitato un ruolo di protagonista nella ricerca del Novecento e che più volte, in epoche diverse e quasi sempre in fasi di trapasso, è stato dato per spacciato, manifesta invece ancora oggi una propria vitalità e dimostra di poter svolgere ancora una propria importantissima funzione che non sia quella meramente decorativa e descrittivistica (che, in genere, si attribuisce a buona parte della produzione artistica) ma quella di portare avanti una vera e propria analisi del sociale, nel contesto di una più avanzata utilizzazione degli spazi e del territorio. 
Certo, non si può negare che la investigazione astratta non segue più canoni rigidamente geometrici e segnici: essa è oggi aperta al recupero di elementi naturalistici al fine di incentivare un confronto non soltanto con la pittura di moda oggi ma anche con la nuova realtà esistenziale. Si deve aggiungere, anzi, che la straordinaria forza di resistenza e la tendenza allo sviluppo che mostra l'Astrattismo (specie-italiano} costituisce una testimonianza di cantinuità e di consapevolezza del ruolo che la ricerca astratta può ancora rivestire all'interno delle tematiche egemoni. In questa mostra "CONTINUITÀ DELL'ASTRATTISMO" presento cinque pittori che hanno portato avanti ricerche neo-costruttivistiche: qualcuno di essi, più anziano e più noto, ha avuto una importanza di primo piano nel mutamento della cultura artistica in Italia; qualche altro, più giovane, ha partecipato, con ricerche rigorose, ai più recenti sviluppi della investigazione astratta. Questi pittori sono: Barisani, Tatafiore, Di Ruggiero, De Tora e Mancino. Renato Barisani, personalità di grande prestigio dell'arte italiana del Novecento, fondò, assieme a De Fusco, Tatafiore e Venditti, il Gruppo Astratto-Concreto napoletano all'inizio degli anni Cinquanta. In trenta e più anni di ricer- ca, Barisani ha portato agli estremi limiti la propria operazione, pervenendo, prima, ad un processo di razionalizzazione della forma e, poi, una volta raggiunta attraverso sperimentazioni successive una precisa coscienza storica dei problemi linguistici più scottanti dell'arte contemporanea, ha recuperato quel minimo di articolazione naturalistica dell'immagine che lo porta ad essere uno dei ricercatori più completi ed unitari dell'attuale congiuntura italiana. Ma bisogna anche dire che a Barisani interessa più la pratica fenomenologica che l'astratta teorizzazione dei fenomeni plastico-visivi. Il linguaggio resta dunque per Barisani un tramite sempre aperto di comunicazione. Guido Tatafiore, geniale artista scomparso nel 1980, fece parte, con Barisani del Gruppo Astratto-Concreto napoletano. Pur nelle pause di una ricerca sempre consapevole, Tatafiore portò avanti una operazione neo-costruttivistica in cui astrazione e analisi concettuale si bilanciavano. Come a dire che, precorrendo una buona parte della ricerca analitica del nostro Paese, il pittore si portò al di là della visione costruttivistica dei corpi geometrici per recuperare significati obsoleti. Tatafiore, utilizzando numeri, lettere, date, riuscì ad operare un distinguo tra un "tempo privato" (che manifestava attraverso una scrittura non assolutamente personale) ed un "tempo pubblico". Ciò non toglie che il geniale artista aveva partecipato con entusiasmo a tutta l'operazione astratta mettendo a vantaggio della ricerca tutto il peso della propria creatività. Di Ruggiero, fra i grandi della pittura napoletana, è un artista rigoroso ma anche estremamente fantasioso. Il pittore ha confermato con le sue opere recentissime, variazioni sui famosi triangoli, la coerenza e la disciplina di una investigazione che s'è sviluppata senza contraddizioni. Fra i protagonisti dell'Astrattismo napoletano, Di Ruggiero ha manifestato grande talento anche nelle ricerche plastiche in cui, rifacendosi ad uno Stella o ad un Noland, riscoprì a forma primaria. Agli oggetti ambientali, bianchissimi, con i quali l'artista  recuperava il mondo oggettivo, hanno fatto seguito, recentemente, le attuali sculture astratte, presentate in questa mostra. 
Gianni De Tora, artista giovane che s'è affermato rapidamente, è passato da una laboriosa fase progettuale (che lo ha condotto ad una vera indagine all'interno della propria indagine) ad una investigazione sulla forma e sulla luce. Le operazioni di De Tora sui campi visivi si sono fatte sempre più analitiche. Dopo aver indagato sulle "strutture riflesse ", De Tora ha preso ad investigare sulle "sequenze primarie ". Dal '79 il pittore ha preso a studiare le relazioni fra opera e ambiente ed è stato con quest'ultima investigazione strutturale che il quarantenne artista è riuscito a pervenire ad una personalissima concezione del colore (inserito nell'ambiente) nel contesto di un'operazione sulla luce. Enea Mancino è un giovanissimo ricercatore venuto alla ribalta di questi ultimi anni, il quale porta fino alle estreme conseguenze l'analisi della forma geometrica, tenendo ben presente la necessità di recuperare una totale bidimensionalità della superficie con l'azzeramento di ogni illusione spaziale. Non solo. La dinamica dei corpi geometrici e i giuochi luminosi danno garanzie di una accertata rottura di schemi scontati mentre la memoria ricopre una funzione essenziale nella formulazione delle immagini. Come a dire che ragione ed emozioni, creatività ed analisi si fondono nel dato percettivo dando vita ad un processo profondamente unitario.

ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SUL ROMA DEL 7 MAGGIO 1991 X RECENSIRE LA MOSTRA PERSONALE AL MUSEO MUNICIPALE DI SAINT PAUL DE VENCE -FRANCIA-1991

…..Il segno sull'immagine

 

Grande successo a Saint Paul de Vence per il noto artista napoletano Gianni De Tora, cui è stata dedicata una grande mostra pubblica dal Comune della bella cittadina della Costa Azzurra, che fu la località privilegiata da Picasso e da altri grandi maestri europei contemporanei.

Il pittore napoletano, presentato sul Catalogo da Pierre Restany, ha presentato le sue ultime ricerche neocostruttivistiche, in cui i segni visuali sono ripartiti in uno spazio privilegiato e rappresentano una manifestazione di grande tensione emotiva. L'emozione è l'elemento fondamentale di una vera forma di "drammaturgia". Il critico franco-italiano accenna ad una "vitalità esplosiva" di De Tora, "autore-attore e poeta-pittore di un teatro delle emozioni".

STRALCIO DALL'ARTICOLO DI GINO GRASSI APPARSO SULLA RIVISTA '' NORD E SUD'' DI MARZO 1996 X RECENSIONE DELLA MOSTRA ''GEOMETRIA E RICERCA 1975-1980'' RICOGNIZIONE DEL GRUPPO A CURA DI MARIANTONIETTA PICONE PETRUSA PRESSO L'ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA DI NAPOLI DALL'8 AL 28 GENNAIO 1996

AVANGUARDIE D'AUTORE

Barisani e gli altri artisti di ''Geometria e Ricerca'' ricordati in una retrospettiva

presso l'Istituto Suor Orsola Benincasa

La Napoli dell'astrazione rivive in una mostra storica

 

“I sette artisti che fecero parte del Gruppo « Geometria e Ricerca », autentici protagonisti di un momento esaltante della investigazione pittorica a Napoli (soltanto adesso preso in considerazione da alcuni storici dell'arte e dall'opinione pubblica), vengono ricordati in una storica mostra in corso presso l'Istituto universitario « Suor Orsola Benincasa ». L'articolata rassegna, aperta alla presenza di un pubblico numeroso ed attento, composto, oltre che dagli appassionati d'arte frequentatori abituali di questo tipo di manifestazioni, anche da molti dei pittori e degli uomini di cultura più in vista della città, ha il merito di far conoscere ai napoletani una operazione artistica durata appena cinque anni (1975-:-1980);- che ha avuto tuttavia il merito di stabilire un « distinguo» tra un impegno creativo a suo modo rivoluzionario, che si riallacciava ad una tematica trionfante in Europa, ed una cultura pittorica strettamente figurativa, legata alla migliore tradizione napoletana. Alcuni degli artisti presenti in questa significativa manifestazione erano già assai noti all'epoca della loro entrata nel Gruppo di « Geometria e Ricerca» e sono Renato Barisani, Guido Tatafiore e Carmine di Ruggiero. Gli altri, comparsi sulla scena pittorica parecchi anni dopo, sono Gianni De Tora, Riccardo Riccini, Giuseppe Testa e Riccardo Trapani[.......] Gianni De Tora, più giovane di tutti e tre gli artisti di cui ho analizzato l'opera all'interno dell'operazione « Geometria e Ricerca », rimane non soltanto un indomabile sostenitore della necessità di indagare sulla forma geometrica e sulle sue implicazioni nel linguaggio generale dell'arte, ma appare assai interessato ad analizzare più di ogni altra cosa il linguaggio della ragione sottoponendolo ad una serie di controindicazioni e a sostenere le prerogative della pittura nel quadro del processo percettivo. L'occhio dunque risplende nel suo ruolo di supremo regolatore della creazione artistica. Partendo da queste premesse, De Tora ha portato avanti con estrema concentrazione una indagine sullo spettro solare, giuocando abilmente sulle variazioni tonali i più tenui o più accese secondo preordinate disposizioni con un punto di confluenza da cui si determina la massima perdita cromatica. Sebastiano Brizio ha analizzato assai bene il De Tora. « Per il pittore - dice l'acuto osservatore - la percezione visiva, macroscopicamente espansa nella sua fenomenologia ottica, riporta in queste indagini calcolate sulla maternaticità dei rapporti forma-colore al concetto tipico del processo quadricromico della stampa, ove l'accostarsi più o meno intenso di forza retinata dei quattro colori di base determina la lettura reale del colore riprodotto ...». A sua volta il pittore afferma che la libertà creata dalla poesia illusoria dello spazio non costrittivo, non geometrico, aperto, assomiglia sempre più ad un romantico sogno di rigetto: « rigetto di entità astratte che non si sapevano dominare per ignoranza, per incultura, per incertezza ». E prende così piede, secondo De Tora, la consapevolezza che, comunque, una struttura organizzativa, nell'ambito di un discorso c'è e non è possibile eluderne la presenza. «Questo spiega », continua l'originale ricercatore, «il recupero delle forme geometriche da parte degli operatori che hanno tentato la via del figurativo, prima, e dell'Informale, poi. Il geniale pittore conclude così: «Più volte ho notato che diversi pittori informali, tra i loro segni di libertà, tra le macchie, con pieni e vuoti davano, nonostante i maldestri tentativi di celarIe, delle immagini strutturali ... ». Per De Tora, insomma, la forma finisce sempre per assumere modificazioni varie. La si può annullare o esasperare, la si può costringere entro schemi artificiosi, ma finisce sempre per ritrovare sé stessa [….]”

pomodoro
Gio' Pomodoro
LETTERA DI GIO' POMODORO INSERITA NEL CATALOGO MOSTRA PERSONALE ALLO “STUDIO INQUADRATURE 33” FIRENZE 1974

Da una lettera di Giò Pomodoro scritta a Gianni De Tora in occasione della Mostra:

 

... le cause si fanno sempre più confuse con le cause in generale per cui si esiste. Con ciò non vuol dire che ci sia una perdita di « idealità », ma una certezza circa la vaghezza d'un centro da colpire, tanto questo è ormai dilatato nella molteplicità delle plurime consapevolezze, che a ciascuno almeno spetti la « consapevolezza » di quanto sia difficile colpirne almeno l'alone.

Cioè l'alone di cui pare fatto il centro. Anche questa è una certezza ma nel "dubbio ".

Scusami ancora per il ritardo e abbiti tutta la mia stima e tutti gli auguri pei il tuo lavoro.

 

Fraterni saluti

agnisola
Giorgio Agnisola
ARTICOLO DI GIORGIO AGNISOLA APPARSO SU IL MATTINO DI CASERTA DEL 17.4.1983 X RECENSIONE MOSTRA PERSONALE ALLO STUDIO OGGETTO DI CASERTA 1983

ALLO STUDIO OGGETTO

 

Allo Studio Oggetto di Caserta, continua a riscuotere un vivo successo di pubblico e di critica la personale di Gianni De Tora, artista casertano di nascita, ma napoletano di adozione.

Interessante la sua attuale produzione. Dopo un lungo esplorare all’interno di ricerche visive aperte anche ai temi dell’inconscio e del profondo, ma sempre vigilate entro un ordinato rigore espressivo, l’artista perviene a soluzioni di complessa allusività in cui, mentre continua ad esercitare i termini e le formule di un ordine geometrico dello spazio e dei moduli cromatici, contemporaneamente recupera una dimensione più impulsiva della visione, più direttamente legata alla sensibilità, al gesto, alla memoria.

ARTICOLO DI GIORGIO AGNISOLA APPARSO SUL QUOTIDIANO ''AVVENIRE'' DEL 18 AGOSTO 1999 X RECENSIONE DELLA MOSTRA DEL GRUPPO '' GENER- AZIONI'' PRESSO LA CASINA POMPEIANA IN VILLA COMUNALE A NAPOLI DAL 20 LUGLIO AL 1° SETTEMBRE 1999

Arte concreta e/o surreale in mostra le '' Generazioni''

 

Un doppio interesse sembra derivare dalla mostra ''Gener-azioni'', aperta a Napoli presso la Casina Pompeiana della Villa Comunale, con il patrocinio dell'Assessorato alla cultura del Comune (fino al primo settembre). Il primo d'ordine generazionale, potrebbe dirsi, essendo i sei artisti espositori (Renato Barisani; Gianni De Tora; Carmine Di Ruggiero; Mario Lanzione; Antonio Manfredi; Domenico Spinosa ) testimoni dell'arte italiana e partenopea lungo l'arco del suo sviluppo dal dopoguerra ad oggi, nel segno di una comune (e al tempo stesso differenziata) ricerca astratta. Il secondo intrinseco alla fisionomia del gruppo e ravvisabile nella stessa scelta degli artisti di esporre insieme, nonostante le differenze di età e diciamo pure di prestigio, e nell'unanime intento di riaffermare in senso etico l'esperienza dell'artista, il suo lavoro, la sua presenza culturale nel contesto meridionale, il suo ruolo sociale; al di là degli stili personali e delle scelte correnti del mercato. Diversi sono d'altra parte i registri espressivi dei sei artisti. Barisani, uno dei fondatori della frangia meridionale del Movimento Arte Concreta, propone alcuni conosciuti esemplari del suo stile, insieme geometrico e simbolico, in cui si coniugano, con un raffinato equilibrio visivo, sintesi astratta della forma e rilievo emotivo del segno. Di Ruggiero campisce entro regioni delimitate, in prevalenza quadri e cornici, forme cromatiche pastose ed informi (una vaga allusione alla materia baconiana), vagamente antropomorfe o per converso, segni leggeri ed incisi come moderni graffiti su di una superficie bianca e calcinata. Più razianale e geometrica è la cifra di De Tora, che struttura lo spazio visivo in senso architetturale e scenico, utilizzando cromatismi uniformi e profondi entro cui libera con un gusto lirico e altresì attento ai valori compositivi dell'opera, segni di colore caldi, lievi, luminosi. L'arte di Spinosa appare subito densa di umori cromatici, di segni che si avvolgono e si intricano, che si gonfiano e si dilatano in superficie e in profondità con soffici rilievi e variegate trasparenze. Le geometrie spaziali di Manfredi sono caratterizzate da interni e rigorosi equilibri formali. Sono costruzioni visive e strutture segnate da una fine tensione concettuale. Infine le immagini di Lanzione, il più giovane del gruppo, sono paesaggi astratti e surreali generati da geometrie di piani prospettici, delimitati da fasci di luce viva e trasparente da cui derivano suggestivi effetti di ambiguità esterno- interno, in cui sembra riflettersi una metafora psicologica dell'uomo e della vita.

TESTO DI GIORGIO AGNISOLA SUL CATALOGO DELLA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA IL PILASTRO DI S.MARIA CAPUA VETERE (CE) 2003

THE WINDOW

 

Se si prescinde dal periodo informale ed espressionista degli anni giovanili e dalle successive opere più concettuali e sperimentali, l'arte di Gianni De Tora si caratterizza fin dagli anni Ottanta per una ricerca di strutture astratte e geometriche tendenti a creare uno spazio controllato e rigoroso sul piano formale, ma altresì suggestivo e risonante, non di rado poetico e intimista.

L'immagine si connota di uno sfondo quasi sempre regolare e simmetrico nel suo assetto compostivo e di una zona formalmente più eterogenea e soprattutto più ricca cromaticamente, più luminosa, più trasparente. Lo sfondo è in genere scuro, assume talvolta nell'impianto scenico un assetto che potrebbe definirsi monumentale, caratterizzato da staticità e rigore, sottolineato da effetti prospettici e giochi di luce a volte radente; a volte emergente come da un sipario sottoesposto, a volte sorgente di lato, in modo da fasciare le forme e chiudere improvvisamente, come dall'interno, il campo visivo.

Per converso lo zona nodale (spesso centrale, talvolta eccentrica o addirittura frazionata) è più vivida e insieme più profonda, introduce un ambiente che si intuisce vasto, popolato da forme leggere, di colore vivo, che paiono assumere nella dinamica visiva una vaga simbologia linguistica di tipo archetipale.

Riguardando l'immagine nel suo insieme e calibrando la lettura nelle parti che lo compongono, si ha l'impressione che l'artista voglia indirizzare l'attenzione dell' osservatore proprio verso questo spazio interno, che singolarmente, anche in relazione al contesto, diventa come una sorta di finestra su di un universo nuovo, una dimensione oltre, di cui si intravede solo un frammento. Sicché il riquadro che lo contiene appare vieppiù un varco, una soglia, il foro di una camera oscura costruita per guardare in profondità e in prospettiva il mondo. Lo stesso contrasto tra la fissità della scenografia compositiva e il dinamismo della forme segniche accentua il senso di un inoltro interiore, di un capovolgimento di orizzonte, di una sorta di prospezione, seppure guidata e vigilata. Una volta entrati lo spazio è sonoro, di una sonorità sommessa, indefinita, ampia, che determina una condizione emotiva e psicologica come di sospensione, di concentrazione, di armonia; ma anche di vaghezza dell'idea e della stessa emozione. Lo sguardo si concentra inizialmente sul varco luminoso, sulle forme mobili e leggere, sui loro cromatismi accesi, prima di immergersi nello spazio interno. E' uno stato dell'essere pensoso e poetico che l'artista evoca, con una interpretazione simbolica che elude le forme scomposte della materia e tende alla sintesi rigorosa, alla riflessione linguistica, alla metafora lucida e ordinata della propria vita e che implica una sorta di aspettazione, di ansia spirituale. Talora, come in alcune pitture del 1986, l'artista apre improvvisamente ad una interpretazione maggiormente emotiva del linguaggio. Libera segni che evocano forme e contesti naturalistici. Recupera persino una casualità informale.

Già in precedenza, del resto, De Tora aveva unito schemi grafici recuperati come semplici annotazioni o spunti progettuali a rilievi materici, evidenziando giochi di luce in superficie; evitando che il dato sensibile e propriamente emozionale si disperdesse, investigandolo con cura intelligente e raffinata. Era palese nella scelta espressiva la natura psicologica oltre che intellettuale e percettiva della sua creazione, rifletteva quel senso dell'arte che si lega alla esplorazione della vita, che si interpreta dall'interno, dentro ed oltre i suoi stessi termini linguistici.

La ricerca assume negli anni Novanta una continuità narrativa lungo la trama della stessa opera. L'artista realizza strutture in cui si intuisce il bisogno di un' espressione variata e sequenziale, mettendo in atto una successione di forme in qualche modo autoreferenziali. Sicché l'equilibrio compositivo ed esterno aderisce a quello interno con una intensità rara, preziosa. Le articolazioni delle campiture cromatiche e dei riquadri e delle variegate tonalità di colore che si specchiano e si addensano nello spazio prospettico con rigore e poesia acquistano così nell'universo della sua arte una significato nuovo, quasi epifanico. Come un desiderio di irenica stasi, un bisogno inespresso di assoluto.

TESTO DI GIORGIO AGNISOLA SUI CATALOGHI DELLE MOSTRE COLLETTIVE ''LE CARTE DELL'ARTE'' SVOLTASI PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE DI CAIAZZO (CASERTA) DAL 10 AL 23 MAGGIO 2008 E '' ANICONICO SU CARTA '' SVOLTASI PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE DI BELLONA (CE) TRA GIUGNO E LUGLIO 2008

LA CALDA PRONUNCIA DELL'ASTRATTISMO PARTENOPEO

 

Mi sembra che una particolare fisionomia segni la produzione artistica campana nell'arco temporale che può delinearsi dall'astrattismo all'informale: una fisionomia non identificabile con una declinazione stilistica e leggibile piuttosto nel momento di annodare i fili nascosti del senso e della connotazione psicologica della produzione artistica, del suo portato umorale e spirituale; una fisionomia che potrebbe definirsi di sostanziale rinnegamento, pure all'interno di collaudati e generali percorsi della ricerca, di un' espressione puramente cerebrale ed emotivamente distaccata. Raramente infatti l'arte partenopea degli ultimi decenni interpreta modelli astratti privi di quella dinamica visiva che si legge anche come testimonianza di una passione artistica e di una partecipazione ispirata: un segno distintivo che verosimilmente è comune a molta arte meridionale e che negli artisti campani acquista una cadenza rilevabile in particolare nell'opera di alcuni dei suoi maggiori più giovani e meno giovani protagonisti. Carmine Di Ruggiero per esempio, che ha a lungo indagato l'uso promiscuo dei materiali in una prospettiva geometrica, ma anche in una dinamica materica, testimonia in maniera esemplare il continuo sforare il dato puramente astratto-visivo, annettendo alla ricerca una pronuncia più interna e non di rado una trascrizione di sé intimamente lirica. L'arte di Renato Barisani, il decano degli artisti partenopei, che indaga da decenni una geometria connotata da vigilantissimi equilibri formali, ha sempre inseguito una calda armonia visiva. La sua arte risuona all'interno del dettato visivo, non è chiusa nel rigore dei segni, ma si apre a forme e volumi che catturano o annettono intensamente i piani e la luce in un equilibrio formale e compositivo che fondano potrebbe dirsi sul molteplice senso percettivo dello spazio in chiave luministica ed emozionale. Anche Gianni De Tora, artista recentemente scomparso, ha testimoniato nei lavori della seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, in cui forme cromatiche libere e brillanti campiscono luoghi interni e prospettici dello spazio visivo, una tensione intimistica, affidata alla dialettica tra il dinamismo scenografico dei segni e rigido e ribaltato gioco dei piani di luce. Le costruzioni geometriche di Enea Mancino sono articolatissime trame costruttive che puntano al recupero di un equilibrio "miracoloso" e non di rado solenne della forma: di un luogo di origine si direbbe del linguaggio visivo, che si interpreta a partire da un centro reale e immaginario, matematico e intuitivo, in cui si può leggersi tanto una ordinata idea mentale quanto un principio spirituale, inglobando lo spazio in una sorta di riverbero a catena, solo in apparenza consequenziale, in realtà annesso sulla scorta di una fine e lucida tensione psicologica. Le stesse sculture di Giovanni Ferrenti, di cui sono note le grandi strutture in metallo, in cui pure è intuibile una tensione meccanicistica oltre che compositiva e una singolare allusione ad mondo organico e naturale, sono incomprensibili senza una prospettiva di luce, che sfiora il metallo, penetra i giochi dei trucioli di ferro, gli agglomerati da utensileria meccanica e ne svela le trame segrete, la superficie ora rugginosa ora lappata, i complessi ingranaggi, i misteriosi meccanismi. Una luce che non di rado è leggerezza nei tentacoli di una forma che non è mai statica, anche negli assetti più pesanti e aspira a liberarsi nell'aria mite del paesaggio partenopeo. La cifra pittorica di Antonio Auriemma si situa infine in un suggestivo territorio di confine tra astrazione e sogno. L'immagine non è il luogo del riconoscimento della forma, ma del suo velamento, del suo traslato onirico, del suo transito fantastico. Le sue opere sono un delicatissimo racconto di forme misteriose che s'inseguono nello spazio lievitato e improbabile di una dimensione totalmente interna. E' il fine traslato nello spazio astratto di un intimismo romantico e poetico, a un tempo misterioso e familiare, il tracciato simbolico di una pacata e dolce narrazione psicologica, ma anche la ricerca di un luogo di equilibrio, sintetico e finale, in cui coniugare come in una preghiera ansia e armonia.

di genova
Giorgio Di Genova
ESTRATTO DAL TESTO CRITICO DI GIORGIO DI GENOVA PER IL VOLUME ''STORIA DELL'ARTE ITALIANA DEL 900 - GENERAZIONE ANNI QUARANTA'' ED. BORA BOLOGNA - APRILE 2007 - PRIMO TOMO

dal Capitolo III

 

[…....] Sul versante aniconico, ovviamente, i fiori del razionalismo sono numerosi. E talora sono coltivati proprio da coloro che risiedono in territori in cui operano artisti più temperamentali.

E penso a Napoli e dintorni, dove forse per un interiore bisogno di dar ordine a certo «disordine» esistenziale, si sono abbracciate ricerche dominate dalla ratio geometrica e da esatti calcoli cromatici e morfologici (1), portando nel '76 alla costituzione del gruppo napoletano Geometria e Ricerca da parte dei sei iniziali componenti (Renato Barisani, Guido Tatafiore, Carmine Di Ruggiero, Giuseppe Testa, Gianni De Tora, Riccardo Alfredo Riccini), a cui si aggiunse Riccardo Trapani, tutti impegnati in declinazioni della tradizione del linguaggio geometrico, in modalità piuttosto libere ed autonome, documentate da Finizio che appunto per ciò intitolò il suo volume L'immaginario geometrico (2).

Sia De Tora che Riccini appartengono alla generazione qui analizzata. [...….] A differenza di Riccini, è l'ordine progettuale che guida la ricerca del cogenerazionale De Tora, altro napoletano acquisito (3) . Tale predisposizione, del resto, egli aveva già mostrato nel periodo del suo attraversamento della Nuova Figurazione. Nella seconda metà degli anni Sessanta, infatti, proprio a talune soluzioni geometrizzanti (cerchi- oblò, rettilinee bande verticali, o diagonali, scacchiere) De Tora aveva affidato il ruolo di codice compositivo interno al coagulo delle agglomerazioni delle stilizzazioni figurali (4) . È nei primi anni Settanta che l'opzione geometrica s'impone nella pittura di De Tora, il quale, dopo una depurazione in direzione geometrico-segnaletica (5), s'era liberato da ogni eco iconica, come interferenza inquinante (6). Infatti l'artista appare ormai impegnato in un'analisi dello spazio, del segno e del colore con un rigore strutturale che non ammetteva deroghe. Gli «oblò» recuperavano la loro mera valenza geometrica come campo per gli sviluppi del colore sulla scorta di un'esibizione delle variazioni dell'iride, scandite da contorni disegnati (Spettro solare, 1972), quando il cromatismo non si affidava a bande dinamiche a croce con sovrapposizioni diagonali (ll sole si riflette in mare, 1973). Il disegno assumeva un valore di chiarificazione costruttiva ed insieme compositiva. La linea curva e la retta si coniugavano per disvelamenti a sequenze dell'interiorità costruttive di identiche forme triangolari (Tenda comune - sequenza, 1975) o per risultati di ben definite «onde» cromatiche (Sequenza, 1974). Altrove De Tora intraprendeva operazioni di analisi sequenziali su diverse forme, così che in virtù dell'accostamento di due cerchi (uno più grande ed uno più piccolo) verticalmente sovrapposti nasce un ovale con quadrati inscritti, attraversati da diagonali bande cromatiche (Ovo sequenza, 1974). Con una lucidità esecutiva che finiva per far appartenere il suo costruttivismo al regno «dell'immagine esatta», per rubare una definizione a D'Amore (7).

Il nostro pittore vede il colore sub specie geometrica, per cui lo campisce nelle sue progressioni a sequenza, «disegnando» in inventivi contesti euclidei, basati ora sul cerchio tripartito con un triangolo inscritto dai visivi effetti rotatori (Sequenza, 1975), ora su triangoli con reticolati tramati (Sequenza del triangolo, 1975), ora su l'ontogenesi di una «quadratura» dei colori dell'iride, inscritti uno nell'altro a mo' di labirinto, che progressivamente invade un nero quadrato quadrettato da linee in negativo (Sequenza del quadrato, 1978), ora su 7 rombi grigi nel ventre dei quali i colori dell'iride a bande aperte in angolo ottuso, partendo dal rosso, seguito poi dall'arancio, a sua volta seguito dal giallo e così progredendo, giungono all'indaco nel terminale rombo angolare (Rombo di luce-sequenza, 1978). Rigore e ratio sono i binari su cui procede la matematica visiva di De Tora, il quale giunge ad elaborazioni esemplificative degli elementi compositivi, com'è nelle 6 tele di cm. 50x70 della sequenza del '78 Le diagonali, che si concludono con l'eliminazione delle diagonali per riemersione delle bande dei 7 colori dell'iride, o nei 6 riquadri del '78 Il cerchio primario, dove l'ovale iniziale si assesta nell'ampio respiro del cerchio finale, attraversato orizzontalmente da tre bande cromatiche, soluzione poi ripetuta, ma nell'ambito del quadrato su fondo quadrettato in negativo delle 4 battute di Le diagonali asimmetriche del '79[.…...]

 

 

  1. Forse anche per questa esigenza Napoli s'è imposta fin dal Settecento come importante centro di studi filosofici, tradizione che ancora oggi è viva. E andrebbe indagato quanto questa realtà cultirale abbia contribuito al cospicuo filone del concretismo e del costruttivismo napoletani ed alle opzioni geometriche che, oltre agli artisti delle generazioni precedenti (da Barisani, Guido Tatafiore a Bizanzio e Renato De Fusco giù giù fino a Del Pezzo, nonché Di Ruggiero ed il foggiano Giuseppe Testa, napoletano d' adozione), hanno coinvolto i nati negli anni Quaranta.

  2. Cfr. L.P.Finizio, L'Immaginario Geometrico, Gruppo '' Geometria e Ricerca'', Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli, 1979.

  3. Infatti, dodicenne, nel '53 dalla natia Caserta De Tora s'era stabilito a Napoli.

  4. Opere di questi sviluppi neofigurativi sono riprodotti nel catalogo della personale tenuta nel 1980 alla Galleria San Carlo di Napoli ( Establishment, Flash Back, El sueno de la razon produce monstruos).Nei testi in catalogo Ciro Ruju indicava la Nuova Figurazione di Cremonini come punto di partenza di De Tora, mentre Antonio Del Guercio individuava nell'eredità pop (sopratutto Rosenquist) i sostrati della pittura in cui l'artista condensava ''una lirica semplicità dell'immagine...in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena''.

  5. Penso sopratutto a Il mondo 70, vero e proprio traguardo in tal senso, raggiunto per condensati di forme circolari e tasselli quadrati in dialoghi variati sulla superficie (Rotazione 1, Contrasto recupero e Recupero 70), ottenuti per estrazione dalle morfologie parageometriche dei precedenti neofigurativi, ormai nei primi anni Settanta abbandonati, come appunto attesta la personale dell'inizio 1973 nelle gallerie di Fiamma Vigo (Galleria Fiamma Vigo, Roma, 21 marz- 3 apr. 1973, Galleria Numero, Venezia, 15-28 aprile 1973), in cui le opere appena citate erano esposte e riprodotte in catalogo.

  6. Un dipinto come Missione compiuta del '69, oggi al Szépmuvészeti Muzeum di Budapest, raffigurante uno scorcio di aereo che vien fuori da un ''oblò'' bianco su fondo per metà coperto da diagonali bande, fornisce uno degli estremi esempi neofigurativi in cui De Tora tentava di far convivere istanze d' immagine e soluzioni geometrizzanti.

  7. Cfr. B. D'Amore, Gianni De Tora, Dell'immagine esatta, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli 1981.

TRATTO DAL TESTO CRITICO DI GIORGIO DI GENOVA SUL VOLUME ''STORIA DELL'ARTE ITALIANA DEL 900- GENERAZIONE ANNI QUARANTA'' II TOMO CAP. XIII  E XV ED. BORA  (BOLOGNA) STAMPATO NEL 2009

Capitolo XIII

[…..] E dove poteva accadere se non nella scatenata Napoli, città che sin dagli anni Cinquanta aveva avuto traffici con la Patafisica per il tramite di Enrico Baj ? Qui, dove nel '96 De Filippis, Carmine Rezzuti, Quintino Scolavino assieme ad altri avevano dato vita al Gruppo Orologio ad Acqua, come già segnalato , nel 1997 un quintetto d'artisti, tutti docenti al Liceo Artistico, dà vita appunto al Gruppo Mutandis, che riunisce Gianni De Tora, recentemente scomparso (1), Mario Di Giulio, Michele Mautone, Rosa Panaro, Mario Ricciardi più la giornalista Eleonora Puntillo, i quali in una loro dichiarazione del marzo 1998 proclamano: «Mutandìs, ovvero cinque artisti riuniti in gruppo per lavorare - in continuo confronto - su un tema artisticamente inesplorato che vuole essere una ironica sfida a linguaggi e tematiche ormai codificati. Si tratta proprio delle mutande, il primo indumento dell'umanità che fu imposto (sia pure allo stato vegetale) ai nostri disobbedienti progenitori quando vennero cacciati dal paradiso terrestre. Da tempo si sospetta che quella disobbedienza così duramente punita sia scaturita dal fatto che i due andavano in giro senza mutande. La sigla, frammento di una frase latina dal contenuto evolutivo e dalla mirabile sintesi sintattica, "mutatis mutandis", si riferisce dunque a quell'indumento quotidiano tante volte ammiccante dalla pubblicità, proposto non più solo al femminile nelle immagini filmiche, fotografiche e anche televisive, nella ricerca storica e non solo. «Può dunque la mutanda essere opera d'arte? Come sarà l'arte in mutande, avrà essa un mercato, susciterà silenzi spregiativi  e/o imbarazzati, oppure quelle censure tanto furiose quanto pubblicitariamente produttive ... ? «Gli artisti (neanche tanto giovani ... ) hanno deciso di rispondere con le loro opere, e si sono sorpresi con stupore e divertimento nel ritrovar concordia nelle diversità rispettive, nella voglia di mettere le mutande a re nudi divenuti così numerosi da non suscitare ormai alcuna attenzione. Per cui sembra che adesso non ci sia più niente da dissacrare e nemmeno da segnalare alla riflessione e al ragionamento, roba che - sostiene qualcuno – non è di alcuna utilità, come del resto anche l'arte e le idee, soprattutto quando non ce la fanno a entrare nello spazio di un teleschermo». Nella più genuina tradizione dello sberleffo napoletano il Gruppo Mutandis riproponeva un fare arte con humour, sia per dire, come Pulcinella, scherzando, la verità sia per smutandare i luoghi comuni e immutandare il Vesuvio, come accadde in occasione della rassegna Vesuvio Fuoco e Arte, o per mostrare mutande volanti con cicogne che fanno capolino dall'apertura di esse, nonché partecipando nei giorni 6-8 dicembre 1997 alla Fiera del Baratto e dell'Usato, e così via producendo opere in mutande, talora rivolgendosi alla storia, sbeffeggiando Daniele da Volterra, che, avendo per ordine di papa Paolo IV (anche allora, come adesso, la vista delle pudenda faceva venire il mal di pancia ai papi) coperto con mutande le nudità del Giudizio Universale di Michelangelo, è passato alla storia come il Braghettone, talaltra realizzando mutande appese, o l'enorme mutandone con sei fori, dai quali sbucavano le teste di 5 artisti, più quella della giornalista Puntillo, come ricorda ella stessa nella citata dichiarazione: «"Opere in forma di mutanda, creazioni appese al filo, !'intimo scolpito, dipinto e ammaestrato ... ", recitava l'invito alla mostra presso la Libreria delle donne Evaluna (a Napoli, l'ultima decade di dicembre '97), dove i cinque artisti hanno presentato se stessi fotografati da Grazia Lombardo dentro un maestoso mutandone; al sesto posto - anche alfabetico - c'è chi ha !'incarico della comunicazione scritta, e firma questa nota». Dei cinque artefici di mutande, eccetto Rosa Panaro (2), tutti gli altri appartengono alla generazione qui considerata. Tutti, naturalmente, hanno partecipato con loro opere, ovviamente immutandate, alle mostre e performances del gruppo (3) ed all'operazione Mutande d'autore, che aveva anche intenti contrari ai mercanti d'arte (4)[.......] per il più rigorosamente geometrico De Tora, già considerato nel I tomo (5) , l'esperienza nel Gruppo Mutandis ha forse contribuito a fargli recuperare certe libertà degli anni Settanta e ad accelerare la rottura di quell'ordine simmetrico per un'ottica strabica, per parafrasare il titolo di una sua personale del '99, che era appunto L'occhio strabico, che veniva colta da Dorfles, il quale nel dicembre 1998 gli scriveva in una lettera/presentazione: «Ma c'è soprattutto un aspetto nuovo che vorrei segnalare e che forse tu stesso non apprezzi sino in fondo: la presenza di una inedita "apertura" verso !'indeterminatezza e l'asimmetria, che si rivela, ad esempio, nella "croce strabica". Ebbene, questo lavoro - pur altrettanto limpido e calibrato delle altre tue recenti creazioni - mi sembra dimostrare una volontà di sottrarti all'inflessibile costrizione della "simmetria" (quella che William Blake definiva la "fearful symmetry" spaventosa simmetria) e del rigorismo geometrico, per affrontare - pur nella fedeltà dell'impostazione astratta e non figurativa - una via più pronta ad adeguarsi all'epoca in cui viviamo» (6)[..... ]
 

Capitolo XV
[….]a Napoli, sulla scorta delle esperienze dei protagonisti del Gruppo Napoletano d'Arte Concreta e collateralità il discorso concretista era praticato da alcuni pittori, come Edoardo Ferrigno, Antonio Izzo ed Enea Mancino, i quali ultimi tre hanno condiviso spazi espositivi in mostre ''quartetto'', per così dire, in cui talora il quarto era un cogenerazionale, cioè il già trattato Gianni Rossi, ed altre volte un artista più giovane , nonché Gianni De Tora, del quale abbiamo visto, in rapporto al suo coinvolgimento al Gruppo Mutandis, il superamento dell'ordine simmetrico assimilato nel Gruppo Geometria e Ricerca, di cui era stato uno dei componenti (7). Il casertano De Tora era giunto nel '99 alla documentata La croce strabica in seguito ad una irrequieta ricerca tra rigore e segni geometrici in opere singole o composizioni, ovvero sequenze installative e ambientali di più elementi, ora triangolari allineati, anche all'aperto (Sequenza ambientale, 1981), oppure variamente accostati, come i 5 di La pittura è scienza ... (1983), che ha il pendant di uno specchio triangolare (Specchio delle mie brame ... , 1983), ora quadrati allineati orizzontalmente (Sequenza, Sequenza calda, 1980), o verticalmente (Sequenza, 1980), oppure sistemati a formare croci (Sequenza, 1993), ora forme verticali terminanti ad arco sia di 7 pezzi (Sequenza 90, 1990), sia di tre (Trittico, 1997), ora rettangoli verticali a bande cromatiche progressivamente crescenti, come l'installazione così sistemata nel 1980 su una parete del chiostro del Museo del Sannio di Benevento in occasione della mostra Geometria e ricerca. Altrove le medesime forme geometriche ritornano nel ciclo dei lavori con «voli» di segmenti e segni angolari e curvi sia su carta intelata (I segni della pittura, Laboratorio di segni, 1986; Ouverture vert, 1989; Ouverture 3, 1990; A segno, 1992), sia su tela (A segno, 1992; Messaggio '97, La città, 1997; La finestra bianca; Ouverture blanc, Ouverture 99, 1999), nonché su stoffa (Il sole blu, 1985), ma anche all'interno di quel ritorno del rimosso che sono le paste alte delle tecniche miste su legno di formato quadrato (Mediterraneo, 1984) o circolare (L'occhio che si dice finestra dell'anima ... , 1984), ovvero quadrato con incorporato un cerchio penetrato dal vertice di un triangolo (Il silenzio è d'oro n. 2, 1984). E in qualche caso si può percepire un sottile, quanto sommesso persistere dell'eco del discorso di Del Pezzo sulla geometria, privato tuttavia dei suoi metafisici sostrati magico-simbolici. Vitaliano Corbi nel '99, dopo aver segnalato negli anni Ottanta «ritorni alla purezza dei colori e nel rigore della forma del dato naturale», che «luminosamente trasfigurato» conquistava «una posizione centrale nel quadro, entro una sorta di finestra aperta sul mondo, quasi un quadro nel quadro, o forse un brano di preziosa pittura incastonato entro la severa scenografia di larghe campiture di grigi e di neri», coglieva lo scollamento progressivo “dell'incontro tra geometria e natura nel fare di De Tora” (8)[......]

Infatti è morto a Napoli nel 2007
Su di lei cfr. Generazione Anni Trenta, pp. 356-357 e 633-634
Che sono state oltre alle già citate  Vesuvio, Fuoco e Arte (settembre 1997), Fiera del Baratto e dell'Usato alla Mostra d'Oltremare (Napoli- 6-8 dicembre 1997) ed Evaluna (dicembre 1997- gennaio 1998), le mostre e performances alla Libreria Guida di Via Merliani (Napoli, maggio 1998), a Villa Signorini (Ercolano, novembre 1997) , al Cinema Roma ( Portici, 9 Febbraio 1999) e Mutandis for Peace a Piazza Dante ( Napoli, 3 aprile 2003).
Nella seconda parte del testo Nota sull'operazione '' Mutande d'autore'', che iniziava : '' Il Re è nudo? corriamo a mettergli le mutande'', tale posizione degli artisti del gruppo  è sottolineata: ''Le Mutande. Variazioni sul tema. Ridete pure, please, è proprio quello che voglio, è proprio che deve accadere, prima durante e dopo l'operazione artistica sull'argomento ''mutande''. Gli scopi? Li hanno cercati dopo. Hanno prima aderito all'idea con ironia e entusiasmo. Si sono sorpresi nel dire, insieme, che è meglio sollecitare il mercato piuttosto che i mercanti, la cosidetta gente comune piuttosto che il mecenate, insomma meglio vendere piuttosto che chiedere. Hanno deciso di proclamarlo con tutta chiarezza''.
Cfr. Generazioni Anni Quaranta, I tomo, pp. 130-131.
Cfr. G.Dorfles – P. Restany, Gianni De Tora. L'occhio strabico. ''The Squint Eyed'', Galleria Avida Dollars, Milano, 1-19 marzo 1999.
Gli altri, escluso il cogenerazionale Riccardo Alfredo Riccini, milanese di nascita, ma napoletano di adozione, il quale nelle sue opere aveva attuato studi delle ''divine'' proporzioni, estesi pure ad opere di museo, erano per la maggior parte anziani, appartenendo Renato Barisani e Guido Tatafiore alla generazione anni Dieci, Carmine Di Ruggiero, Giuseppe Testa e Riccardo Trapani alla generazione anni Trenta.
Cfr. V.Corbi, in AA.VV., Generazioni, Villa Campolieto, Ercolano, maggio 1999, ora in Gianni De Tora. The World of Signs. Mostra Antologica, a cura di V.Corbi, Sala della Loggia, Museo Civico Castelnuovo, Napoli, s.i.d.,Altraspampa Edizioni, s.l., 2004, p.79. Il critico napoletano così commentava questo scollamento: ''Nelle opere più recenti, neppure esposte in questa mostra, l'artista sembra voler rinunciare alla suggestione dell'incontro tra geometria e natura e, procedendo dapprima ad una riduzione sempre più asciutta della fenomenicità di questa, poi al suo completo riassorbimento entro la struttura del dipinto, concentra il proprio intervento sul rapporto tra le zone lucide ed opache, della suoerficie dipinta, entro scgemi compositivi che introducono un moderato elemento di dinamismo attraverso lo scarto delle asimmetrie''. 

  1. 981.

DAL TESTO (IN PREFAZIONE) DI GIORGIO DI GENOVA SUL VOLUME ''PERCORSI D'ARTE IN ITALIA 2015'' EDITORE RUBBETTINO (SOVERIA MANNELLI-CZ) PUBBLICATO IN SETTEMBRE 2015

25 percorsi interrotti e 61 percorsi in atto

sezione: Artisti da non dimenticare

 

[…..]La Musa per il casertano Gianni De Tora è stata la geometria, conquistata via via nell'ambito delle sue pittoriche peregrinazioni nello spazio, sollecitate dai voli spaziali degli anni Settanta. In esse, registrando la sua ottica, su quella della Nuova Figurazione e poi su quella pop, l'istanza geometrica si sposava alle stilizzazioni, con cui, eliminando riferimenti iconici, si affidava a emblematici motivi geometrici, a loro volta affidati al disegno ed alle stesure di colore, tendenti talora a dinamiche percettive. Del resto la ricerca di dinamiche, che superassero la fissità del tradizionale formulario della geometria attraverso asimmetrie, iterazioni di forme, anche sagomate, modifiche strutturali e aggiunte cromatiche, ha connotato il discorso di De Tora. Ciò lo ha distinto dagli altri componenti del Gruppo Geometria e Ricerca (1976), tra cui era anche Barisani. Tale libertà di ricerca gli ha fatto prediligere installazioni a sequenza, non di rado con quadri disposti a croce, in un caso anche sghimbescia, con la quale ha partecipato al ludico napoletano Gruppo Mitandis (1997). Volendo sempre dialogare con lo spazio, sia pittorico che reale, è giunto a liberi inserimenti di segni primitivi, talora come sospesi (forse per inconsce memorie della sua prima fase) all'interno di forme geometriche, forme che altrove ha utilizzato per le sue Vele d'Artista, esposte a Napoli in Via Caracciolo con suggestivi effetti per lo sfondo marino[......]

brizio
Giorgio Sebastiano Brizio
ARTICOLO DI GIORGIO SEBASTIANO BRIZIO PUBBLICATO SULLA RIVISTA “D'ARS” ANNO XX N.90 DEL 1979

Gianni De Tora ha elaborato una serie di lavori che, nell’arco breve di due anni, pervengono ad un progress sintetico di colore/ forma. Se certe opere del 1976 ancora prescindevano da una indagine sulla struttura geometrica della forma (l'ellisse contrastato nelle strisce cromatiche interne e nella quadrettatura di fondo, nel divenire cerchio occupa lo spazio bianco di supporto con una sequenza di continuità studiata e matematicamente inequivocabile) le odierne sequenze sulla “diagonale” lasciano un solo, ampio respiro all'indagine sull’occupazione spaziale da parte dei timbri colore. De Tora inizia la sequenza con una mise en abìme dello spettro cromatico, riportato in cima ad ogni sezione temporale della sequenza (come indice dello spettro/iride delle stampe fotografiche); variando la combine dei toni base sul versante caldo e freddo, determina un punto variamente intermedio per l’azzeramento cromatico. Il lavoro, esplicato su una quadrettatura del supporto telato, compie un ulteriore sprofondamento dell' immagine, tesa alla occupazione spaziale attraverso un dosaggio preciso dei quanti di percezione visiva. Nella prima sequenza le diagonali sottili saranno esattamente un quinto dell'unità di base del quadrettato; opponendo la combine dei toni timbrici ad un livello altamente “colorato” l'immagine “diagonale” avrà un suo puro senso cromatico. Le restanti quattro sezioni intermedie saranno un calcolo di progressione. Man mano che la diagonale si avvicinerà allo spessore dell’intero quadretto, la combine cromatica varierà la sua incidenza nell’ordine di predominanza dei timbri. L’ultima sezione perderà il concetto visivo di diagonale (essa è ormai impressa nella nostra ritenzione visivo/mnemonica) per addivenire a puro spazio occupato da una banda ritmica di colore. Tesi e dimostrazione in De Tora combaciano. La percezione visiva, macroscopicamente espansa nella sua fenomenologia ottica, riporta in queste indagini, calcolate sulla matematicità dei rapporti forma/colore, al concetto tipico del processo quadricromico della stampa, ove l' accostarsi più o meno intenso di forza retinata dei 4 colori primari determina la lettura reale del “colore” riprodotto, mentalmente riunibile ad un concetto di “forma reale”.

segato
Giorgio Segato
TESTO DI GIORGIO SEGATO SUL CATALOGO DELLA MOSTRA ''GENER-AZIONI'' X GRUPPO MEDESIMO PRESSO IL PALAZZO DELLA PRETURA DI CASORIA (NAPOLI) DAL 30 APRILE A MAGGIO 1997

Diverse Gener-azioni 
Sentire spazi, costruire idee 

Mi ha subito sollecitato, della lettera degli amici artisti campani Spinosa, Barisani, Di Ruggiero, De Tora, Lanzione e Manfredi, il fatto che si tenesse a sottolineare che la proposta di mostra non concerneva un gruppo costituito, nè era espressione di un qualche "movimento ", ma un percorso generazionale con un suo fil rouge significativo, per quanto sottile e non lineare, intrecciato in maglie diverse, più o meno complesse, di orditi ora costruiti nello spazio disegnato e compattato, ora aperti in uno spazio fluido, illimitato. Un'idea che, evidentemente, dichiara una necessità di bilancio ''storico", di restituzione di riferimenti e di efficaci itinerari di espressione e di ricerca in  un' area ben determinata, quella partenopea, ricca di idioma locale ma, insieme, sempre sensibilissima ai linguaggi nazionali e internazionali dell'arte, soprattutto in questi ultimi vent'anni, in cui si è guardato molto al territorio napoletano come ad un vero e proprio laboratorio, a un crogiuolo di idee, di esperienze linguistiche, musicali, visive di cui si sarebbero ben presto visti i frutti. Forse cominciano ad emergere ora, in virtù delle energie dei più giovani, che tornano a cercare il confronto diretto, senza inibizioni, a tutto campo, in Italia e fuori, riportando nel fuoco dell'attenzione e del giusto riconoscimento anche gli "antichi maestri'' tuttora attivi e ricchi di capacità propositiva. Tracciare un percorso dal 1916, anno di nascita dii Domenico Spinosa, al 1961, anno di nascita di Antonio Manfredi, toccando il 1918 di Renato Barisani, il 1934 di Carmine Di Ruggiero, il 1941 di Gianni De Tora e il 1951 di Mario Lanzione, significa sondare il cuore pulsante di questo nostro secolo; e riconoscere un "segno" comune che attraversi il tessuto di ciascuno significa scoprire il senso preciso (significato e direzione), e dunque la funzione, che hanno assunto nel nostro tempo e nella nostra cultura la ricerca e l'espressione artistica. 
E vuol dire, nel caso specifico, ricomporre lo straordinario mosaico di suggestioni, tendenze, poetiche che hanno visto emergere, tra le massime manifestazioni dell'arte del nostro secolo, l'arte non oggettiva e l'arte costruita, dai futuristi al concettualismo Dada, dal suprematismo al Bauhaus, dal MAC (Movimento Arte Concreta) italiano al GRAV (Group Recherche Art Visuel) argentino-ispano-francese dall'arte cinetica e optical al Neogeo, dall'astrattismo lirico allo spazialismo, tutti movimenti e situazioni caratterizzate da un alto indice di ottimismo, di fiducia nelle capacità del- 
l'artista di migliorare il mondo e la qualità della vita, l'igiene del pensiero e i comportamenti, la visione estetica e la valutazione etica, in una frequente oscillazione tra attesa, silenzio, ascolto dello spazio attraversato come luogo dei segni (scritture e traiettorie) e del pulviscolo cosmico (flusso energetico e materico) e l'azione costruttiva, rassodarsi del pensiero progettuale in strutturazioni giocate tra allusioni di incentivazione didattica e affermazione propositiva. 
Ma sempre - ecco forse il più significativo legame - con un senso della misura (quantità e qualità) rastremato, essenziale, pur senza mai rinunciare agli echi e riverberi infiniti dell'evento creativo e poietico di una "ragione" che sa farsi poesia e di un impulso lirico che sa incontrare e fecondare le ragioni della mente. E allora, in rapporto a questa situazione espositiva, che in territorio campano vanta l'importantissimo precedente del costituirsi di una sezione del MAC (1948), confluito in parte poi nell'esperienza del gruppo Geometria e Ricerca (1976), il fil rouge, il senso, è dato, a mio avviso, proprio dall' idea dell' arte come "gener-azione", cioè come espressione di un momento temporale e culturale, ma anche come attività generante nuovi spazi, nuove idee, nuovi tessuti connettivi, forme inedite, rapporti, strutture logiche, ponti di comunicazione emotiva, cioè azione che si costituisce come processo, sintassi, ed elabora, modula le materie come diretta metafora degli spazi psichici, delle manipolazioni, delle metamorfosi e delle transmorfosi intime. Sei diverse generazioni, sei sensibilità e attività creative con sollecitazioni diverse, ambiti differenti, strumenti, riferimenti, progetti, identità dissimili. Eppure, anche in una così evidente lontananza di tempo, e in un secolo che ha visto le più numerose e più rapide mutazioni di qualsiasi altra epoca, si può cogliere l'intreccio di un percorso, un legame: non tanto un denominatore comune quanto il persistere di una stessa eco, come un riverbero sonoro, olfattivo, visivo gustativo, e tattile, per quella singolare sinestesia della memoria che solo l'arte sa suscitare e promuovere. Voglio dire che non solo è importante connotarsi dei segni del proprio tempo (essere o rappresentare una generazione), ma anche, - e oggi in modo particolarissimo - recuperare il significato dell'arte come attività originale e generante, tornare a sentirsi e ad essere attivi nella costruzione dell'uomo e del mondo, superando il sentimento di perdita del centro, dell'orientamento, della profondità del tempo storico e lo smarrirsi della memoria e della conoscenza e delle abilità materiali, che così profondamente caratterizzano la nostra cultura sempre più confezionata dai mezzi di comunicazione di massa. A me pare che questa sorta di piccola "coalizione" di artisti sia significativa proprio nel senso della restituzione alla figura, all'individualità e alla capacità pratica e tecnica dell'artista di una  funzione generante e rigenerante del rapporto con la realtà attraverso i sensi, e dell' immaginazione costruttiva come costante elaborazione, ora più poetica e anche lirica, ora più razionale e anche matematica, degli spazi, dei rapporti, delle materie, dei colori non più intesi come "media", mezzi di rappresentazione, bensì come campi di energia, di presentazione effettiva, di accadimento. Così l'opera può spaziare indifferentemente da un astratto informale, lirico, come insorgere e tradursi in gesto e in atmosfera cromatica dell'emozione pura, dei riverberi della memoria sensitiva nelle stanze del cuore e nelle pieghe della mente (Domenico Spinosa), oppure materializzare lo spazio in andamenti e ritmi plastici che rinnovano lo spirito dell'arte come costante "punta" sperimentale, tensione, espansione, provocazione e "rischio" (è stato ben detto) dei sensi e dell' intelletto, cioè spinta in avanti e arricchimento della forma/pensiero tra fraseggi costruttivi e allusioni di poetiche campiture cromatiche attraversate dal segno (Renato Barisani), o ritornare a farsi respiro, atmosfera ansante percorsa dal filo di scritture o strutturarsi in percorsi mentali con intermittenze cromospaziali inquiete (Carmine Di Ruggiero), o, invece, concentrarsi nell' evento progettuale (insieme ideazione e pratica esecutiva), ancora una volta "percorso", itinerario ma lineare, sintattico e paratattico fino alla rimessa in gioco aperta degli elementi segnici del fare pittura, del costruire spazi come in Gianni De Tora; o può sciogliersi in modulazioni espansive di segno, colore e struttura come penetrazione di stratificazioni di spazi diversi, apparentemente fisici, ma in realtà ricchissimi di risonanze emotive, di attraversamenti lirici: dialogo incessante tra intelletto e sentimento, gesto espressivo e costruzione (Mario Lanzione). Oppure I'opera può dilatarsi fino ad essere ambiente - non semplicemente ad occuparlo - in installazione che "comprendono" (capiscono e coinvolgono al tempo stesso) l'osservante, come fanno le rigorose geometrie dislocate di Antonio Manfredi, che attivano lo spazio di esposizione facendolo parte integrante del l' opera. Il gesto liberatorio di Domenico Spinosa, Maestro di molte generazioni di artisti napoletani sulla via di Damasco dell'illuminazione interiore in rapporto a un' arte che non fosse più mimetica, iconica, di "concentrazione" dei dati sensibili in figure di illusoria plasticità e riconoscibilità, bensì capace di portare i sensi, la percezione e l'intelligenza oltre l'apparenza, nello spazio parallelo dell'immaginario di tutte le forme possibili e del permanente fluire e fluttuare dello spazio/materia/colore/luce, diventa "costruzione", geometria, misura dei rapporti, invenzione del "logos", del discorso razionale, ora secondo sintassi percettive di ispirazione gestaltica (Renato Barisani, la sua storica adesione al MAC e il successivo, lungo e originale percorso di straordinaria ricchezza progettuale), ora secondo ''geometrie'' calcolate in funzione di una ristrutturazione ordinata, couseguenziale e stimolante degli spazi e dei rapporti materia/spazio/luce e segno/colore/forma come metafore per gli spazi esistenziali e di comportamento logico ed etico nel sociale (Carmine Di Ruggiero e Gianni De Tora, sorprendentemente contigui "Geometria e Ricerca" proprio nel senso del "percorso" storico che si vuole qui evidenziare). Per Mario Lanzione la forma è l'esito di una costante messa in discussione delle infinite possibilità di strutturazione della materia, non però in quanto massa o superficie, bensì in quanto campo di fermenti segnici e luminosi, di pieghe e inghiottimenti, di emergenze e trasparenze luminose. Antonio Manfredi entra più nel territorio della ''Neogeo", nell' impegno di rielaborazione poetica delle geometrie utilizzate come strutture di risonanza di spazi diversi, di vuoto attivanti, di materialità cromatica carica di energia generativa , che parla non tanto,  o non soltanto, alla vista ma sollecita tutti i sensi e con essi l'attività immaginifica della mente a superare l' apparente, ma sempre, più asfissiante ovvietà dei dati sensoriali e delle informazioni confezionate, recuperando il senso del meraviglioso, come genuino stupore e vero e proprio miracolo creativo della sensibilità e dell' intelligenza delle "diverse gener-azioni" di artisti. Si restituisce, dunque, centralità all'artista e ancor più all'opera come paradigma di conoscenza e di operatività, cioè di partecipazione attiva al farsi del mondo nella coscienza individuale e sociale. Più che a un'analisi teorica che richiederebbe (e comunque meriterebbe) un'indagine assai complessa sui precedenti storici in area campana, comparata all' area italiana e a quella europea e internazionale, questa rassegna di alto profilo artistico, di notevole merito didattico e indiscutibile significato storico e promozionale si affida soprattutto alle opere e al "percorso" che da esse emerge evidente, nettamente contrapposto all'ormai inutile "spettacolo" dell'arte e alle devianze dell' arte spettacolo, e con rara chiarezza rivolto a una prospettiva che risponde alla nostra fortissima nostalgia di futuro, di recupero di risorse creative e progettuali che ci consentono di rompere l' assedio della cultura del frammento, del lacerato, della "rovina", del degrado, del rifatto e del virtuale, restituendoci la gioia del fare, del trasformare, del cosrruire, del "seutire", del conoscere la voce e le qualità delle materie e delle cose, dello spazio vissuto in conti- nua dialettica e dinamica tra pieno e vuoto, tra presenza e assenza, così da consentire l'elaborazione e la modulazione di sintassi cosrruttive, evitando in ogni settore quelle saturazioni che impediscono soffocando sul nascere ogni pensiero progettuale e innovativo. 

TESTO DI GIORGIO SEGATO SUL CATALOGO DELLA MOSTRA '' GENER-AZIONI'' PRESSO LA CASINA POMPEIANA IN VILLA COMUNALE A NAPOLI DAL 20 LUGLIO AL 1° SETTEMBRE 1999

GENER-AZIONI 5

 

Questo nuovo episodio della mostra itinerante Gener-azioni consente - dopo gli incontri significativi a Casoria, a Nocera Inferiore, a Bari e a Villa Campolieto di Ercolano - di approfondire ulteriormente l'indagine intorno ai sei artisti che si sono resi disponibili a un confronto di poetica, di tecnica, e anche 'generazionale', nel senso più ampio del termine che travalica i limiti temporali della rigida collocazione di ciascuno, per indicare un modo, più aperto e più ricco di implicazioni e di referenze, di essere partecipi di una sorta di alleanza - o colleganza - tra operatori nati in epoche diverse, con ragioni estetiche anche molto distanti e comportamenti espressivi e di ricerca che certamente non postulano la confluenza in un gruppo di lavoro o anche solo di orientamento poetico, né tanto meno di dichiarazione programmatica, ma che ha comunque un senso di testimonianza. Gener-azioni va vista, infatti, semplicemente come una significativa occasione di incontro tra sei artisti che intendono esporre insieme per dichiarare esplicitamente le differenze generazionali, i propri tributi al tempo e alle esperienze del tempo e nel tempo, i riferimenti storici e poetici, i legami, i dissidi, gli innamoramenti, le adesioni intime, le profonde certezze e le ugualmente profonde inquietudini e insoddisfazioni in rapporto alle dinamiche artistiche di quasi tre quarti di questo secolo alleandosi tra loro per spontanea simpatia e come autori che congiuntamen- te intendono sottolineare e ribadire la dignità professionale dell'artista, e riguadagnare lo spazio che i nuovi media di elaborazione d'immagine, di comunicazione, di diffusione e manipolazione gli hanno sottratto o sensibilmente ridotto: non semplicemente uno spazio 'poetico', di contemplazione appartata e in certo modo laterale, 'artigianale' e individuale, ma di rinnovata capacità immaginante, prefigurante, con una progettualità e una tensione generative, attivate come alternative all'omologazione, al frettoloso e superficiale scorrimento e consumo dell'immagine, all'impoverimento dei giacimenti mnestici, allo smarrimento dei sedimenti tanto del rammentare (riportare ai livelli di elaborazione logica della mente, come in Renato Barisani, Gianni De Tora, Antonio Manfredi) quanto del ricordare (ricondurre ai livelli emozionali del cuore, del sentimento, come in Domenico Spinosa, Carmine Di Ruggiero, Mario Lanzione). Questa restituzione di rilievo al fare dell'artista, alla sua capacità di generare spazi, forme e idee si chiarisce meglio anche la direzione - il senso come significato e come progetto - in cui interviene questa mostra, ed è, sostanzialmente, quello del ricupero, riaccensione e rivitalizzazione della memoria; non soltanto di quella dell'autore, ma anche quella del riguardante, in un colloquio che attraversa materie, colori, forme, gesti liberatori e compositivi, differenti approcci che sollecitano il fare pittura e il guardare, la prensilità visiva, ai limiti della tensione sensoriale, innescando processi di raffinamento estetico, di partecipazione intellettiva e di acquisizione 'in progress', in virtù di un acuito sguardo introspettivo e di una capacità di prospezione poetica sapientemente retrovisiva che al tempo stesso scandaglia in profondità (a livelli psichici) ma anche in espansione costruttiva, rivolta al futuro, con un'emozione di attesa che rinnova gli spazi delle dinamiche progettuali e creative. Memoria e nostalgia di futuro sono i due vettori caratterizzanti questa mostra che torna a dichiarare la pittura luogo di 'rigenerazione', di riattraversamento temporale, culturale, sensitivo, concettuale di una realtà che tende a sfuggirci, a slittare tutta nel virtuale, in un campo di fluidità magmatica che di- venta sempre più esterna/estranea ai sensi, ai terminali nervosi, impoverendo sempre più i depositi conoscitivi, i movimenti, i desideri, gli slanci liberi e creativi della psiche, le invenzioni dell'anima e dellogos. Ciascuno dei sei - ed è questo un altro dei segreti importanti del successo della manifestazione - arricchisce l'evento espositivo occupandosi di aspetti diversi della memoria (collettiva, individuale, genetica, esistenziale, lontana e recente) con mezzi, tecniche, sensibilità differenti, ora rapportandosi all'energia vitale, al colore come emozione e risonanza, alla suggestione naturalistica condotta a poema atmosferico entro cui lasciarsi catturare, assorbire riscoprendo alle fonti l'energia vitale (Domenico Spinosa), ora sollecitando la percezione di particolari evidenziati del reale ad aprire spazi di risonanza, intervalli dilatati, modulazioni visive che sensibilizzano, attivano e incentivano possibilità di continuazione operativa ed inventiva (Renato Barisani). E Carmine Di Ruggiero scava nella materia dei sedimenti mnestici la luce del ricordo, memoria di cose e di momenti di emozione, le tracce preziose dei giacimenti intimi, il fil rouge di una conoscenza rifatta personale, fermentante sotto gli indugi, le abitudini, le compressioni temporali ed esistenziali. Gianni De Tora, invece, eccita movimenti di indagine segreta verso gli accumuli profondi, dilatando spazi psicologici costrittivi in ritmi di liberazione energetica, almeno parziale, dalle ansie del vivere, dai pericoli di chiusura del campo di respiro degli impulsi creativi e di spegnimento di quelli cromatici. Mario Lanzione coltiva una memoria tutta poetica, che coniuga spazi interni a spazi cosmici, attraverso tagli di luce affioranti da stratificazioni progressive e per velature di affascinante modulazione cromatica fino all'esperienza abbagliante.

Antonio Manfredi, infine, riscatta con Barisani la volontà costruttiva al di là di ogni mediazione sentimentale e sviluppa una visionarietà che esplora spazi immateriali e di energia pura, come campi del possibile rigenerarsi di idee, utopie, emozioni espanse in cui sia davvero possibile ricomporre e armonizzare il dissidio tra viaggio reale e navigazione virtuale, tra luogo psichico e spazio cosmico.

ESTRATTO DAL TESTO DI GIORGIO SEGATO SUL CATALOGO DELLA MOSTRA '' GENER-AZIONI '' A VILLA CAMPOLIETO AD ERCOLANO (NAPOLI) DAL 23 AL 30 MAGGIO 1999

DIVERSE GENER-AZIONI A BARI

 

In occasione della 19a Fiera Internazionale di Arte Contemporanea di Bari, lo scorso anno (19-23 marzo) si ripropose un'accurata selezione della rassegna Gener-Azioni, come mostra di titolo eminentemente culturale affiancata dalla prestigiosa e interessantissima scelta di schizzi, bozzetti e modelletti allestita dalla Pinacoteca provinciale del capoluogo di regione pugliese grazie alla direttrice dott.sa Clara Gelao. L'intento iniziale era di sollecitare una parallela selezione da parte di una qualificata galleria privata o di un'istituzione pugliese, in modo da porre a confronto non tanto linguaggi o situazioni 'regionali', come qualcuno ha frainteso, ma autori di diverse generazioni, operanti nell' ambito di un' astrazione lirica, informale o geometrica, ben al di là di scuole, gruppi o di limitazioni geografiche o idiomatiche. I tempi organizzativi si dimostrarono troppo stretti e si riuscì ad allestire - accanto alla mostra della pinacoteca - solo la rassegna degli artisti campani già presentata a Napoli e a Salerno, ma fu un autentico e per certi aspetti sorprendente successo: manifestazione di richiamo e anche di 'ristoro' visivo, considerata la prevalenza di stands espositivi con opere di figurazione tradizionale. I consensi del pubblico durante la fiera e in particolare nel corso dell' affollata inaugurazione, l'incontro con gli artisti con un dibattito molto sentito e partecipato, la donazione di una delle opere da parte dell' organizzazione Intermedia alla collezione dell'Ente Fiera (un'opera di Mario Lanzione), le numerose e positive recensioni sulla stampa testimoniarono della bontà dell'iniziativa e in particolare dell'interesse che sollecitava l'impostazione generazionale, evidenziando differenti percorsi, differenti tecniche, diversità poetiche e di sensibilità espressive ed operative, pur in una continuità di ricerca formale del tutto libera da esigenze di rappresentazione della realtà e rispondente solo alle necessità del fare pittura, al rapporto col medium cromatico (pigmenti, carte o lamine) come sufficiente e, anzi, di compiuta autoreferenzialità: non tanto, o non soltanto pittura-pittura, ma 'pittura per la pittura', evidenziazione non di un racconto ma dei segni, della materia, dei tracciati presintattici o di emblemi colti con sguardo tanto ravvicinato da toglierne l'evidenza figurale, o con sguardo così
lontanante da restituire il particolare al campo e al movimento energetico più generali, oppure anche 'spiando' sotto sedimenti, stratificazioni metaforiche dei nostri accumuli emotivi e pregiudiziali, così da far emergere nuovi segni per restituire antichi simboli, o antichi segni per comporre nuovi emblemi poetici, in territori, quelli del colore, di pura fermentazione e di germinazione guidate dal gesto, dalla visione 'innamorata' della vitalità dei pigmenti, dai ritmi, dalla magica allusività di forme arcaiche, o affioranti, come lacerti di 'geroglifici' smarriti, sui campi di colore e dagli intervalli di silenzio, dalle pause, dalle forme nello spazio, dalla capacità 'insostenibilmente leggera' di assorbimento sensitivo, percettivo, attentino del colore sapientemente modulato.

Tutto questo - e dunque moltissimo - accomuna i sei autori di Gener-Azioni, proposti in un ciclo di mostre, già quattro, che ogni volta si presentano diversamente ricche di suggestioni, forse proprio per l'effettiva irriducibilità a un'unica fronte poetica degli artisti, pur partecipando essi di una stessa sensibilità in modi differenti ma prossimi, e a volte armoniosamente contigui, di espressione. La 'formazione' - non il 'gruppo' - che si è creata per la disponibilità di ciascuno e per l'impegno generoso di qualcuno tra loro a tessere i legami personali nel massimo rispetto della libertà professionale e di iniziativa degli altri componenti, ha aspetti -lo si è visto a Bari e più recentemente a Cardito (Napoli) per l'apertura di uno spazio espositivo di Antonio Manfredi - fortemente attrattivi, affascinanti, poiché è davvero raro, rarissimo, assistere a momenti di collaborazione, scambio, sostegno, partecipazione così entusiastici, del tutto disinteressati se non per la qualità dell' esposizione e per l'armonia dell'insieme, raro intendo fra artisti di età, formazione, esperienze così diverse - dall'attraversamento attivo di molta parte delle fasi sulla scena solo nell'ultimo ventennio, dal mestiere coltivato nella 'bottega d'arte' alla preparazione accademica, fino alla tenace tensione dell' autodidatta, dal naufragio emozionale nel colore liberato dal gesto all'indagine di forme simbolo, dalle evocazioni di una memoria profonda alle composizioni e 'installazioni', da stratificazioni che tastano il vissuto alle geometrie che prefigurano nuovi spazi, nuovi ritmi formali ed esistenziali, e ai campi saturi ed omogenei dei metacrilati che propongono una razionalità costruttiva più concettuale che emotiva, ma pur sempre intenerita e modulata da inflessioni poetiche, da approcci sensitivi di emozione panica a compenetrazioni intellettive, meditative.

Questa è in sostanza la complessa panoramica formale e stilistica che ci propone la rassegna Diverse Gener-Azioni, sottolineando in sé, già nel titolo, appunto, generazioni e qualità diverse, in ambiti di sensibilità vicini e soprattutto caratterizzati da una tensione 'attiva', generativa, propositiva di più soddisfacente, interiorizzato, poetico rapporto con la realtà. […...]

L'avvio di Gianni De Tora è segnato da una necessità di destrutturazione del linguaggio geometrico, di messa in discussione della sintassi linguistica e costruttiva sulla base di suggestioni che sfaldano l'apparente compattezza del mondo percepito e sembrano spiarne, tra stretti spazi, un costante animarsi, rimescolarsi, ricomporsi, a volte drammatico, altre volte cromaticamente allusivo di energia positiva o anche di speranza, pur nella sempre ossessiva costrizione dello spazio fisico e psichico, rimasto aperto all'elaborazione fantastica e poetica. Lentamente De Tora mira a un riscatto, a dilatare le aperture dell'utopia, del sogno e del gioco e nella rimessa in gioco costante degli elementi compositivi [......]

Sei autori per una rassegna di grande efficacia promozionale per la comprensione della pittura, del fare pittura come linguaggio, come ricerca estetica, come impegno conoscitivo ed etico.

videtta
Giuliana Videtta
ARTICOLO DI GIULIANA VIDETTA DELL'ESTATE DEL 1980 APPARSO SULLA RIVISTA CAMPANIA 2- PER RECENSIONE DEL VOLUME DI LUIGI PAOLO FINIZIO 'L'IMMAGINARIO GEOMETRICO' SUL GRUPPO GEOMETRIA E RICERCA- 1979/1980

L'IMMAGINARIO GEOMETRICO

 

"L'immaginario geometrico" è l'accattivante titolo dell'ultimo libro di Luigi Paolo Finizio (docente di storia dell'arte presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli e critico militante), edito dall'Istituto Grafico Editoriale Italiano.

L'immaginario geometrico è il 'territorio magico' che accumuna sette artisti napoletani, che dal 1976 danno vita al gruppo Geometria e Ricerca : Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Riccardo Riccini, Guido Tatafiore, Giuseppe Testa e Riccardo Trapani. Gruppo che non si fonda su un tradizionale criterio di omogeneità, ma che, rivendicando una sorta di eclettismo operativo nel rispetto delle singole individualità, si riconosce tuttavia in un comune intento creativo che ha nell'astrattismo la sua poetica espressiva e nella geometria il suo metodo.

Attraverso il delinearsi delle singole esperienze creative, Finizio sviluppa il suo discorso di comprensione critica dell'astrattismo a Napoli, rintracciandone la matrice culturale in quegli anni di acceso dibattito sull'arte che furono gli anni del secondo dopoguerra in Italia.

La 'querelle' fra astrattismo e figurazione, l'affermazione dell'autonomia dell'arte in quanto linguaggio che si articola secondo suoi codici espressivi ("la parola formata, il colore e il suono meditati") e, quindi, la 'legittirnazione' ideologica e teorica delle ricerche astratte fanno da supporto culturale di ampio respiro all'attività artistica del gruppo napoletano. E il riferimento agli anni '50 non è accademico se si pensa che gli 'anziani' del gruppo Geometria e ricerca - Barisani e Tatafiore - ne furono protagonisti di primo piano a livello nazionale.

Geometria e ricerca si colloca dunque in quell'area dell'astrattismo che si riconosce nelle premesse internazionali dell'arte concreta, un'arte cioè decisamente non figurativa e prevalentemente geometrica. Più in particolare nel M.A.C. (Movimento Arte Concreta) fondato nel 1948 a Milano da Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet, cui aderì il Gruppo Napoletano formatosi nel 1950 ad opera di Mario Colucci, Renato De Fusco, Antonio Venditti e, appunto, Barisani e Tatafiore. La loro esperienza-testimonianza all'interno di Geometria e ricerca si fa dunque, come sottolinea Finizio, "tramite non certo ideale ma presenza operante e dialogante di fatto".

Il discorso di Finizio prosegue ripercorrendo la recente storia artistica napoletana, dall'esperienza della "pittura nucleare" all"'ineludibile" evento informale, cui presero parte "con protesa consapevolezza" - una volta portata a compimento "la loro vicenda di concretisti in una Napoli culturalmente indifferente quando non ostile" - gli stessi Barisani e Tatafiore, ma anche Di Ruggiero. E nel gruppo quest'ultimo ricopre il ruolo centrale di 'mediazione generazionale' fra Barisani, Tatafiore e i più giovani De Tora, Riccini, Testa e Trapani. L'incontro fra De Tora e Riccini nel '72 segnò uno scambio e un confronto di idee che sfocerà appunto nella costituzione del gruppo dall'emblematico nome di Geometria e ricerca. La geometria - strumento di conoscenza della realtà, possibilità di astrazione dai mille particolari in cui la natura si manifesta e di deduzione di principi universali - è infatti il filo rosso che unisce i nostri sette artisti, che pure appartengono come abbiamo visto a generazioni diverse.

"L'incidenza di una linea razionale dell'arte - sostiene Finizio - ha specifiche difficoltà di vita ancora oggi immutate nella cultura napoletana". Il volume, corredato di belle riproduzioni in bianco e nero e a colori, completo di un'antologia critica e di schede artistico-biografiche dei sette protagonisti ha il merito di avere messo a fuoco il fenomeno nella sua dimensione storica: un nuovo contributo, dunque, alla conoscenza dell'arte napoletana contemporanea, che attende ancora una sistemazione critica scritta finalmente con mente serena al di là di ogni spirito di parte.

ARTICOLO DI GIULIANA VIDETTA APPARSO SUL QUOTIDIANO ''IL MATTINO'' AD APRILE 1992 PER RECENSIRE LA MOSTRA COLLETTIVA A CURA DEL CESMI ''TENDENZE '' PRESENTATA PRESSO LA CASINA POMPEIANA IN VILLA COMUNALE A NAPOLI DAL 13 APRILE AL 5 MAGGIO 1992

Organizzata dal Cesmi la collettiva '' Tendenze'' alla Casina Pompeiana.

Se c'è troppa arte a cuocere

 

Ancora un'esposizion collettiva, la terza del 1992, organizzata dal Cesmi (Centro Economico e Sociale per il Mezzogiorno), col Patrocinio dell'Assessorato alla Pubblica Istruzione e Cultura della Regione: con il titolo «Tendenze» si propongono, stavolta, diverse declinazioni dell'arte «non figurativa» in Campania, attraverso una selezione di 28 tra pittori e scultori, operata dalla curatrice Lydia Tarsitano. La mostra, che durerà fino a venerdì 8 alla Casina Pompeiana nella Villa Comunale di Napoli, conclude il ciclo avviato con le collettive «Segni Mediterranei» e «Conver- genze» e si inscrive in una serie di varie iniziative tese a «dare spazio alle potenzialità culturali del Mezzogiorno», individuando in Napoli la «Capitale del Mediterraneo» contro «la pratica miope del- l'assistenzialismo» e per un rilancio della produzione artistica contemporanea: queste le intenzioni dichiarate dall'onorevole Antonio Ciampaglia, direttore del Cesmi, in apertura del catalogo che accompagna la mostra in corso. Un progetto meritorio e ambizioso, tanto più se si considera quanto poco abitualmente le istituzioni pubbliche tengano in conto l'arte contemporanea. E tuttavia proprio la mancanza di esperienza e di tradizione in tal senso, a fronte della complessità del mondo artistico contemporaneo, dovrebbe invitare chi si accinge a così ardua impresa a definire con rigore, metodi e criteri con cui articolare le proposte culturali affinché risultino efficaci e vincenti. Così non è del tutto per le mostre fin qui viste, e ciò non tanto per la qualità degli artisti invitati a esporre, molti dei quali protagonisti accreditati della vita culturale della città, quanto per una sorta di disomogeneità nella tenuta qualitativa e nella coerenza delle selezioni proposte, con un risultato spesso disorien- tante proprio per quel pubblico di non addetti ai lavori che pure viene chiamato in causa dagli organizzatori quale interlocutore privilegiato. Sono insidie insite in ogni esposizione collettiva che, per ovvie esigenze, può proporre solo una scelta parziale di artisti e di opere, alle quali purtroppo non sfugge neppure la mostra in corso, nonostante o forse proprio a causa dell'elevato numero di partecipanti. Per completezza d'informazione riportiamo i nomi dei ventotto artisti presenti, cia- scuno con una o due opere: Mario Apuzzo, Antonio Baglivo, Antonio Barone, Claudio Carrino, Gerolamo Casertano, Maria Luisa Casertano, Antonio Ciraci, Lidia Cottone, Salvatore De Curtis, Gianni De Tora, Anna Del Matto, Mario Di Giulio, Gianfranco Duro, Edoardo Ferrigno, Antonio Gigi, Antonio Izzo, Mario Lanzione, Michele Mautone, Elio Mazzella, Luigi Mazzella, Adele Monaco, Antonio Picardi, Anna Maria Pugliese, Gisela Robert, Carla Seller, Ernesto Terlizzi, Pasquale Troppo e Aldo Vaglio.

de martino
Giulio de Martino
TESTO DI GIULIO DE MARTINO X CATALOGO DELLA MOSTRA ANTOLOGICA
“THE WORLD OF SIGNS” AL MASCHIO ANGIOINO DI NAPOLI-2004

Gianni De Tora e le ipotesi dell’arte

 

Ho avuto il primo contatto con le ricerche artistiche di Gianni De Tora diversi anni fa. Ricordo il suo vecchio studio e alcuni quadretti dipinti su foglia d’oro e tele di grandi dimensioni su cui i colori si muovevano con ampie ma precise campiture. Una di queste tele era dedicata al logo del Tao e Gianni me la donò come immagine per la copertina di un mio libretto di pensieri. E la sensazione che ne ricevevo è la stessa che ancora provo di fronte ai suoi lavori più recenti (penso all’omaggio a Mondrian-Che Guevara o al Libro d’artista). In buona sostanza si può definire come la percezione di un senso gioioso della libertà. So che la libertà degli artisti è altro dalla libertà degli uomini e so che non c’è libertà senza regole. Dico allora che l’entusiasmo contagioso che vive ed emana dall’arte di De Tora deriva dal fatto che, nel mondo aperto delle opere d’arte, le regole l’artista se le può forgiare e se le può scoprire da solo: protendendosi in una dimensione che lo libera da molteplici condizionamenti sociali per proiettarlo in uno spazio virtuale di forme e di colori, di spazi e di materie. Potrebbe sembrare allora che l’artista De Tora sia riuscito ad entrare nel mondo «oltre lo specchio» o che si sia elevato in un qualche «sopracielo» di forme e geometrie astratte. Ma non è così. De Tora infatti compie questa ascesa, effettua la sua passeggiata tra i simboli e i colori, portandosi sempre in mente o in tasca frammenti e brandelli della realtà storica, politica, sociale. Frammenti che rispuntano fuori liberamente. Si vanno così ad impastare con gli sfondi di linee, con i giochi delle superfici pittoriche e le contaminano, le «sporcano» con le cose concrete – e spesso drammatiche – dei nostri giorni, di ogni giorno. Fra astrattismo (in sé vano) e realismo (in sé banale) De Tora si colloca nel mezzo: poggia le mani su entrambe le pareti, tenta la scalata del «monte analogo» inerpicandosi per camini e crepacci, per vuoti e faglie in cui passano l’aria e la luce. Così il gioco della pittura si situa nel mondo e lo assorbe. Ed ecco allora che le ipotesi dell’arte di De Tora, dopo essersi librate per qualche istante nello spazio euclideo e non-euclideo delle linee colorate, diventano sfondo, supporto, telaio per accogliere il tempo della storia.

INTERVENTO DEL FILOSOFO GIULIO DE MARTINO NEL NOVEMBRE 2008 APPARSO SUL VOLUME GUIDA EDITORE-NAPOLI “TRANSITI D'ARTE-DALL'AVANGUARDIA AL CONTEMPORANEO” A CURA DI ANTONIO DENTALE E CIRO ESPOSITO

ARTE E POLITICA DURANTE IL '68

 

Pare difficile negare che uno dei dilemmi fondamentali della cultura sessantottina sia stato quello del rapporto fra arte e politica. Nel cinema, nel teatro, nelle arti visive, nella fotografia, nella musica ci si è agitati a lungo intorno a tale intricata questione. E mi pare egualmente difficile negare che suIl' arte - intesa borghesemente come «art pour l'art» - abbia infine prevalso nel' 68 la politica, intesa come priorità dell'orientamento dell'operare artistico verso il reale, la storia, l'impegno sociale e civile (engagement). Si discuteva, però, se fosse il realismo sociale - inteso, innanzitutto, come stile dell'arte e della cultura borghese dell' 800 - ad essere lo stile da privilegiare o se, invece, la questione fosse divenuta più sottile e complicata dopo le stagioni dell'arte «di regime» e soprattutto dopo la sopravvenuta riproducibilità tecnica dell'opera d'arte mediante le tecnologie industriali della visione e dello spettacolo. Questo nodo teorico si scioglieva - di fatto - nella concretezza della produzione artistica e artigianale finalizzata alla vita del movimento (manifesti, riviste, filmati, canzoni, copertine ecc.), destinata a venir consumata nella sfera pubblica alternativa in cui si sviluppava la controsocietà di allora. Negli Stati Uniti e in altri contesti - in Olanda o a Londra - si parlava di cultura underground o di «arte indipendente» per indicare proprio questa modalità alternativa del produrre e del fruire arte e cultura fuori dei condizionamenti dello stato e del mercato, del potere politico e del capitalismo. Sottratta alle lusinghe e alle perversioni del capitalismo l'arte si combinava con la politica, cioè con il sociale, la partecipazione, la critica, il dissenso.

Una particolare attenzione fu prestata alla problematica del rapporto fra arte e mass media, una questione che richiamava sia il problema del rapporto fra arte e tecnologie (visive, elettroniche, digitali ecc.) sia quello, specificamente mass-mediale, del rapporto fra arte colta e arte popolare, fra arte controllata dal potere e arte prodotta dal movimento. In tempi recenti questo interrogativo si è trasformato in quello sul rapporto fra arte populista (l'arte che comanda sui comportamenti di gruppo) e arte popolare nella società dell'informazione e della globalizzazione. Certamente il '68 ha nutrito gli artisti e i loro spettatori di una sana diffidenza verso i mass media (tv, pubblicità) e verso il mercato dell'arte e della cultura controllato dalle aziende capitaliste e dalla borghesia e tutto ciò è avvenuto anche a Napoli sul finire degli anni' 60 e per buona parte degli anni '70. L'orizzonte culturale era intricato e sarebbe sbagliato estrapolarne una sequenza lineare di intenti e di realizzazioni. Allo stesso tempo, però, evocare un magma confusivo di influssi, mode e tendenze avrebbe il risultato di impedire la focalizzazione dei problemi. Anche la rilevante questione della politicità dirompente del' 68 - che fece passare in secondo piano le questioni prettamente estetiche e culturali - ha una sua giustificazione. Queste ultime furono ristrette a cerchie di specialisti e di appassionati, spesso incompresi e comunque utilizzati dal movimento e dalle sue avanguardie. Ma, soprattutto, la politicità dominante nel' 68 fu la testimonianza della sua incisività sul piano sociale e istituzionale: la controprova della assoluta rilevanza e serietà storica degli eventi. La tragedia politica doveva necessariamente soverchiare il dramma artistico. In alcuni casi, comunque, vi fu un rapporto equilibrato tra forma e contenuto per cui le forme estetiche invece di riflettere acriticamente i miti e le mode della società di massa rispecchiavano i contenuti del movimento e della controsocietà evitando la retorica e l'ideologia e aggiungendo la completezza delle tecniche e il finish dell'impegno nella comunicazione liberata.

Oltre a ciò mi sembrano importanti due ordini di problemi. Il primo riguarda Napoli e la sua storia artistica e culturale nel corso del '900. A Napoli, infatti, il'68 incrociò una vicenda culturale e civile ultra-secolare e i contrasti degli anni '60 si intersecarono con i tempi lunghi di istituzioni, stili e tecniche in quella che era stata la ex-capitale borbonica e poi la città-simbolo del fascismo meridionale. Ciò significa che va difeso il programma di una storiografia dell'arte a Napoli che abbracci tutto il '900, senza scomporlo in un pre- e in un dopo-guerra, scomposizione che riprodurrebbe soltanto la divisione attuale del mercato e del collezionismo. Il secondo argomento, la cui paternità va fatta risalire a Jean Baudrillard, è di carattere più generale e investe la reale possibilità per il movimento del '68 di sovvertire la progressione sociale ed economica dei simulacri, la volatilizzazione del reale indotta dal neocapitalismo con il trionfo dei mass media e dell' advertising e quindi di aprire, anche nell'arte, il campo ad una effettiva rivoluzione anticapitalistica del sociale.

È a ridosso di queste due questioni che va posto il nodo teorico più frequentemente reperibile nelle interrogazioni storiche e teoriche su arte e sessantotto: quello relativo alla sua anti-artisticità. Diremmo meglio: su come questa vada intesa e su cosa essa abbia comportato.

Certamente nella stagione della contestazione globale i comportamenti più rilevanti da parte del movimento e di molti degli artisti che vi confluivano (pensiamo al teatro-happening del Living Theatre e al teatro politico di Dario Fo e Franca Rame, ai concerti dei cantautori e dei gruppi impegnati come Perigeo, Banco del Mutuo Soccorso ecc. o alle canzoni popolari e politiche del Nuovo Canzoniere Italiano, del Canzoniere del Lazio, di Maria Carta o di Paolo Pietrangeli e di Gualtiero Bertelli) possono essere definiti antiartistici non già perché non costituissero la splendida espressione di saperi estetici e artistici, ma perché creavano performances che esaltavano la funzione sociale dell'arte andando contro il sistema capitalistico della mercificazione degli oggetti e contro il sistema borghese dell'arte.

Ci si poneva al di fuori del processo di conservazione e musealizzazione delle opere - da un lato - e del culto del successo e del lusso dall'altro. Molte energie furono spese per differenziare l'opera d'arte dalla forma-merce e dalla sacralizzazione del capolavoro «inestimabile». Galleristi, critici, collezionisti ecc. apparivano come ingranaggi di un meccanismo che proponeva l'oggetto d'arte come l'agente di una sfera separata dalla realtà, un mondo delle illusioni e dei formalismi, della fruizione consolatoria e alienata. L'antiartisticità del' 68, quindi, lungi dal negare lo specifico tecnico e cognitivo delle attività artistiche, lo poneva in rapporto con una proposta di trasformazione rivoluzionaria della cultura e della società. Da qui l'esigenza di creare un nuovo percorso produttivo e fruitivo in cui l'artista potesse rivedere criticamente il suo ruolo, rinunciare alle sovrastrutture della società borghese e il pubblico potesse riscoprirsi come soggetto attivo e partecipe dell'evento artistico.

Così facendo l'arte veniva trascinata fuori dal mercato e portata dentro le scuole, nei manicomi, nelle piazze, davanti alle fabbriche occupate. Si parlava giustamente di una funzione "socialmente utile" della ricerca artistica, poiché la sperimentalità era posta fuori delle mitologie consumistiche - il genio incompreso e la star di successo - e si inseriva in un evento collettivo che completava lo sforzo creativo del singolo in qualcosa di più ampio e rilevante per la società.

Mi sembra che tutte queste questioni possano riassumersi nel tema più generale dell' antiamericanismo del' 68.

La prospettiva del '900 che emerge nella storia dell'arte napoletana aiuta ad inquadrare le vicende degli anni pre-sessantotto e la vera e propria contestazione. Probabilmente sia la produzione figurativa di Giovanni Brancaccio, Carlo Verdecchia, Radames Toma, Emilio Notte, Mario Russo che l'astrattismo di Renato Barisani, Gianni De Tora e Guido Tatafiore prolungavano e sviluppavano esperienze artistiche e pittoriche (disegno, studio della visualità, sociabilità dell'arte) che si erano sviluppate a Napoli nel solco della tradizione tardo-ottocentesca e poi degli influssi dell'avanguardia europea. Quegli stili e contenuti artistici si trovarono, sul finire degli anni '60, fuori e contro la pop-art e il concettualismo artistico di matrice nord-americana. La pop-art e il complesso delle arti-visive riflettevano meglio l'alienazione della società dei consumi e del mondo massificato d'oltreoceano piuttosto che le energie e i saperi di mondi storici autonomi e legati alla storia dell' Europa e dell'Italia.

Questo impianto reattivo dell'arte accademica napoletana, a mio avviso, si pone come compagno di strada incompreso di quello spirito antiartistico del' 68 che pure si espresse nel rifiuto dell'americanismo e del fordismo nella versione della pop-art. Infatti la gioventù degli anni '60 intendeva mettere in discussione le forme e i miti della vecchia Italia, ma voleva anche reagire alle seduzioni del neocapitalismo, tenersi immune dai condizionamenti dei persuasori occulti, dalle perversioni dei nuovi manipolatori delle coscienze, andare contro la minacciosa catastrofe che accompagnava il “secolo americano".

L'America che piaceva al '68 era quella di Allen Ginsberg e di Angela Davis, di Pete Seeger e di Woody e Arlo Guthrie, di Bob Dylan e di Joan Baez, di Woodstock e della West Coast. del No War e del Peace and Love di San Francisco. L'America dell'utopia e della trasformazione. Non piaceva, invece, l'America della occupazione di Napoli nel 1944-1945, della borsa nera e delle «segnorine», né tanto meno quella dei massacri di Hiroshima e Nagasaki o dei bombardamenti dei B'52 sul Vietnam del Nord. I multipli di Andy Warhol con Mao-Tse-Tung e Marylin Monroe - che grondavano cinismo e disincanto- sembravano appiattire l'umanità evolutiva nell' «uomo ad una dimensione» della repressione desublimata del mondo capitalista. Anche se fenomeni come quello di Robert Rauschemberg oggi sono transitati nel mondo delle istituzioni e dei musei, rimane il fatto che la vicenda del trionfo americano nell'arte del contemporanea (pittura, cinema, musica ... ) fu vissuta nella Napoli del' 68 come un aspetto drammatico dell'imperialismo, come un insieme di segni e segnali di cui tenere conto, ma che giungevano da una Waste land, da una terra desolata in cui l'essere umano lottava per non soccombere alle conseguenze alienanti del progresso.

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